COSTUME E MUSICA NELLE CORTI DELL'ETÀ RINASCIMENTALE E BAROCCA Dott.ssa prof.ssa ISABELLA CHIAPPARA SORIA La Spagna - El siglo de oro dai Re Cattolici a Filippo II - Potere e Religione
- Abito e Cerimonialità
Un quadro di El Greco al Monastero di San Lorenzo all'Escorial intitolato Il sogno di Filippo II, ma in realtà celebrazione mistica del Santo Nome di Gesù, ci permette, in una visione di fastosa magnificenza, di aver immediata percezione del legame profondo tra Stato e Religione nella Spagna cattolica dei sovrani Asburgo. Filippo II vi appare, isolato ed austero nelle sue vesti nere, nel rutilare cromatico delle tuniche angeliche e dei paramenti sacri, come protagonista assoluto, come intermediario prescelto e privilegiato fra Cielo e Sudditi. E non poteva essere altrimenti. La Spagna come nazione per esistere aveva dovuto rinnegare la sua disunità e conflittualità interna, aggregandosi come Stato cattolico contro le sue maggiori diversità interne, mori ed ebrei, aveva dovuto scegliere tra la sua propensione naturale, per geografia e storia, verso l'Africa e l'Oriente, o tornare a farsi europea, trovando nell'unità della Fede, unico potere aggregante quando ancora non esistevano i nazionalismi, nell'appartenenza religiosa e nell'appoggio della Chiesa, facendosi in tal modo Cristianità militante, il modus per entrare nella civiltà occidentale, anche se in una variante assolutamente particolare. La Spagna, politicamente parlando non esiste prima dell'unione dinastica fra i Regni di Castiglia e d'Aragona, con il matrimonio di Isabella e Ferdinando, con la definitiva conquista dell'ultimo brandello di Islam sul territorio iberico, rappresentato dal sultanato di Granada, con l'assoggettamento e la conversione forzata dei moriscos e la cacciata degli ebrei, con la diaspora sefardita e il controllo serrato dei pochi conversos, i marrani, da parte dell'Inquisizione. Che solo qui diventa potere militante, con il diritto accordato ai re spagnoli nel 1478 di praticarla, come braccio armato della Fede. Gli autos da fè costelleranno la storia spagnola del '500 e '600, mentre la limpieza de sangre diventerà un requisito indispensabile per avere onorabilità nella società, e per ottenere un "habito" da uno degli Ordini Militari. Ma la Spagna diventa grande, quando diventa Impero, quando ricade nell'orbita della geniale costruzione dinastica creata dagli Asburgo fra Quattrocento e Cinquecento. Il demiurgo era stato Massimigliano, arciduca d'Austria e Imperatore del Sacro Romano Impero. Nel 1477 aveva fatto il matrimonio del secolo sposando la giovanissima ed unica erede del Ducato di Borgogna, Maria, figlia di Carlo il Temerario. Alla morte di questi durante la battaglia di Nancy, nello stesso anno, i due principi erano diventati i sovrani del territorio più ricco, vasto, influente, che l'Europa quattrocentesca avesse conosciuto, che si estendeva dalla Francia nord orientale a tutti i Paesi Bassi, fiamminghi e valloni, dal Brabante all'Hainaut, fino al Reno e alla Franca Contea, dall'Olanda e dalla Zelanda fino al Lussemburgo. Ma le mire di Massimigliano andavano più lontano, proprio alla Spagna e il doppio matrimonio fra i suoi due figli, Filippo e Margherita con gli infanti Giovanna e Ferdinando, doveva concretizzare questo scopo. Ma nessuno forse avrebbe immaginato che l'erede spagnolo sarebbe morto giovanissimo, si dice di consunzione d'amore per la sposa amatissima, e che la minore fra le sorelle, Giovanna, sarebbe diventata regina di Spagna. Così ai già estesissimi domini asburgici si univano la penisola iberica, i territori italiani conquistati, milanese e regno di Napoli, le terre oltre oceano delle Americhe occupate con le armi ed enorme serbatoio di ricchezze naturali che faranno la grandezza