JEAN BAPTISTE LULLY (1632-1687) Atys Tragédie en musique en un prologue et cinq actes Poème de PHILIPPE QUINAULT (1635-1688) Enregistré a l'Opéra Comique en Mai 2011 Réalisation - François Roussilion Production - Toni Hajal | Bernard Richter, Atys Stéphanie d’Oustrac, Cybèle Emmanuelle de Negri, Sangaride Nicolas Rivenq, Célénus Marc Mauillon, Idas Sophie Daneman, Doris Jaël Azzaretti, Mélisse Paul Agnew, Le Sommeil Cyril Auvity, Morphée Bernard Deletré, Le temps / le fleuve Sangar Compagnia di danza Fêtes galantes Coro e orchestra Les Arts Florissants Direzione musicale: William Christie Regia: Jean-Marie Villégier FRA Musica FRA006 (2 DVD) / FRA506 (Blu-ray) |
Jacques Vigoureux-Duplessis (c.1680 - 1732) Le Palais du temps - Décor pour le prologue de «l'Atys» de Lully, c.1708 Musée Carnavalet Histoire de Paris (Salle 36) *** el maggio del 2011 si ricreava all'Opéra Comique di Parigi un evento che nei tardi anni '80 aveva riportato l'interesse sul massimo autore del Grand Siècle francese, quel Jean Baptiste Lully le cui opere, dopo l'enorme successo che avevano conosciuto fino al Settecento, erano entrate nel regno dell'oblio da più di due secoli. Se altri autori del Barocco francese avevano conosciuto una riscoperta, come Rameau e Charpentier (l'esecuzione filologica di opere come Les Boréades o Hippolyte et Aricie avevano incantato gli spettatori di Aix-en-Provence grazie alla direzione di J. E. Gardiner nel 1982 e 1983, mentre la Médée aveva conosciuto un buon successo discografico nell'incisione del 1984 di W. Christie), Lully rimaneva sconosciuto, nella sua reale essenza musicale, fino al 1987, quando veniva messa in scena l'opera sua forse più amata ai tempi di Luigi XIV: l'Atys su libretto di Quinault. Si può affermare senza ombra di dubbio che fu in quel lontano gennaio 1987 che la Francia scoprì di avere un'anima barocca e tutto ciò che succederà nei venti e più anni successivi nel mondo musicale francese, ma non solo, sarà una conseguenza di quella rappresentazione che ben presto divenne leggendaria. Per la prima volta il mondo perduto dell'Académie royale risuonava, con le sue particolari sonorità e la sua lingua affascinante, il suo basso continuo ricchissimo, le sue danze, la sua grazia ed eleganza, ma anche pompa e grandeur. Basti soltanto pensare che tutto un universo di artisti barocchisti fece con quella esecuzione il suo battesimo del fuoco, alcuni nomi possono dare un'idea: Marc Minkowski al fagotto, Christophe Rousset al clavicembalo, Hugo Reyne primo flauto, Hervé Niquet e Veronique Gens coristi, senza nominare le prime parti e i cantanti, tutti celebri e celebrati interpreti del repertorio del 600-700 francese: Guillemette Laurens e Agnès Mellon, Gilles Ragon e Guy de Mey fra gli altri.(1) Di quella straordinaria esperienza musicale e scenica rimaneva solo l'incisione dell'Harmonia Mundi, e già questo era tantissimo per chi, come me, si avvicinava a quel mondo con qualche ritardo. Ma quello che aveva scolvolto tutti coloro che avevano assistito alle rappresentazioni era stato lo spettacolo nella sua interezza: regia, costumi, scene, coreografie, tutto si integrava in modo splendido con la musica creando qualcosa di unico e mai visto in precedenza. Di quello, solo qualche lacerto mal filmato da qualche anno era comparso su YouTube, facendo ancor più rimpiangere il fatto che all'epoca non si fosse pensato di registrarla in video. Ciò fino al 2011, quando un mecenate americano della Brooklyn Academy of Music, Ronald P. Stanton, che aveva assistito più volte alla rappresentazione dell'Atys, e che se ne era innamorato a tal punto da desiderare di rivederla, giungeva alla decisione di finanziarne personalmente una riedizione, che dopo la prima all'Opéra Comique e la tournée internazionale, coprodotta dal Théâtre de Caen, dalla Brooklyn Academy of Music, dall'Opéra National di Bordeaux e dalle stesse Arts Florissants, veniva registrata in un DVD, che finalmente restituiva a tutto il pubblico dei melomani baroccofili questo strordinario evento.(2) I protagonisti della prima edizione ci sono quasi tutti: Jean-Marie Villégier il geniale regista, William Christie con le sue Arts Florissants, Patrice Cauchetier costumista, Carlo Tommasi per le scene. Solo la scomparsa coreografa Francine Lancelot è stata sostituita da Béatrice Massin, che ha mantenuto inalterati i bellissimi balletti, e naturalmente sono cambiati i cantanti, tutti della nuova straordinaria generazione che sta conoscendo la musica barocca francese, da Stéfanie d'Oustrac, a Bernard Richter a Cyril Auvity a Emmanuelle de Negri, fino al cameo di Paul Agnew, splendido Dieu du Sommeil. Atys, l'opéra du roi, come fu chiamata per l'apprezzamento che ebbe dallo stesso Luigi XIV, è la quarta tragédie lyrique di J. B. Lully e fu rappresentata per la prima volta il 10 gennaio 1676 a Saint Germaine-en-Laye, conoscendo in seguito innumerevoli repliche