A Non-Profit Project devoted to the Baroque Age Reviews, Articles, Historical Insights, Interviews and the greatest Harpsichord Musical Archive of the World!
Renaissance & Baroque Musical Instruments
Articles, Writings and Presentations
a cura di Zadok
INDICE / INDEX
Le ORIGINI di una RISCOPERTA
Nel 1895, sulla "Gazzetta Musicale di Milano", comparve un articolo davvero sorprendente. Si trattava del resoconto di un cronista, il quale, dopo aver assistito ad uno dei concerti dati al Clifford's Inn con brani strumentali e vocali di J.S.Bach, rilasciava una convinta ed appassionata testimonianza a difesa dell'adozione degli strumenti antichi, con una particolare attenzione rivolta al clavicembalo.
La lettura di questo articolo è a dir poco illuminante: sembra quasi che il tempo si sia fermato tra il 1890 circa ed i primi anni cinquanta del dopoguerra, ossia quando gli americani Hubbard e Dowd ufficializzarono definitivamente l'interesse per il restauro degli strumenti storici ed il loro impiego concreto nei concerti pubblici e non.
Vista la piena consapevolezza che si era già raggiunta a fine ottocento, viene spontaneo chiedersi, per quale motivo sono dovuti passare altri 60 o 70 anni prima di assistere ad una generale affermazione nella pratica del restauro e della copia degli strumenti musicali antichi? Forse, per un effetto inibitorio dovuto alle guerre mondiali che hanno ritardato il fenomeno? O che dire dei cembali moderni costruiti in quegli stessi anni da Pleyel, che, con la complicità della famigerata Wanda Landowska, potrebbero aver ulteriormente annullato la spinta al recupero autentico, proponendo un "revival" falso ed illusorio del clavicembalo? Probabilmente la questione è più complessa e meriterebbe uno studio molto più approfondito.
L'articolo in questione fu riproposto dal Prof. Vincenzo De Gregorio, nel 1987, sulla rivista "Il flauto dolce" con una sua lunga prefazione; oggi noi lo ripubblichiamo, a beneficio di tutti, anche nella Sala del Cembalo del caro Sassone, preceduto stavolta da una sua più breve introduzione. Lasciamo dunque la parola a Vincenzo...
Zadok, 28 giugno 2011
Prefazione di Vincenzo De Gregorio
Questo articolo comparve nella “Gazzetta musicale di Milano” (1), tradotto da “The Saturday Review”, nel secondo numero della cinquantesima annata (1895), alle pagine 28-29. L’interesse della “Gazzetta” per gli strumenti antichi non era nuovo, infatti per tutto il secolo XIX ferve sul glorioso organo milanese un dibattito sulla opportunità o necessità di conservare i timbri degli antichi strumenti per poter rispettare fedelmente le intenzioni artistiche degli autori. Il discorso riguardava soprattutto il corno e la tromba naturali, come elementi fondamentali del colorito orchestrale, ma nella “Gazzetta” spuntano di frequente problematiche simili in riferimento al flauto traverso (lunga lotta di resistenza contro l’avvento del flauto Boehm). Se il secolo della rivoluzione industriale (in Italia) era ansioso di cambiamenti e di “progresso” da una parte, non mancavano dall’altra inquietudini e nostalgie per il passato. Cosa ampiamente dimostrata dal Congresso dei musicisti italiani del 1881, in cui la gran parte del tempo fu dedicata proprio alle discussioni relative agli strumenti caduti in disuso che molti volevano restituire all’insegnamento dei Conservatori (il che, effettivamente accadde: almeno per alcuni anni il corno naturale tornò ad essere insegnato nel Conservatorio di Milano). L’animatore del Congresso, Edoardo Perelli, si chiedeva nel discorso introduttivo se noi abbiamo il diritto di profanare le opere dei maestri cambiando i timbri orchestrali con cui esse erano state pensate (gli Atti del Congresso dei musicisti italiani. Riunito in Milano dal 16 al 22 giugno 1881 furono pubblicati dalla «Gazzetta musicale» in diciassette puntate, nella seconda metà del 1881).