militare della Spagna nel XVI secolo, oltre naturalmente i domini dinastici degli Asburgo, Austria e Tirolo. Così quando il figlio di Filippo detto il Bello, morto anche lui giovanissimo, e di Giovanna, alterata di mente e quindi non in grado di governare, assunse il controllo di tutti questi vastissimi domini si potè veramente affermare che il suo era un "Impero su cui mai tramontava il Sole". Il rampollo Asburgo si chiamerà Carlo, I di Spagna, ma una volta aggiudicatosi con i ricchi fondi dei banchieri Fugger di Augusta il titolo ambitissimo di Imperatore che era stato di suo nonno, Carlo V, Re di Germania e Sacro Romano Imperatore. Carlo aveva pochissimo di spagnolo, la sua educazione era stata totalmente borgognona, e la sua incomprensione per la realtà di quel Paese fu profonda tanto da dover fronteggiare una aperta rivolta, quella dei comuneros, sedata con violenza, ma che lo mise di fronte alla necessità di dare al suo erede, Filippo, un'educazione totalmente spagnola. Filippo a differenza di suo padre che fu soprattutto uomo di Stato europeo e cosmopolita nello spirito, anche se all'interno di una mentalità ancora medievale, fu invece visceralmente spagnolo, poco si allontanò da quelle terre che elesse a capo del proprio enorme regno, solo il titolo di Imperatore non fu suo perché il padre lo lasciò al fratello Ferdinando, insieme ai domini aviti, venendo così a creare le due casate Asburgo, di Spagna e d'Austria. Nel 1561 la capitale del Regno fu portata a Madrid, fino ad allora piccola città periferica nel cuore però della Vecchia Castiglia che così divenne il centro nevralgico del primo grande Stato nazionale e centralizzato d'Europa. Questa lunga digressione storica era necessaria per inquadrare la particolarità di una civiltà, quella iberica, e di un paese, quello spagnolo dalle multiformi sfaccettature culturali, la presenza della cultura islamica ed ebraica aveva avuto il suo peso fino al Quattrocento, e che l'acquisita potenza non fece che accrescere, con tutta la possibilità di poter influire massivamente sull'Europa tutta, sia quella occupata, sia quella che con la Spagna doveva comunque confrontarsi, spesso con le armi, come prova il lungo conflitto con la Francia, e successivamente con l'Inghilterra. Si può senz'altro affermare che l'influenza culturale spagnola in Europa fu vastissima e si protrasse dalla metà del '500 almeno agli anni '30 del Seicento, quando andò declinando, con il tramontare della grandezza militare. Ma è già dagli ultimi decenni del Quattrocento che la Spagna diventa un modello, specialmente in Italia, dove la presenza degli Aragona nel Regno di Napoli, aveva creato degli importanti legami con i potentati e le Famiglie che li governavano. Due papi spagnoli della famiglia dei Borgia, il matrimonio di Lucrezia con Alfonso d'Este, avevano portato alla diffusione in Italia delle novità vestimentarie provenienti dalla penisola iberica. Che consistevano soprattutto e fondamentalmente nella creazione di strutture rigide che allargavano le sottane, allontanandole dal corpo, invenzione che fu attribuita intorno al 1460 alla regina di Castiglia Juana del Portogallo. Leggenda vuole che la immorale regina avesse voluto nascondere un embarazo compromettente, ma io penso che queste forme rigide e geometriche siano nate per accentuare l'aspetto ieratico delle donne, quasi per asessuarle. Non a caso i verdugos, rami di salice incurvato, posti inizialmente sopra la faldetas, in seguito sottostanti, saranno alla base delle enormi trasformazioni che avverranno nella moda cinquecentesca a venire, proprio nel segno di una sempre maggiore distanza posta tra la donna naturale e quella artificiosa socialmente accettabile. I verdugados, tramontati nel gusto di inizio secolo, saranno