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Indice / Index

ISABELLA CHIAPPARA presenta

DOMENICO MAZZOCCHI
La Catena d'Adone

Favola boschereccia (1626)

Sprangervenereedadone

Bartholomeus Spranger, Venere e Adone
Kunsthistorische Museum - Vienna

MarinoAdone

CarracciAVenereeAdone

Carracci, Venere e Adone, Museo del Prado - Madrid

Rubensvenereedadone14

Rubens, Venere e Adone, Hermitage - San Pietroburgo

Non finto, è vero, è vivo

quell'Adon che leggiadro in sen si posa

a la Diva amorosa

E se nell'atto suo vago e lascivo

a noi mai non si volge, e non risponde,

o dorme al suon de l'onde,

o de le belle braccia uscir non vole,

o i baci gl'interrompon le parole.

Giovan Battista Marino - da Galleria – 1619

Adone, il leggiadro cacciatore giovinetto amato dalla dea della Bellezza Venere che per lui subisce le furie di Marte è il protagonista di una Favola boschereccia di Domenico Mazzocchi (1592-1665) creata a Roma nel 1626. Lo sfondo è la città, centro nevralgico della cultura artistica barocca dove i cardinal nepoti, Scipione Borghese, Pietro Aldobrandini, Ludovico Ludovisi, Francesco ed Antonio Barberini, solo per parlare dei primi quaranta anni del '600, ergono meraviglie architettoniche, palazzi e ville e chiese, proteggono artisti e letterati, spendono fortune alla maggior gloria loro e della loro casata, fanno confluire opere d'arte da tutta Italia ed Europa per costituire le più splendide collezioni d'arte mai conosciute, scavano nel ricco terreno romano per cavarvi le statue che andranno ad arricchire le loro già magnifiche raccolte. Una Roma lussureggiante di bellezza che ormai agli inizi del secolo si traduce anche in sperimentalismo nel campo musicale, dove nel 1600 Emilio de' Cavalieri aveva con La rappresentazione di Anima e Corpo non solo esportato il Recitar cantando della fiorentina Camerata de' Bardi, ma aveva dato vita alla prima, secondo molti, opera in Stile rappresentativo, contestando il primato alla Euridice di Iacopo Peri, e dove autori successivi come Landi, Rossi, Marazzoli e lo stesso Mazzocchi avrebbero dato vita alle nuove forme dell'opera in musica, con un prelato, futuro cardinale e papa, dalla profonda cultura classica, Giulio Rospigliosi a scriverne i testi.

Tutti i personaggi di questa Storia appartengono alla cerchia degli Aldobrandini, potente famiglia toscana che aveva dato alla Chiesa un papa, Clemente VIII, ed un cardinale, Pietro, che anche dopo la morte dello zio nel 1605 era rimasto fra i protagonisti della vita culturale e politica della città. A seguirlo nel mecenatismo artistico il nipote Ippolito ed Olimpia Maidalchini Aldobrandini, le cui seconde nozze con Camillo Pamphili porterà questi ultimi nel gotha del potere romano.

Infatti sia Giovan Battista Marino autore dell'Adone, il poema dai cui canti XII e XIII è tratta La catena di Adone, sia Ottavio Tronsarelli, redattore del libretto, sia Domenico Mazzocchi furono dei protégès degli Aldobrandini, e il marchese Evandro Conti, nel cui palazzo fu messa in scena l'opera era prossimo alla famiglia. Giovan Battista Marino era stato al seguito di Pietro Aldobrandini quando questi era legato a Ravenna, e proprio nel fertile ambiente dell'Università di Bologna avrebbe maturato la sua più importante produzione letteraria, esemplata sul modello del concettismo, basato sull'uso della figura retorica della metafora di cui l'Adone, il poema mitologico-pastorale pubblicato a Parigi nel 1623, sarebbe diventato il manifesto poetico, come ancora nel 1670 rimarcava Emanuele Tesauro nella sua summa sulla teoria estetica seicentesca Il cannocchiale aristotelico.

