MARIO VALENTE Lezioni di regia di Pietro Metastasio Quarta ed ultima parte Diversamente da quanto si potrebbe ritenere, forse a causa della brevità e quasi per la secchezza della risposta di Metastasio al poeta tedesco Daniele Schiebeler, autore apprezzato di liriche anche nella lingua italiana, questa lettera del maggio 1767 costituisce il compendio e la conclusione dei ragionamenti esposti dal Poeta Cesareo nelle precedenti missive allo Hasse (1749), e allo Chastellux (1765 e 1766), a proposito della vexata quaestio dei rapporti tra poesia e musica. Senza avere presenti le prime tre lettere, infatti, si potrebbero trarre conseguenze erronee se non incorrere in veri e propri abbagli sulla funzione assegnata alla parola poetica nella costruzione del melodramma, secondo Pietro Metastasio. Ma restiamo alle considerazioni di Metastasio in risposta alle richieste dello Schiebeler: «Ella vorrebbe da me alcuni drammi senza arie […] Le dirò solo succintamente ch’io non conosco poesia senza musica; che le nostre arie non sono inventate da noi; che i Greci cambiavano anch’essi di tratto in tratto la misura de’ versi e mescolavano le strofe, le antistrofe e gli epodi; che a seconda delle passioni davano occasione a quella musica periodica che distingue le arie dal resto: onde si sono sempre distinti i cantici da’ diverbi, come si distinguono le arie da’ recitativi». In sostanza, alle sollecitazioni del giovane poeta tedesco, ammirato per la bellezza ed efficace disposizione espressiva e narrativa dei recitativi metastasiani tanto da considerare superflue e quasi incongrue le arie, capaci di distogliere l’attenzione del pubblico dalla rappresentazione delle passioni nel melodramma, Metastasio oppone non solo la coerente struttura del succedersi di arie e recitativi, ma individua e sottolinea come proprio da parte di alcuni compositori del tempo sia stata trasformata, proprio nelle arie, la funzione espressivo-comunicativa degli attori, interpreti della poesia del melodramma, in mera imitazione della voce e del suono prodotti dagli strumenti musicali («gli attori sono uomini e non violini» dice qui Metastasio), così da ingenerare confusione e sconcerto nel pubblico. La precisazione del Poeta Cesareo riassume coerentemente le posizioni già da lui espresse nelle lettere allo Hasse e allo Chastellux: la musica non può fare da padrona in casa d’altri, e in altre parole, in modo più esplicito, la musica legge, interpreta, prolunga e rafforza i contenuti semantici della poesia, e a questa non può in alcun modo sostituirsi, a suo piacimento. Le passioni, i sentimenti, e le emozioni a conflitto e/o solidali, rappresentate dai personaggi sulla scena teatrale, costituiscono un organismo formale ed espressivo unitario, al quale la poesia drammatica fornisce la veste fondamentale, e la musica il tratto incancellabile delle sue suggestioni, senza pretendere quest’ultima di farsi dominatrice, pena la distruzione di quell’ordo rerum et idearum posto a fondamenta da Pietro Metastasio nella costruzione del melodramma del XVIII secolo. La mera funzione di librettista del teatro musicale, a cui ambiziosi quanto temerari tentativi, nella seconda metà del Settecento, avrebbero voluto ridurre l’opera di Pietro Metastasio, sarebbe stata compiutamente rigettata e sconfitta dalla sistemazione teorica contenuta ne L’estratto dell’arte poetica d’Aristotile e considerazioni su la medesima, condotta a termine dal Poeta Cesareo negli anni immediatamente successivi a queste lettere. M. V. (Roma, 30 Luglio 2011) |