ripresi proprio in Spagna a partire dagli anni '30 del Cinquecento, e nel momento di nuovo rilancio della sovranità spagnola. Infatti, l'influenza spagnola incominciò a diventare massiccia e capillare in tutta Europa nel momento in cui, a partire dal suo matrimonio con Isabella del Portogallo, nel 1526, Carlo V decise di spostare il baricentro dei suoi domini in Spagna, soggiornando appena gli fosse possibile a Valladolid, dove nacque Filippo, a Granada o a Madrid, facendovi educare i suoi figli e creando la corte dell'Infante in queste residenze reali. Inizialmente fu proprio la cultura musicale fiamminga ad estendersi a macchia d'olio in tutta Europa grazie allo strapotere imperiale. La sua Capilla Flamenca, erede diretta della Cappella Ducale di Borgogna lo seguiva in tutte le tappe dei suoi percorsi europei, fermandosi poi a Madrid e affiancandosi alla Capilla Real spagnola come istituzione permanente. Tutti i più grandi polifonisti sacri e profani fiamminghi lì confluirono, come Nicolas Gombert e Thomas Crecquillon, ai quali si unirono gli spagnoli Cristobal de Morales e l'organista nonchè "musico de la camera" Antonio de Cabezon e molti altri musicisti, virtuosi d'arpa e vihuela come Luis Venegas de Henestrosa, autore del Libro de cifra nueva para tecla, arpa y vihuela (1557), ed Enriquez de Valderrabano, la cui raccolta chiamata Silva de Sirenas (1547), deve aver accompagnato i trattenimenti del giovane principe (ascolti). Che amava moltissimo la musica tanto da farsi accompagnare come il padre in tutti i suoi spostamenti dai suoi musicisti e dai suoi strumenti musicali, e probabilmente egli stesso come la sorella Giovanna doveva apprendere a suonare la vihuela, uno strumento imparentato con il liuto, e la viola. I suoi gusti dovettero sempre guidarlo verso la polifonia più antica, se ancora da maturo sovrano, chiedeva ai monaci dell'Escorial di rimanere vincolati al Cantus firmus, invece di adeguarsi alle novità provenienti da Roma con il grande Palestrina a dettare le nuove regole della polifonia sacra. Certo che l'anima profonda della musica spagnola, quella derivata dal meticciato culturale che informa di sè l'Hesperia medievale e rinascimentale, dai canti profetici e trascendenti della antica Sibilla, alle sonorità moresche e giudee, alle romances e villancicos di Cancioneri de Palacio, fino alle variazioni su basso ostinato delle danze popolari come canarios e folias, passacalles e ciachones, jacaras e seguidillas, scandalosamente "barbare" ma che come un fiume carsico attraverseranno tutta l'età barocca, metamorfosandosi in Suites e Concerti nell'ambito cortigiano, infine tutta l'arte della diminuzione su canzoni profane come Guardame las vacas, ecco questa pulsione intima, sotterranea che arriverà a Boccherini ed oltre, tutto questo difficilmente Filippo l'avrà amato, anche se probabilmente l'avrà conosciuto nelle Glosse e nei Recercadas colti per viola e vihuela, come quelli pubbblicati da Diego Ortiz (Trattado de glosas sobre clausulas - Roma 1553). D'altra parte sappiamo che Filippo non apprezzò mai il teatro, dove pure tanta musica, tonos ed entremeses arricchivano i testi di "Comedias" e "Autos sacramentales" dei grandi autori spagnoli come Lope de Vega. Concerto FOLÍAS DE ESPAÑA: Jordi Savall (Viola de gamba); Rolf Lislevand (Guitarra barroca, tiorba); Arianna Savall (Arpa); Pedro Estevan (Percusión); Adela González-Campa (Percusión). Grabado en la Iglesia de Plouaret, el 13 de octubre de 2002, dentro del Festival de Música Antigua de Lanvellec (Francia) Grande collezionista fu Filippo: di quadri, di libri, monete, astrolabi, gioielli, armi ed armature, uomo dalla curiosità pressochè inesauribile, amò l'arte italiana e fiamminga, di Tiziano collezionò un numero altissimo