Domenico Mazzocchi, nato a Civita Castellana nel territorio a nord di Roma, dopo aver compiuto gli studi in seminario e aver preso gli ordini, aveva conseguito il titolo di dottore in diritto e ordinato prete nel 1619, nel 1621 insieme con il fratello Virgilio era entrato al servizio del cardinale Ippolito Aldobrandini come segretario. La sua formazione musicale, che affrontò sembrerebbe da "dilettante", si svolse probabilmente sia nella sua cittadina natale che a Roma, dove musicò poesie sacre e profane, come indicano le sue raccolte più famose : Dialoghi e Sonetti; Madrigali; e Poemata, quest'ultimo su poesie sacre di Maffeo Barberini, papa Urbano VIII. In seguito si interessò soprattutto di archeologia e a lui si devono i primi studi sulla civiltà etrusca che ha in Civita Castellana, uno dei siti più importanti. La catena di Adone è la sua sola opera ed è esemplata sullo stile rappresentativo. In effetti molti elementi della sua scrittura musicale fanno riferimento a Monteverdi, come l'uso dello stile concitato o l'uso della voce in eco, ripreso sia dall'Orfeo che dal mottetto Audi Caelum dei Vespri. La sua innovazione più interessante che avrà ripercussioni importanti nei successivi autori sarà la mezz'aria, che lui stesso dirà di aver voluto introdurre per spezzare il tedio dei lunghi recitativi, e di cui è ricchissima La catena di Adone.

La catena di Adone, favola boschereccia in cinque atti ed un prologo, fu rappresentata il 12 febbraio 1626 nel palazzo della famiglia dei marchesi Conti, nel rione di Sant'Eustachio a Roma e di questa rappresentazione molto sappiamo. Conosciamo i nomi dei due cantanti protagonisti, provenienti dalla cappella pontificia: il giovane castrato Loreto Vittori che incarnò il ruolo della maga Falsirena, mentre il tenore alto Lorenzo Sances, fratello del compositore Giovanni Felice Sances, tenne il ruolo di Adone. Magnifica fu la messa in scena, una vera e propria scena mutevole, basata su quella versatilis di cui parla Vitruvio, con l'uso di periaktoi (1) e fondale dipinti dal celebrato pittore Cavalier d'Arpino e dal meno noto Francesco de Cuppis. Le scene che cambiavano a vista mostravano di volta in volta, la grotta di Vulcano, una sinistra foresta, un giardino idilliaco, a cui seguivano un palazzo d'oro e l'antro di Plutone. Insomma tutta la meraviglia di cui era possibile fare sfoggio in una rappresentazione cortigiana e festiva.

La favola si incentra sulle vicissitudini del povero Adone, che per sfuggire alle ire di Marte, trova rifugio in un bosco dove una maga, Falsirena, di lui innamoratasi, tenta di sedurlo, incatenandolo con una catena, donatale dal geloso Vulcano, per trattenerlo suo malgrado, nel suo palazzo. Adone però non cede alle sue voglie e la maga, su suggerimento dell' ancella Idonia si reca da Plutone che le svela l'amore di Adone per Venere. L'ultimo atto è tutto dedicato al travestimento della maga nella dea e allo sconcerto di Adone che si moltiplica quando finalmente Venere stessa appare con Cupido al seguito, ed Adone si trova di fronte due immagini incarnate del suo amore. Naturalmente la vera Venere si farà riconoscere e farà incatenare ad una roccia la maga che così pagherà crudelmente i suoi errori. L'opera termina con i due amanti che celebrano i loro amori. Tutta l'opera, basata in modo insistente sulla metafora, con l'uso di frequenti ossimori, e di un forte trattamento chiaroscurale, fa prova di una grande efficacità drammatica, cromatismi e dissonanze sottolineano gli affetti presenti nel testo, e creano una dimensione estremamente caratterizzata dei personaggi. La disperazione di Adone, lontano da Venere, quella bruciante di amore non corrisposto della maga, la disinvolta sicurezza di Venere che riconquista a se l'amato, il provocante ed impertinente garzone Cupido che intreccia con la madre sensuali duetti, tutta la gamma di affetti viene messa in campo. In particolare il personaggio della maga offre una infinita serie di sentimenti contrastanti, rendendo il gioco chiaroscurale con un canto fortemente espressivo, facendo spesso uso anche dello stile concitato. L'inserimento delle mezz'arie all'interno del Recitar cantando, quindi negli stessi recitativi, rende estremamente vario il trattamento musicale, e le melodie inattese e l'asimmetria armonica che ne deriva rendono unica quest'opera. Che termina, dopo un delizioso terzetto di Adone, Venere e Cupido, con un doppio coro, scrittura in genere riservata alla musica sacra, che sancisce ancora una volta il ruolo fondamentale del coro, che come nella tragedia antica, commenta i fatti narrati, e se ne fa portatore non coinvolto emotivamente nella storia.