fino al 1753, quando in seguito cadde nell'oblio. La tragedia, potente drammaturgicamente e dalla splendida versificazione nel francese elegantissimo e raciniano di Quinault, è incentrata sulla figura del Grande Sacerdote della dea Cybèle, Atys e sul suo amore disperato anche se corrisposto per Sangaride, figlia del fiume Sangar, promessa sposa di Célénus, re dei Frigi. Anche la dea Cybèle ama Atys e tenta di conquistarlo a sé ponendolo di fronte ai magnifici doni di cui ella è portatrice: potere e amore eterno di un'immortale. Nella meravigliosa scena del Sonno, che occupa quasi per intero il terzo atto, i Sogni, agréables e funéstes, inviati da Cybèle ed accompagnati dal Dieu du Sommeil, da Morphée e da Phantase, vengono a visitare Atys addormentato, dando vita a quella che è forse una delle più belle pagine del barocco musicale francese e non solo. Atys tenta di contrastare il matrimonio di Sangaride con Célénus, ma in questo modo svela i propri sentimenti alla dea che gelosa ed adirata mette in opera una tragica vendetta. Così, grazie alla potenza infernale, ella sconvolge i sensi di Atys che non riconoscendo l'amata la uccide, per poi una volta ritornato in sé uccidersi a sua volta. Solo di fronte a questa terribile morte la dea è colpita dai rimorsi e trasforma Atys in un pino sempreverde, come eterno sarà il suo amore. Tutto l'atto V, di una forza drammaturgica eccezionale, è scolpito dalla morte e dalla deplorazione della dea, che invita tutti, ripetutamente a piangere Atys. Lully in questa opera dà prova di tutta la sua capacità di porre l'incantamento, la magia al primo posto della sua scrittura musicale, messa al servizio di un testo dai versi brevi, folgoranti, che con una tensione via via sempre più sostenuta portano alla tragedia finale, per placarsi nel lungo e ossessivo lamento della dea. Il passaggio dall'intrigo galante alla tragedia avviene attraverso l'elemento onirico, che non a caso si trova a metà dell'opera, una sorta di cesura tra la prima parte, piuttosto convenzionale nel gioco dei contrasti amorosi, e la seconda, dove la consapevolezza del tragico destino che tutti attende trova solo un momento di abbandono nella incredibile festa del dio del fiume Sangar, che invita le divinità fluviali a festeggiare le nozze di Sangaride fra balli e canti, in un air à boire strepitosa, che ricorda il primo Lully delle comédie-ballet, con il suo ritmo serrato e danzante. Come sempre in Lully i cori, i balletti, i divertissement rendono l'opera seducente, così come il comparto strumentale, ricchissimo già nel continuo (difficile oggi immaginare il suono di trenta liuti che suonano contemporaneamente), l'ouverture che restituisce tutta la magnificenza dello stile versallais, i decori e le macchine che all'epoca dovevano rendere con immediatezza l'illusione e con la musica trasportare verso la meraviglia. Nella messa in scena moderna di questa opera molto ci è restituito, anche se Villégier non ha voluto fare una ricostruzione filologica, ma comunicarci la sensazione di un mondo perduto e lontano, che come un sogno a noi ritorna. È proprio nella scena del Sonno che giungiamo a cogliere la magia e l'indicibile: la musica sulla scena, sublime con i suoi flauti, oboi e liuti, accompagna i gesti degli dei reincarnati nelle forme della giovinezza del Re Sole, le luci accarezzano i costumi di tessuti d'oro e d'argento, i sogni, straordinari ballerini e ballerine dall'eleganza strepitosa, si muovono sinuosamente davanti ai nostri occhi incantati restituendoci un universo di bellezza che ancora ci può, ci deve appartenere, anche se apparentemente così lontano. La tragedia finale, l'Atys sconvolto che non vediamo uccidere Sangaride, ma cogliamo in tutto il suo spasimo all’atroce scoperta, i toni da teatro senechiano, la deplorazione dopo la morte dell'eroe, la dea che assiste come una sorta di mater dolorosa, fra le candele accese, il corpo dell'amato, quasi una pietà profana, portano dopo il parossismo alla catarsi e alla purificazione degli eccessi, come se il teatro a questo fosse deputato; tutto questo, che c'è già in Lully e Quinault, ci viene comunicato nella sua straordinaria contemporaneità. Tutto, in una regia di attori favolosa, decori di grande eleganza che non ricercano gli effetti della meraviglia, ai nostri occhi quasi impossibile da realizzarsi, ma situano la storia in un interno, questo sì rigorosamente antico, ispirato alle stampe del tardo XVII secolo, che non prevarica ma fa apparire in tutta la sua magnificenza i sontuosi costumi. Una ricerca rigorosa sulle fonti ha portato il costumista a ricreare un'immagine della moda alla corte di Luigi XIV, forse datata lievemente in ritardo rispetto all'esecuzione del 1676, con abiti situabili più alla fine del secolo (ma queste sono sottigliezze da storica quale io sono) ma bellissimi e filologicamente corretti, e quindi dallo straordinario appeal.