di opere fra le quali le famose Poesie, quadri di soggetto mitologico, si interessò tanto da rimanerne affascinato di scienze, di alchimia e magia. Alla morte nel 1598 le sue raccolte private che arricchivano i saloni dell'Escorial ammontavano a più di sette milioni di ducati, una cifra astronomica. Amò appassionatamente la botanica e i giardini. Una delle sue residenze preferite era quella di Aranjuez, dove si recava in primavera, mentre in quella del Pardo si recava in autunno, per la caccia, altra sua grande passione fin da ragazzo, insieme con la pesca. Ad Aranjuez fece impiantare giardini alla fiamminga, chiamando giardinieri dai Paesi Bassi e facendo venire piante da tutta Europa, messe a dimora sotto la sua personale sorveglianza. D'altra parte el Rey prudente non faceva passare nulla, che non fosse sotto la sua personale supervisione. Naturalmente soprattutto negli affari di Stato. La sua immagine di giovane Principe tutto compreso nel suo sosiego castigliano la cogliamo proprio nel Ritratto del 1553 che gli fece Tiziano. Con ancora il maestoso ropon, ma con svelti grègues, jubon e guera, unisce l'immagine signorile di impronta italiana, a quella di uomo d'armi che si era andata impostando in Europa dagli anni '20, proprio a partire dalla Spagna, o per meglio dire dall'Italia ispanizzata. Pochi anni prima, nel 1549 il Principe aveva partecipato ai più fastosi festeggiamenti fatti per celebrare il suo riconoscimento quale successore del padre, a Binche. Tutta la cultura cavalleresca borgognona aveva avuto modo di dispiegarsi in queste feste che Brantome descrisse come "un miracle du monde". L'evento più spettacolare era stata la caduta dello Chateu Ténébreux del perfido mago Norabroch che teneva in ostaggio dei fedeli nobili dell'Imperatore. I cavalieri avevano dovuto, attraverso delle prove di combattimento, raggiungere l'Île fortunée dove si erano cimentati nel provare ad estrarre una spada magica infissa nel diaspro, come novelli Artù. L'eroe della Festa era stato naturalmente Filippo che si era presentato sotto le spoglie del cavalier Beltenebros, pseudonimo che nasceva dalle predilette letture dell'Amadis de Gaula, popolarissimo romanzo cavalleresco tradotto in tutte le lingue europee. Il principe naturalmente aveva estratto la spada e salvato i suoi sudditi. Per la prima volta troviamo il Principe nel ruolo salvifico ed eroico che verrà ripreso in tutte le Feste che da quel momento in avanti si succederanno in Europa. A quello stesso anno 1549 risale un altro ritratto di Tiziano, in cui Filippo indossa un corto elegantissimo saio di gusto italiano, a strisce alternate di raso e velluto nero, dai gonfi spallacci, piccoli bottoni gioiello, foderato di lupo cerviero con giubbone e calzoni di raso bianco che appena intravediamo, l'immagine di un giovane uomo alla moda, molto lontana da quelle degli anni successivi, quando domina il sovrano in armi, ritratto con la parte alta dell'armatura in molteplici occasioni. Nel 1555 Carlo V abdicò e si ritirò a passare i suoi ultimi anni di vita a Yuste nelle prossimità del Convento di San Yeronimo, testimoniando così fino in fondo la sua profonda fede nella religione cattolica. Il figlio non gli era da meno. La sua intensa devozione si manifestava in tutti gli aspetti possibili, dal seguire i precetti in modo dogmatico alla collezione di un numero esorbitante di reliquie, ciclicamente esposte, al contrastare con accanimento ogni deviazione dalla via tracciata dal Papato dopo Trento, in primis il protestantesimo in tutte le sue forme, ergendosi a baluardo della Fede cattolica, ma fu la creazione dell'Escorial, la costruzione sicuramente più ambiziosa in quel momento in Europa a dare la misura delle sue convinzioni. Nata per celebrare la vittoria