Pochi anni dopo apparve l’articolo che vi presentiamo, che ribadisce da una parte l’interesse italiano per la riscoperta degli antichi strumenti, dall’altra il ruolo fondamentale di precursore del musicista e musicologo inglese Arnold Dolmetsch, capace di restaurare e ricostruire cembali, viole da gamba, flauti dolci ed altro, in una attività che meriterebbe veramente un monumento da parte dei cultori della musica antica e non solo (2).
NOTE
Con questo settimanale nasce il giornalismo musicale italiano. Uscì dal 1842 al 1902, «ogni domenica», con interruzioni nel '48-'49, '59-'60, '63-'66. Dal 1° aprile 1866 fu diretto da Giulio Ricordi. Per altre notizie, cfr. A. DELLA CORTE: La critica musicale e i critici, UTET, Torino 1961, p. 454-9; C. SARTORI: Casa Ricordi, Ricordi, Milano 1958, p. 54-61 e 65-7.
L’articolo qui riproposto era già apparso con titolo Gli strumenti musicali e la “Gazzetta musicale di Milano”. I Bach e il clavicembalo, nella rivista “Il flauto dolce”, 16, 1987, pp. 44-46, preceduto da una mia più lunga introduzione.
Bach e il clavicembalo
n questi ultimi anni abbiamo avuto occasione di vedere di tempo in tempo figurare il clavicembalo nelle sale da concerto, a Parigi e a Londra, un istrumento che, benché caduto in disuso, e pei bisogni ordinari della musica, giustamente consegnato all'oblio del museo d'antichità, possiede pertanto alcune qualità e anche una certa grazia; uno di quei gingilli delicati che, adoperati con arte, possono essere pel dilettante entusiasta, una occasione di prodursi, non senza successo. La Casa Pleyel, di Parigi, ha costrutto un nuovo clavicembalo che è stato presentato agli intelligenti in Francia e in Inghilterra. I musicisti, che non avevano potuto formarsi un'opinione del clavicembalo, se non dietro gli istrumenti antichi «ristaurati» dai fabbricanti di pianoforte, furono piacevolmente sorpresi di fronte al risultato ottenuto dalla Casa Pleyel. Il loro strumento almeno era accordato, e poteva suonarsi con una certa agilità ottenendo un buon insieme di esecuzione. Già il signor Arnold Dolmetsch alla stessa epoca era riuscito a ristaurare un bel clavicembalo a due tastiere, costrutto da Hirkman verso la metà del secolo scorso, e lo aveva ristaurato abbastanza bene così da lasciar intravedere che uno di questi istrumenti, nel suo stato d'origine, aveva dovuto essere anche superiore a quello di Pleyel, per quanto potesse esserlo alle spinette e ai clavicembali che di tempo in tempo si offrono alla nostra generazione credula come eccellenti esemplari della loro specie, ma che, in realtà, non sono più che l'ombra d'essi stessi e non appaiono migliori di quello che erano nel loro giovane tempo, come gli orribili pianoforti quadrati, a uso dei giovani allievi, nei convitti, non rassomigliano agli attuali capi d'opera che escono dalle officine di Erard. Il conferenziere, volendo dimostrare lo sviluppo dei pianoforti, segnava trionfalmente a dito le vestigia dell'arte del fabbricante di clavicembali, per provare l'enorme superiorità del pianoforte moderno sugli istrumenti che lo hanno preceduto. I Pleyel hanno contribuito a distruggere questo pregiudizio: e se non hanno meglio riuscito nella loro impresa, la loro mancanza di successo è per lo meno assai scusabile. In realtà, per guidarli nella costruzione del loro nuovo clavicembalo essi non avevano quasi altro che la loro esperienza di fabbricanti di pianoforti! Il loro istrumento ricorda il pianoforte in parecchi punti; vi hanno inoltre introdotto certe invenzioni il cui risultato non poteva servire che a stabilire confronti fra i due istrumenti. Simili tentativi non possono essere considerati che come un residuo del vecchio errore, tanto radicato, che il pianoforte sia un progresso, un perfezionamento del clavicembalo. In realtà, l'uno non è un perfezionamento dell'altro, come l'armonio non lo è dell'organo. Il pianoforte non ha sorpassato il clavicembalo; lo ha sostituito, il che è ben diverso. I due istrumenti sono di specie diverse; ognuno d'essi reclama dal compositore una maniera di scrivere particolare e dall'esecutore una tecnica speciale.
