Rinaldo al THEATRE AN DER WIEN, 14 dicembre 2013 di Marita Bevilacqua Bonetto Le passioni messe in scena aendel ha solo ventisei anni quando, reduce da un viaggio in Italia, mette in scena a Londra - dove ora risiede - il Rinaldo a Haymarket Theatre, in seguito ribattezzato The King’s Theatre. All’epoca è Maestro di Cappella della Casa degli Hannover ed è proprio l’elettore degli Hannover a diventare re Giorgio d’Inghilterra. Per gli inglesi è innamoramento a prima vista o meglio a primo ascolto; il pubblico viene preso da una vera e propria passione per il Rinaldo che innesca l’amore per l’Opera seria italiana; e a dire che Haendel non lesina, come riporta il giornale d’epoca Spectator, gli stratagemmi per catturare l’attenzione, utilizzando senza risparmio di mezzi macchinerie di ogni genere, uccelli in carne e piume fatti uscire dalla gabbia durante un’aria in scena e altri effetti speciali “ante litteram” aiutato in ciò dall’atmosfera magica dell’opera ispirata alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Al librettista Aron Hill e al compositore, tuttavia, più che le battaglie della prima crociata del 1099, interessavano l’amore tra il paladino Rinaldo - al seguito di Goffredo da Buglione a capo della spedizione cristiana in Terra Santa contro i Saraceni-, e la di lui figlia Almirena, contrastato dalla coppia antagonista composta da Argante, re di Gerusalemme invaghito di Almirena, e dalla maga Armida a sua volta infiammata d’amore per Rinaldo. Dopo varie vicissitudini Almirena e Rinaldo, ostaggi dei saraceni, vengono liberati da Goffredo e coronano finalmente il loro amore. Del Rinaldo Haendel fece varie versioni, quella andata in scena a Vienna al Theatre An der Wien è la prima del 1711 che vedeva protagonisti come Goffredo, un contralto donna en travesti, Francesca Vanini – Boschi; in Rinaldo il contralto castrato Nicolo’ Grimaldi detto il Nicolini, ruolo poi interpretato dal più famoso Francesco Bernardi detto il “Senesino” nel 1731 dove il personaggio di Goffredo sarà personificato da un tenore, il famoso Annibale Pio Fabbri. Se il pubblico inglese degli inizi del settecento si innamorò delle sorprese musicali e teatrali haendeliane e delle voci italiane, uno dei primi nostrani prodotti da esportazione, lo stesso effetto si percepisce ancora oggi a distanza di più di tre secoli. La capacità tutta propria di Haendel di rendere vive le passioni che agitano i protagonisti con un senso teatrale assoluto, colpisce e affascina tuttora il pubblico moderno. L’assoluta mancanza di realismo dell’opera barocca non è inoltre di ostacolo alla percezione dei personaggi come creature in carne e ossa; il virtuosismo delle arie, infatti, non appare mai fine a se stesso ma diventa espressione di uno stato d’animo peculiare alla personalità dei protagonisti. Se la versione in concerto del Rinaldo a Vienna fa rimpiangere la mancanza di messa in scena, il senso di stupore e meraviglia che dovette provare il pubblico londinese viene fatto rivivere dalle voci di Franco Fagioli nella parte che fu dei famosi evirati cantori ma anche di tutto il cast, all’altezza del compito, grazie anche alla compagine orchestrale. L’opera è farcita di sublimi arie conosciute a ogni amante dell’opera barocca; Haendel utilizza nel Rinaldo molte composizioni tratte da precedenti lavori del soggiorno italiano come la sublime aria “Lascia che io pianga” con musica utilizzata in precedenza nell’opera Almira e altresì come aria “Lascia la spina cogli la rosa” dal Trionfo del Tempo e del Disinganno. Ma poco importa che Handel, come suo e non solo costume, utilizzi composizioni precedenti; il Rinaldo è un susseguirsi di arie indimenticabili per ogni registro di voce. Oltre alla citata “Lascia ch’io pianga”, ormai un cult dopo essere stata resa immortale al pubblico più vasto dal famigerato film Farinelli di Corbiau, altre arie conosciute si susseguono: Cara Sposa Amante Cara, Venti Turbini, Or la tromba… con un senso del ritmo teatrale ineguagliabile che fa sì che ancora oggi il Rinaldo, insieme a Giulio Cesare, Alcina, Orlando, Rodelinda sia tra le opere di Haendel più rappresentate e amate. Questo anche grazie a interpreti come Franco Fagioli che riesce nell’intento di essere pienamente credibile come “primo uomo” in un ruolo di eroe e di amoroso che fu appannaggio delle star dell’epoca, vale a dire i castrati. Non si fa fatica a immaginare lo stupore e la ammirazione che tali voci suscitarono al loro apparire tra il pubblico inglese considerata la attuale fascinazione e presa anche “fisica” della voce di Franco Fagioli sul pubblico.