di San Quintino del 1555 che fece del Regno spagnolo la potenza indiscussa fra gli Stati europei, esemplata sulle proporzioni del Tempio di Salomone, una sorta di "città di Dio" o Gerusalemme rifondata, divenne ben presto cenotafio e mausoleo per la casa regnante, seminario di studi, monastero per l'ordine geronimita, palazzo reale, sede delle innumerevoli collezioni di Filippo, corte e centro politico per i Consigli del re. Iniziata nel 1563 richiamò molteplici artisti spagnoli, ma anche e soprattutto italiani, che erano naturalmente gli unici in grado di venir incontro alle esigenze di tale committenza. Anche Tiziano collaborò con lo straordinario Martirio di San Lorenzo, realizzato ma poi mai messo in sede per l'Altare maggiore della Chiesa. El Greco si vide invece rifiutare dal re il suo Martirio di San Maurizio. A Filippo evidentemente non piaceva il misticismo trascendente esasperato di questo particolarissimo pittore, il suo gusto pittorico andava tutto alla Scuola manierista romana. Naturalmente anche la musica aveva sempre la sua più viva attenzione. I musici che facevano parte della Casa reale non dovevano essere meno di 150, su un totale di 1500 persone, inoltre il re protesse e finanziò musicisti come Thomas Luis de Victoria, rifondatore della musica sacra ispanica e Philippe Rogier, giunto dai Paesi Bassi, oltre a Cabezon scomparso però nel 1566 (ascolti). Naturalmente in questo contesto non poteva che nascere una moda che rispecchiasse questo sentimento di profondo rigore ed austerità, ma che nello stesso tempo diventasse l'emblema della ferrea etichetta e cerimonialità che esisteva in questa corte. In questa moda tutto esprime astrazione. Astrazione innanzitutto dal corpo reale che viene restituito in forme geometriche pure, due coni che si incontrano in un generico centro anche se in realtà spostato tra le gambe, quasi a segnalare, sempre in modo astratto una sessualità altrove negata (1). Il busto verrà infatti completamente annullato dalle strutture rigide interne, il verdugado impedirà ogni movimento naturale, uniche parti del corpo visibili, ma sottoposte ad un controllo ferreo dall'etichetta, le mani e il viso, che vengono ingabbiate da volute di lino e pizzo, gorgiere e manichelli. L'abito spesso nero, verrà completamente sommerso dai gioielli sempre più invasivi, nelle loro forme di carcanet intorno alla gola, collari e collane a scendere sul petto, cinture a sottolineare la vita, bracciali al polso. La ritrattistica è ricca di esempi che vengono direttamente dalla corte. Innanzitutto le mogli del re. Saranno le due principesse che sposerà nel 1559 e nel 1570 a creare un modello femminile valido per la corte e per l'Europa. La prima, è Isabella de Valois, figlia di Enrico II di Francia, l'unica donna che il re abbia profondamente amato, così come le due figlie da lei avute: Isabella Clara Eugenia e Catalina Micaela. Di lei abbiamo molti ritratti. Bellissimo quello della pittrice italiana Sofonisba Anguissola del 1565, che conosciamo grazie a una copia di Pantoja de la Cruz. La regina, nella posa che vedremo replicare in molti ritratti muliebri, appoggiata ad una sedia, indossa una saya di velluto nera con maniche "redonde" lasciate pendere al braccio, in modo da evidenziare quelle aderenti interne, probabilmente di uno jubon, di raso rosso, come rossi sono i nastri che terminano nei puntali usati per chiudere anteriormente la veste. Una gorgiera in pizzo le chiude strettamente la gola, mettendo in risalto il bel viso, dove l'unico elemento vezzoso dell'insieme è dato dalla piccola berretta ingioiellata che porta sul capo. Un altro bel ritratto della Anguissola degli stessi anni ce la mostra sempre vestita di velluto nero con una elegantissima parure di gioielli che