L'Artaserse di Leonardo Vinci a Nancy di ISABELLA CHIAPPARA 4-6-8-10 Novembre 2012 Opéra National de Lorraine - Nancy Artaserse - Philippe Jaroussky Mandane - Max Emanuel Cencic Arbace - Franco Fagioli Artabano - Juan Sancho Semira - Valer Barba Sabadus Megabise - Yuriy Mynenko Concerto Köln Direttore - Diego Fasolis Regia - Silviu Purcarete Decori/Costumi/Luci - Helmut Sturmer Acconciature - Cécile Kratschmar Coreografie - Natalie van Parys
ala della storia dell'interpretazione musicale e della restituzione del passato con tutta la sua forza evocativa si è posata nei primi giorni di Novembre sul teatro dell'Opéra National di Lorraine di Nancy, con la rappresentazione in forma scenica dell'Artaserse di Leonardo Vinci, su libretto di Pietro Metastasio, opera già apparsa nei mesi precedenti in un CD per la Virgin e della quale ho già parlato, indagandone le motivazioni storiche e politiche nel mio saggio su Roma 1730 - L'Artaserse - Leonardo Vinci, Metastasio e il Teatro delle Dame nella sezione Spazi e Luoghi della Scena barocca della Sala del Cembalo, testo al quale rimando anche per la trama e le considerazioni musicologiche sulla figura di Vinci. Come per la registrazione Diego Fasolis era alla direzione del Concerto Köln e i ruoli erano affidati ad un cast di cinque controtenori e un tenore, qui Juan Sancho che andava a sostituire Daniel Behle come Artabano, mentre rimanevano nei ruoli originari Philippe Jaroussky - Artaserse, Franco Fagioli - Arbace, Max Emanuel Cencic - Mandane, Valer Barna - Sabadus - Semira, Yuriy Mynenko - Megabise. Bisogna subito dire che sulla scena la sfida di un cast totalmente maschile, richiesto da un rispetto filologico alla compagine di castrati che a Roma aveva dato vita alla prima rappresentazione dell'opera nel 1730, è risultata anche più convincente che nel CD, complice una regia affidata a Silviu Purcarete che ha saputo cogliere con grande eleganza l'ambiguità di genere e il fondamentale concetto di travestitismo ed androginia che è alla base del fenomeno della fascinazione per le voci acute nell'estetica barocca. Già dalla prima scena, durante la splendida sinfonia d'apertura in tre tempi, suonata con magistrale bravura dal Concerto Köln a cui Fasolis con la sua energica direzione offriva dinamiche di grande bellezza durante tutto il corso dell'opera, gli interpreti, ancora in una fase non completa del trucco e vestizione, si apprestavano sul boccascena, manifestando chiaramente l'intento di trasformazione che i costumi avrebbero loro apportato, con gli stessi camerini lasciati sul palcoscenico, in una sorta di metateatro in cui l'artificio che c'è dietro ogni operazione teatrale, veniva a farsi teatro esso stesso. Travestitismo che fin dalle prime battute interveniva, diventando protagonista, con la sua trasgressiva ma mai caricaturale capacità di trasformare la realtà in un mondo irreale e lontano dal contingente. Gli opulenti e meravigliosi costumi che andavano ad indossare i personaggi, li metamorfosava, da uomini in donne, da persone del XXI secolo, in protagonisti di una fantasiosissima Persia. Ma anche in una sorta di immagine legata all'aspetto transgender che non poteva non cogliersi nel rutilare di piume, ori, acconciature fantastiche da uccelli del paradiso che immediatamente ricordava gli eccessi di certo teatro queer. Se l'immagine di un Oriente fantasmatico prevaleva nel primo atto e ritornava ancor più magniloquente nel finale del terzo, dove la storia si impernia sull'aspetto pubblico del potere, nel secondo atto e agli inizi del III, concentrati sugli affetti più intimi e contrastati dei vari personaggi, una scelta per costumi storicamente informati del primo Settecento, con magnifici justaucorps bianchi e maestose parrucche en criniere, che risaltavano sui visi truccatissimi, per gli uomini, e robes de ville coloratissime per le donne, ci restituivano una dimensione più meditativa e privata. Il tutto in una scena mai prevaricante, caratterizzata da quadri ripresi dalla pittura sei-settecentesca, come il Marsia del Ribera nel III atto, riflettente il martirio del povero Arbace, con un palco rotante al centro che spesso si accompagnava alle ambiguità dei protagonisti, che si muovevano sul palco con atteggiamenti e movenze da perfetti galants. Quinte mobili venivano a movimentare le scene, in un continuo dinamismo che non lasciava mai tempi morti, rendendo tutto molto fluido e mai noioso. Ma naturalmente la fascinazione era tutta nel canto, virtuoso fino agli estremi delle possibilità, ma anche patetico o furioso, in tutta la gamma degli affetti di cui era capace il teatro musicale barocco, con i cantanti in grado di incarnare i loro alter-ego teatrali in modo suggestivo ed emozionante. L'Artaserse di Jaroussky ci restituiva a pieno l'anima melanconica di un giovane principe precipitato dagli eventi in qualcosa che non riesce a dominare, non trovando più il sostegno del suo amico fraterno Arbace, creduto responsabile dell'uccisione del padre, ed influenzato negativamente dal perfido Artabano. Fin dalle sue prime arie, Per pietà bell'idol mio e soprattutto Deh respirar lasciatemi, Jaroussky dà voce, con il suo timbro etereo e cristallino alla fragilità