Di questa splendida opera abbiamo finalmente un'esecuzione moderna. E' infatti di recentissima uscita un cd realizzato da un gruppo di giovani interpreti belgi, che aveva già dato prova di sè in una bellissima esecuzione dell'Euridice di Caccini nel 2008. Si tratta dell'Ensemble Scherzi Musicali, diretto dal tiorbista, nonchè ottimo baritenore, Nicolas Achten. Ottima l'esecuzione, forse solo la dizione italiana del tenore Reinoud Van Mechelen, per altro bravissimo nel rendere le angoscie di Adone, è perfettibile, ma è magnifica l'interpretazione della mezzo soprano Luciana Mancini, splendida Falsirena, nella sua mutevolezza di toni e contrasti chiaroscurali: amore, ira, disperazione, rassegnazione. Ma sono bravi tutti gli interpreti di questa che è veramente una composizione capitale nella storia dell'opera. La stessa ricchezza strumentale, si parla di una trentina di musicisti nella cronaca dell'epoca, qui ridotti a otto, fra cui lo stesso Achten all'arciliuto, arpa tripla, spinettina e clavicembalo, l'uso di strumenti dalle particolari sonorità, come la spinettina già indicata e il tiorbino, versioni all'ottava di clavicembalo e tiorba, l'uso di un secondo clavicembalo montato con corde di budello, la cura e la ricerca approfondita del colore strumentale per descrivere il carattere di ogni personaggio, fanno di questa interpretazione un modello esemplare. La sensualità e il sottile erotismo, seppur velato sotto la metafora della morale cristiana che viene messa a codicillo dell'opera, nulla a questa togliendo di quella particolare atmosfera edonistica che regnava nella Roma papale del primo Seicento, trova così una assai pregnante rappresentazione.

Isabella Chiappara, 19 febbraio 2012


Note

  1. I periaktoi, o periatti in volgare, erano delle alte armature a forma di prisma di tre o più lati, situate ai due lati del palcoscenico sulle diagonali assiali, in numero di due o più per lato, convergenti verso un altro prisma di maggiori dimensioni che costituiva il fondale. Ogni lato portava un telaio armato con sopra dipinti prospettivamente gli elementi delle mutazioni delle scene. Ogni prisma era attraversato da un asse che li faceva ruotare su se stessi permettendo la mutazione a vista delle scene. Ne trattava già Vitruvio e vennero ripresi sia da Serlio che da Egnazio Danti autore di un trattato sulla pratica del disegnare le Prospettive delle Scene (1611). Il loro utilizzo iniziò nel 1568 a Firenze con le scene per i Fabii e dei suoi Intermezzi disegnate da Baldassarre Lanci.

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coverCDmazzocchi

Falsirena - Luciana Mancini mezzo soprano
Adone - Reinoud Van Mechelen
tenore
Venere e ninfa - Merel Elishevah Kriegman
soprano
Amore e ninfa - Catherine Lybaert
soprano
Idonia e ninfa - Marie de Roy
soprano
Apollo e pastore - David Szigetvari
tenore
Oraspe e pastore - Olivier Berten
baritono
Areste, Plutone e pastore - Nicolas Achten
baritono

Scherzi Musicali - direzione Nicolas Achten

Alpha 184

Copyright 2012 Isabella Chiappara Soria

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