rischiarano la saya. Molto particolari soprattutto le spille della chiusura in piccole perle e rubini. Il forte contrasto fra l'ampiezza inusitata fra le nuove maniche ad puntas, eredi delle maniche ad ali tardogotiche, e la grande aderenza di quelle interne diverrà la caratteristica delle forme moda spagnole nel confronto con il resto d'Europa. Straordinario ed in questo assolutamente anomalo è invece l'abito che la regina indossa in un ritratto di Antonis Mor. Intanto è notevole il tessuto, un luminoso raso taffetas tanè su cui risalta il raso crema ricamato in oro delle maniche interne. L'abito, sempre una saya dove è leggibilissima la sovrapposizione fra uno jubon e una faldilla, è completamente accoltellato, con le maniche redonde che sono addirittura stratagliate. Ancora non c'è una gorgiera vera e propria ma le sole lattughe della camicia che si aprono leggermente sulla gola, insieme all'abbottonatura dello jubon, sottolineata da un carcanet preziosissimo. Anche l'acconciatura è ancora di gusto francese, con degli arcelet trattenuti da un frenello ingioiellato. Insomma qui la regina che la madre Caterina de Medici, aveva accusato di essersi troppo ispanizzata, dimenticando le ragioni della sua famiglia di origine, sembra essere stata ritratta appena giunta in Spagna. Molto interessante anche il ritratto di Antonis Mor, della quarta moglie di Filippo, la nipote Anna d'Austria, sposata nel 1570, una bellezza bionda esaltata dal candore della saya bianca, riscaldata da ricami in rosso sullo jubon. Altri ritratti ce la mostrano però in vesti molto più severe, nere spesso però rischiarate da jubon chiari. I ritratti delle infante sono invece decisamente più impressionanti. Quello da bambine di Sanchez Coello ce le mostra molto piccole mentre si tengono per mano, vestite in modo rigorosamente uguale, come era divenuto uso in tutte le corti sotto l'influenza degli Asburgo. Entrambe indossano delle saye rigidissime di broccato scuro ricamato in oro, con busto, verdugado e gorgiera, insomma tutto l'apparato vestimentario delle donne adulte. Qui non solo vediamo l'infanzia negata, ma il freddo cerimoniale che condizionava la vita di queste fanciulle e che ritroveremo anche nei loro ritratti da adulte. Di Catalina Micaela un ritratto di Juan Pantoja de la Cruz del 1585 ce la mostra in un abito e in una posa non difforme da quello materno, solo ancora più rigido e condizionante. Quello poco più tardo di Isabella di Sanchez Coello ce la mostra invece in una veste chiara, brillante nei suoi ricami d'oro, con le maniche ad puntas, che con la loro linea a mantello aperto, anche se riprese al polso da un gioiello, accentueranno la cerimonialità dell'abito da corte spagnolo, sempre più fermo nel tempo. Infatti come spesso avviene nei regimi e nelle società chiuse ad ogni intervento di dinamica sociale, e questo sarà il caso sia della Spagna che dell'Italia che si andranno rifeudalizzando alle soglie del Seicento, le forme moda si fermano nella loro naturale dinamica di cambiamento, ed aiutate da Leggi Suntuarie (2) sempre più severe, si cristallizzano. Questo avverrà vistosamente proprio nella prima metà del Seicento quando a fronte di grandi mutazioni in tutta Europa, Italia e Spagna rifiuteranno le novità francesi, in Spagna addirittura per decreto reale. Non meno severi i ritratti maschili. La dominanza delle forme mode nate dopo il 1560 è totale e lo sarà fino al primo Seicento. L'esempio più bello è in un Ritratto di Gentiluomo di Mor, dove una grande sobrietà domina l'insieme di gonfi calçon imbottiti, accompagnati da jubon e guera, tutto in tinte fra il nero e il bruno. Qui non c'è nemmeno il nero austero ma prezioso che spesso vediamo nei ritratti di Filippo, come in quello di Sofonisba Anguissola del 