Il contrasto fra il coro in manteaux e justaucorps nero e argento, gli eccessi decorativi dei galloni e delle parrucche bionde e argento, le alte commodes e palissades, tutto ci restituisce pienamente l'esprit francese di quegli anni, così come i ballerini e i sogni del III atto nelle loro rhingraves e pourpoints oro e argento degli anni del giovane re, aumentano la sensazione di straniamento onirico della scena. Nel Prologo, viceversa, è il mondo incantato della commedia, con i suoi colori e la sua gestualità, i lazzi delle maschere, uniti alla maestosità del Tempo, alla gaiezza di Flore e di Melpomène, musa della tragedia, ad arricchire uno scenario variato nel quale ritornano prepotentemente alla memoria le scene di una teatralità barocca fastosa ed immaginifica. La dea infine, incarnata da una Stéphanie d’Oustrac strepitosa per drammaticità e virtuosità di linea musicale, vera tragédienne, nero vestita e – unica concessione al nuovo interprete – acconciata senza parrucca, con i suoi bei capelli scuri ornati da una corona maestosa, che si toglie nella scoperta dei suoi sentimenti umani e quindi fallibili. Tutti gli altri interpreti sono favolosi, a cominciare da Bernard Richter, il cui Atys è prima formale e poi nell'incalzare del pathos via via più incisivo nell'interpretare il dramma, la Sangaride di Emmanuelle de Negri, ottimo dessus, ma a colpire sono naturalmente Paul Agnew e Cyril Auvity, la cui eleganza lascia senza fiato e il basso Bernard Deletré, grande Tempo nel Prologo e soprattutto grandissimo dio Sangar nella sua buffoneria manierata. Che dire dell'esecuzione musicale, è eccezionale come già ci aveva abituato il CD di quella dell'87. Con il suo ricchissimo comparto strumentale fatto di dessus, hautecontres, tailles, quintes e basses de violon, in tutto ben 28 musicisti, quattro tra flauti traversi e à bec, cinque oboi, due fagotti, percussioni, più per il continuo 2 viole da gamba, un liuto e due arciliuti, un liuto soprano e due clavicembali, ci fa ascoltare un suono corposo, una massa sonora magnifica per eleganza e grandeur, i recitativi nobili e tranquilli nella loro declamazione perfetta, anche se in francese moderno, fanno pensare a Racine e a Corneille, le arie e i balletti, i cori e le entrée hanno una vivacità aggraziata o al contrario un afflato tragico degno del teatro greco. Insomma l'evento si è ripetuto e dire che l'invenzione si situa a più di venti anni fa è sterile, perché ancora oggi è attualissima e audace, ancor più quando il dibattito sulla messa in scena delle opere barocche si fa serrato, che tanto Konzept e tanto Regietheater ci tolgono spesso la visibilità di una bellezza che, lo ripeto, ci può e ci deve ancora appartenere. Note - Vorrei ricordare che la prima assoluta fu data il 26 dicembre 1986 al Teatro Metastasio di Prato, perchè la produzione fu voluta da Massimo Bongianckino, fiorentino all'epoca direttore dell'Opéra Garnier e da Jean-Louis Martinoty che lo andava a sostituire in quel ruolo, insieme con Thierry Foquet direttore della Sala Favart (Opéra Comique), che avrebbe poi il 16 gennaio 1987 messo in scena l'opera. Bongiankino aveva fatto pressioni per portare la produzione a Firenze, ma all'epoca il Teatro comunale aveva un accordo con quello di Prato e così molti spettacoli in abbonamento erano dati in quella città. Il risultato fu che l'opera andò in scena in una sala desolatamente vuota! Per fortuna nelle tre repliche successive il pubblico avvisato dalla stampa accorse a riempire la sala.
- Nel DVD ci sono anche quasi un'ora e mezza di supplementi interessantissimi, non solo sulla produzione in se, ma su tutto l'universo del barocco francese del Grand siécle, quindi danze, macchine, storia, ecc. ecc.
Isabella Chiappara 14 aprile 2012
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