Se vogliamo apprezzare il clavicembalo nel suo giusto valore, è necessario bandire da prima dalla nostra mente qualsiasi idea di confronto col pianoforte, o di superiorità dell'uno di questi istrumenti sull'altro. Mettere in rilievo le loro diverse qualità o i loro difetti non gioverebbe gran fatto ed equivarrebbe a stabilire un parallelo fra il pianoforte e l'organo.
Non è che dal mese del decorso maggio, epoca nella quale fu presentato a Dulwich il clavicembalo d'Andreas Rückers appartenente a Lord Dysart, dopo la ristaurazione effettuata dal signor Dolmetsch, che si può affermare bell'istrumento di un fabbricante celebre, che possiede tutta la sua bellezza d'origine, tutta la sua sonorità caratteristica. Per la prima volta, a memoria d'uomo, si poté intendere un clavicembalo nella sua perfezione. Fu quindi allora possibile comprendere la riputazione che hanno avuto gli istrumenti di Rückers verso la fine del secolo scorso, una riputazione che si può comparare soltanto a quella d'uno Stradivarius della nostra epoca. Dopo molti anni di studi e di esperienze, il signor Dolmetsch era pervenuto a ottenere un suono di una purezza e di un effetto brillante straordinari, un suono di cui i fabbricanti di pianoforti, che avevano già tentato di ristaurare i clavicembali, non avrebbero certo creduto suscettibile l'istrumento. II successo del signor Dolmetsch produsse anche altri risultati. I teorici, che pretendevano che la musica di Bach e dei suoi predecessori dovesse eseguirsi più lentamente di quello che si suole d'ordinario, perchè una esecuzione rapida produceva cattivo effetto sul clavicembalo, furono convinti del loro errore completo; ché non soltanto il meccanismo del clavicembalo può rispondere ai passaggi i più rapidi che la mano è atta ad eseguire, ma anche tutti gli ornamenti tanto complicati che si incontrano nella musica antica, possono essere resi su questo istrumento con una precisione, una leggerezza ed una chiarezza che il pianoforte non saprebbe raggiungere.
Il concerto dato a Clifford's Inn il 6 dicembre, è stato una nuova occasione, per giudicare il valore del clavicembalo per l'esecuzione delle opere di Bach. In testa al programma figurava il famoso Concerto in re minore, per quell'istrumento, accompagnato da due violini, violoncello e basso. Eseguito dal signor Fuller-Maitland con una maestria straordinaria, l'effetto prodotto è stato immenso. Non è difficile far comprendere, anche per iscritto, quale posto indiscutibile il clavicembalo dovrebbe sempre occupare nell'interpretazione di una simile opera. Certi passaggi del primo movimento di questo Concerto, per esempio là dove le due mani suonano nelle stesse regioni della tastiera, spesso anche incrociandosi e ripetendo alternativamente la stessa nota, producono sull'unica tastiera del pianoforte un effetto d'una monotonia disperante. Non si capisce. Ma se simili passaggi sono eseguiti sulle due tastiere del clavicembalo, secondo l'intenzione del compositore, la luce si fa immediatamente. I diversi effetti di sonorità rivestono le sembianze di un colorito straordinario. II colorito! -- Ecco la qualità caratteristica che, in modo speciale, distingue il suono del clavicembalo da quello del pianoforte. Nel delizioso pizzicato dell'arpa, nella dolcezza e nella rotondità degli unisoni, nella parte brillante dello scherzo d'ottava, nell'effetto indescrivibile della lontananza e di luce prodotto da questo artificio che ripercuote le corde in prossimità del capotasto, e sul nome del quale i periti non sono ancora d'accordo; in tutti questi differenti timbri e in tutte le combinazioni che si possono fare su un istrumento a due tastiere, si trova il segreto della potenza che possiede il clavicembalo di improntare alla musica un colorito speciale. Il pianoforte non può meglio riprodurre questi effetti di colore, come non può darci una idea delle diverse sonorità dell'orchestra moderna. Riassumendo, l'esecuzione sul pianoforte di un'opera quale è questo Concerto, può compararsi, e mi pare a proposito, a un capolavoro di Tiziano che una vigorosa quanto insensata ripulitura avesse privato dei suoi colori. Altrettanto sarebbe assurdo e antiartistico voler interpretare un'opera di Bach nello stesso modo che lo sarebbe, se si volesse eseguire un Notturno di Chopin sul clavicembalo.