1565, con il rosario in mano, una ropilla sulle spalle e unico gioiello il collare del Toson d'oro, o negli straordinari ritratti di El Greco, come nell'Uomo con la mano al petto del 1580 circa, dove una gorgiera di candido pizzo racchiude un viso dalla grande espressività. O nei nobiluomini raccolti intorno al corpo del Conde de Ergoz, nel celeberrimo Entierro. Qui la visione è veramente impressionante, nel tutto nero si distinguono solo i visi mobilissimi come staccati dal corpo dalle gorgiere e l'elegante gestualità delle mani. Il giovinetto in primo piano ci colpisce con la sua grazia antica e credo che nulla come un mottetto di Thomas Luis da Victoria possa fare da commento a quest'immagine così intensa. Filippo II morirà nel 1598, consegnando il regno ad un figlio che sapeva imbelle, e a una dinastia che farà dell'intransigenza e della chiusura culturale al resto d'Europa il suo progetto politico e militante. NOTE - Non sarà un caso che il maggior trattato a noi giunto di tecnica sartoriale di quegli anni sia: Libro de Geometria, pratica, y traça de Alcega - Madrid 1589
- Le Leggi Suntuarie sono leggi contro il lusso. Hanno una storia molto antica, verranno emanate a partire dal 1200 in tutti gli Stati europei in realtà per tenere sotto controllo le dinamiche sociali che proprio attraverso l'acquisizione di oggetti lussuosi, abiti, gioielli potevano avvicinare le classi subalterne all'immagine delle classi dominanti, molte volte si esprimono contro le forme moda stesse. Famose quelle emesse dal Magistrato alle Pompe veneziano.
(c) 2011 Isabella Chiappara Soria
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- Braudel Fernand - Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell'Età di Filippo II - Torino 1986
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- Giorgetti Cristina - Un "Embarazo" cortese: origine del Verdugado in Imago Moda - Rivista di Storia del Costume - Firenze dicembre 1992
- Strong Roy - Arte e Potere - Le feste del Rinascimento 1450-1650 - Milano 1987
BREVE DISCOGRAFIA RAGIONATA - Carlos V - Mille Regretz: La Cancion del Emperador
La Capella Reial de Catalunya Hesperion XXI Jordi Savall - Alia Vox - El Arte de la Fantasia - Luis Venegas de Henestrosa
Andrew Lawrence King - The Harp Consort - Harmonia Mundi - Valderrabano - Silva de Sirenas
Armoniosi Concerti - Juan Carlo Rivera - Carlos Mena - Harmonia Mundi - Thomas Luis de Victoria - Et Jesum - Mottetti a voce sola
Carlos Mena - Juan Carlos Rivera laud e vihuela - Harmonia Mundi - Entremeses del Siglo de Oro - Lope de Vega y su tiempo 1550-1650
Monserrat Figueras - Hesperion XX Jordi Savall - Alia Vox Figueras
UNA SELEZIONE DI MUSICA ONLINE - Antonio de Cabezon, Diferencias sobre la Pavana Italiana, Obras de Musica para Tecla - Enrico Baiano (harpsichord)
- Antonio de Cabezon, Diferencias sobre Guárdame las vacas, Ensemble Accentus
- Luys de Narváez, Siete Diferencias sobre Guárdame las vacas, Dolores Costoyas (vihuela)
- Cristobal de Morales - Missa Mille regrets - Sanctus - Hesperion XXI - La Capella Reial de Catalunya - Jordi Savall
- Enríquez de Valderrábano, Música para discantar, The Harp Consort - Andrew Lawrence-King
- Enríquez de Valderrábano, Sonetos VIII y XIII ("Libro de música de vihuela intitulado Silva de Sirenas", 1547) - Hopkinson Smith (Vihuela)
- Enríquez de Valderrábano, Pièces instrumentales et vocales, Carlos Mena
- Luis Venegas de Henestrosa, Fuga a 40: Unum colle Deum - Andrew Lawrence-King, The Harp Consort
- Philippe Rogier, Verbum caro - Ensemble La Fenice, Jean Tubèry
- Tomás Luis de Victoria, Officium defunctorum, Harry Christohers & The Sixteen
- Tomás Luis de Victoria, Estote fortes in bello, Carlos Mena (countertenor)
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