di un personaggio non coraggioso ma che alla fine si redime nell'atto magnanimo del perdono, ritrovando nella clemenza del sovrano la sua reale dimensione e la sua grandezza. La sorella Mandane ha invece pochi lati positivi, ama Arbace, ma contemporaneamente lo odia, non riesce a trovare equilibrio nei suoi sentimenti esacerbati di cui è consapevole come dimostra nella splendida Se d'un amor tiranno, o nella furiosa Và fra le selve ircane. Max Emanuel Cencic, splendido nei panni femminili che interpreta con una magnifica aderenza al ruolo, ma anche nei sentimenti di una donna contrastata, tra introspezione ed invettiva, dà la misura delle enormi potenzialità drammatiche della sua voce, in cui la varietà di accenti e di colori trova nel magnifico duetto con Arbace Tu vuoi ch'io viva o cara il suo momento più eclatante. Ancor più fascinosa è l'incarnazione di Semira da parte di Valer Barna Sabadus. La messa in scena mi ha fatto meglio valutare il personaggio della giovane donna, inizialmente fiduciosa, poi travolta dagli eventi che la soperchiano con la loro violenza. La sua innocenza e fragilità di fanciulla sono già nella veste bianca di leggere piume che indossa nel I atto, ma sono le sue movenze ad incantare, elegantissime, in una sublime e raffinatissima mise en scène della femminilità che essendo irreale è tanto più vera che se ad incarnarla fosse una donna reale. E' l'archetipo della Donna che Valer Barna Sabadus ci dona anche nella voce dal bellissimo timbro sopranile, morbido, suadente, con accenti di grande suggestione che emergono in pieno nelle arie Bramar di perdere e Torna innocente raggiungendo colori di desolata umanità in Per quell'affetto. Megabise è un personaggio senza contrasti, non conosce incertezze, sfumature, la sua forza è tutta nel suo canto forte ed altero, quasi muscolare, che Yuriy Mynenko rende alla perfezione, con un timbro bronzeo e vellutato, una agilità sorprendente nel rivaleggiare con i fiati come nella sua aria Sogna il guerrier le schiere o nella bellissima Ardito ti renda. Juan Sancho nel ruolo del fellone Artabano possiede una presenza scenica notevole, è l'incarnazione ideale del padre che agisce trasportato da affetti contrastanti, il desiderio di salvare se stesso ma nello stesso tempo non perdere il figlio. La sua voce è però perfettibile, ha un bel timbro ma accusa delle défaillance nelle agilità che le sue arie richiedono, soprattutto nell'aria di tempesta della fine del II atto, Così stupisce e cade resa però con forza ed esuberanza dalla compagine orchestrale. Ho lasciato per ultimo l'Arbace di Franco Fagioli perché si tratta del vero dominatore della serata e richiede una maggiore attenzione nella definizione sia del suo personaggio che della sua incarnazione. Arbace è l'eroe, la vittima, il personaggio a tutto tondo che ha solo accenti di grande umanità e forza nel proclamare la sua innocenza e di pudore nel non voler palesare nel padre il reale artefice del regicidio. L'amore per Mandane, l'affetto e il legame con Artaserse, il rispetto per il padre, la consapevolezza della sua solitudine nella avversa sorte, donano a questo personaggio una tale gamma di accenti, di sfumature, di colori da riassumere in sé tutte le incredibili potenzialità dell'espressione barocca degli affetti. Le sue arie sono tutte strepitose per bellezza e stupefacenti per le doti richieste a chi le interpreta. E Fagioli dimostra di essere perfettamente in grado di prendere il testimone che era stato dei mitici castrati, in primis Carestini, il primo ad interpretare il ruolo. La sua voce è stupefacente, la sua tessitura incredibile andando dal La basso al Re sopracuto e coprendo un'estensione di tre ottave, gli permette dei virtuosismi sideranti, trovando nei gravi abissali e negli acuti sorprendenti da soprano lirico un "canto di sbalzo" che proprio negli incredibili cambi di registro mostra la misura della drammaticità del personaggio, insieme con una proiezione ed un appoggio sul fiato che sembrano interminabili e una ornamentazione fantasmagorica che nella messa in scena ha accentuato offrendoci una maggiore sequela di cadenze rispetto al CD. Il suo Vo solcando un mar crudele, con la regia che sceglie di mostrarcelo come quel castrato che era in origine, con le sue paturnie da primo uomo, ma anche con l'eleganza delle movenze e degli atti che appartenevano a quella scena barocca, ci precipita in un passato che si pensava irraggiungibile e nello stesso tempo ci proietta in un futuro dove molti nuovi territori potranno essere scoperti ed aperti alla conoscenza dalla voce contro-tenorile. Altrettanto meravigliosa la potente apertura dell'atto III con l'arioso Perché mai tarda la morte seguito dall'aria L'onda dal mar divisa dal bellissimo fluire melodico, e Per quel paterno amplesso, nel II atto, in cui gli accenti patetici ci danno una emozione profondissima. Giustamente tutta la stampa internazionale inneggia al miracolo, parla di fenomeno Fagioli, ma è stata tutta la messa in scena dell'Artaserse di Vinci ad essere miracolosa e fenomenale offrendoci l'illusione di trovarci di fronte a quella scena romana del febbraio del 1730 dove tutto iniziò. Isabella Chiappara, 24 dicembre 2012
|