La voce di Franco Fagioli non lascia indifferenti; è una voce che fa ricorso a tutti i risonatori utilizzando il registro di testa, di petto e di gola con un effetto omogeneo e polposo molto lontano dal timbro opaco e etereo dei falsettisti di scuola britannica. La voce corre e riempie la sala; è il suo un timbro che si confà perfettamente all’idea di un Rinaldo eroe virile e guerresco, l’interpretazione non è da meno coerente e la sala resta affascinata e partecipe del senso di meraviglia proprio dell’artificio dell’opera barocca che trova inaspettati spunti di connessione con il gusto tutto contemporaneo per l’androginia. La paletta di accenti e variazioni nelle numerose arie, ben sette, e nei due duetti è incredibile. Franco Fagioli prende come sempre il rischio di un’interpretazione che prenda il sopravvento sulla linea del canto ma ciò non avviene mai perché la musicalità dell’interprete è sopraffina. Nelle numerose arie l’artista riesce a essere eroico, guerriero, amoroso diventando sulla scena “l’altro” e rendendo palpabile la personalità di Rinaldo, virile soldato che deve però venire incitato a combattere e che contiene un elemento di fragilità, specie nei lamenti amorosi, che lo rende assolutamente moderno. La musica è “abitata" fisicamente. “Cara sposa" è veramente un lamento viscerale per la possibile perdita dell’amata, la commozione dell’interprete è tangibile e coinvolge il pubblico. Sulla scena Fagioli interagisce con i musicisti e con gli altri cantanti, creando una dimensione teatrale; la pronuncia dell’italiano è molto migliorata, segno del grande lavoro fatto in tal senso. L’artista poi non lesina variazioni anche nelle arie più virtuosistiche come “Abbrucio, Avvampo e Fremo”; ogni aria poi viene interpretata con una caratterizzazione ad essa propria e con proprietà stilistica, basta citare lo stile galante dell’aria “E’ un incendio tra due venti”. Sebbene tutti gli interpreti ricevano applausi al termine delle arie, il pubblico sembra riscuotersi ed entrare in altra dimensione ogni qualvolta entri sulla scena Franco Fagioli un po’ come forse doveva accadere al tempo di Nicolini e del Senesino. Anche con Karin Gauvin, che interpreta la maga Armida, una della numerose maghe haendeliane un po’ “sorella” di Alcina, entra la dimensione teatrale a pieno titolo, la voce è consistente e l’interprete partecipe specie nella sublime aira “Ah crudel il pianto mio” dove la voce della cantante duetta con l’accompagnamento dell’oboe e del fagotto; insieme all’aria Cara sposa interpretata da Fagioli costituisce uno dei momenti più alti della serata. Come fatto notare da altri commentatori la presenza di Fagioli rischia di offuscare altri colleghi controtenori presenti concentrando su di sé ogni attenzione. A tale effetto, Xavier Sabata che pure viene calorosamente applaudito nella parte del fratello di Goffredo Eustazio, non sfugge; la sua è una voce che può suonare artificiale, credibile nelle arie lente ma meno nelle arie più virtuosistiche. E’ la sua una voce che carezza l’udito, dolce e sinuosa ma che fatica a creare una dimensione teatrale e le sue arie non si sottraggono a un effetto un po’ monocorde. L’unico italiano del cast, il basso Gianluca Buratto non leva gli occhi dalla partitura e questo purtroppo attenua l’effetto specie nei duetti con l’amante Armida di Karina Gauvin. La sua voce di basso profondo, ma anche capace di molti colori, viene apprezzata pur restando il rammarico per la assenza della celebre ma anche irta di difficoltà Aria “Sibilar gli angui d’Aletto”, già Aria di Polifemo nella cantata “Aci, Galatea e Polifemo”. In apertura della serata viene data notizia di uno stato di indisposizione di Emoke Barath; nel ruolo di Almirena la soprano sembra avere voce un po’ troppo leggera di fronte all’impeto dei suoi partner maschili che la contendono. L’Aria “Lascia ch’io pianga” viene interpretata in modo soave ma con accenti di poca disperazione per la libertà negata. In “Augelletti che cantate” il suo timbro cristallino ben si accompagna al canto degli uccelli, all’epoca anche effettivamente svolazzanti e ora in parte registrati e riprodotti dagli strumenti. Varduhi Abrahamn nella parte di Goffredo, si conferma interprete haendeliana, la si vedrà tra l’altro presto a Zurigo con la Bartoli nell’Alcina di Haendel. La sua calda voce di mezzosoprano ben si confà agli slanci guerrieri di crociato e l’interprete è attenta al ruolo. Se il suono di Minasi in apertura può sembrare un po’ troppo “Vivaldiano”, man mano la fattura Haendeliana emerge e il suono diventa più caldo e avvolgente anche grazie ai valorosi musicisti in particolare della sezione di fiati. Particolarmente applaudito l’accompagnamento della tromba nell’aria “Or la tromba in suon festante” e la parte strumentale nell’aria Augelletti a imitazione del canto degli uccelli. Una parola per il pubblico che riempie il teatro, ovviamente esaurito, attentissimo e partecipe nonostante l’assenza di sopra titoli e che tributa calorosi applausi a tutti gli interpreti e vere e proprie ovazioni a Franco Fagioli il quale si renderà disponibile al termine per una seduta di autografi con foto dei numerosi fans. Il rammarico per l’assenza di una messa in scena è palpabile, forse una rappresentazione in forma semiscenica sarebbe stata auspicabile. Tutto il cast viene applaudito dal pubblico che riempie il teatro insieme all’orchestra e al suo direttore, con vere e proprie ovazioni al termine di ogni aria per Franco Fagioli. Un Rinaldo che resterà negli annali e che meriterebbe una traccia registrata in attesa di ben diversi fasti scenici. |