L'opera più importante del concerto del signor Dolmetsch era la Cantata burlesca; è il nome che Bach stesso le ha dato, meglio nota pertanto sotto quello di Cantata dei contadini. Quest'opera ci presenta Bach sotto una luce nuova, ché non lo si credeva capace di aver scritto una musica leggiera. Le parole sono scritte nel dialetto della Sassonia del nord, e la musica, a eccezione di due pezzi, e di uno stile semplicissimo. Molte arie sono prese fra le canzoni popolari dell'epoca. Spitta nella sua Vita di Bach ci indica la fonte di qualcuna di queste arie. Ma l'origine di una d'esse non è ancora, crediamo, stata indicata da alcuno. È quella dell'aria Unsen trefflicher, in cui il violino introduce la melodia tanto popolare già conosciuta, sotto il nome di Follie di Spagna, e, come in Inghilterra, sotto il nome di Farinelli's ground, tutto il pezzo di Bach, col suo accompagnamento, non è che una serie di variazioni su questo tema. Che Farinelli, lo zio del famoso cantante, ne sia realmente l'autore, o ch'egli non abbia fatto, come tanti altri, che dare il suo nome a una nuova forma di un'aria più antica, è quanto non è possibile decidere. Ma è certo che l'aria è associata per tradizione a una antica danza spagnuola, una specie di sarabanda denominata La Follia. La danza si trova coll'aria nella Raccolta di danze composta dal signor Feuillet, maestro di danza -- Parigi, 1709. Corelli ha scritto una serie di Variazioni su questo tema. Vivaldi pure, e Marin Marais, le cui opere sono sí poco note oggi, ne dà nel suo Deuxième livre de pièces de violes, Paris, 1701, 31 variazioni su questo tema, che formano un'opera della più alta importanza e della più grande bellezza.
Questo esempio sarà forse sufficiente per far comprendere il carattere della Cantata di Bach. La bellezza e la ricchezza di cui il suo genio ha rivestito quelle arie popolari, aumentano ancora anziché diminuirlo, il loro carattere festevole, e ci dimostrano ch'egli era capace di scrivere in tutti gli stili. La rumorosa canzone del brindisi col suo accompagnamento di corno, il coro finale, col ritornello Wir gehen nun wo der Tudel-Tudel-Tudel-Tudelsack in unserer Schenke brummt, quale abisso costituiscono fra questa musica leggiera e la Fantasia cromatica o le fughe del Clavicembalo bien tempéré! Tutte queste opere pertanto, sono ognuna nel suo genere, opere d'arte perfette. E qui ancora, in questa musica popolare, il clavicembalo ha contribuito per una gran parte agli effetti di colore e di gaiezza ottenuti. Dopo il concerto di Clifford's Inn, è impossibile ammettere che un musicista, geloso della sua riputazione artistica, possa avventurarsi a suonare in pubblico, sul pianoforte, le opere per clavicembalo di Bach.
Prof. Vincenzo De Gregorio
NOTE BIOGRAFICHE
Nell’autunno del 1977, dopo anni di attività pionieristica nella musica antica come polistrumentista, e poi solista di flauto dolce e cornetto, cominciava, ancora da pioniere in Italia, la ricostruzione di flauti storici, soprattutto traversieri barocchi, con cui guadagnava subito la stima di amatori e specialisti sparsi in tutta Europa ed anche al di là dell’atlantico. In seguito è stato docente universitario di Biblioteconomia, Bibliografia, Storia della musica e Storia degli strumenti musicali. Dopo la brusca e lunga interruzione dovuta alla necessità di seguire una carriera universitaria, oggi è tornato sulla scena con rinnovato entusiasmo per la ricerca e un vasto programma di realizzazioni, modelli accuratamente studiati per incontrare le esigenze dei flautisti più raffinati.
Wanda Landowska (1907) source: Wikimedia Commons
Landowska's favored instrument the Pleyel Grand Modèle de Concert (1927) Berlin: Musikinstrumentenmuseum photo by: Gérard Janot