Isabella Chiappara presenta L'Orfeo dolente di Domenico Belli La Morte d'Orfeo di Stefano Landi Sinibaldo Scorza - Orfeo incanta gli animali - c1630 - Galleria privata
rfeo, il cantore trace, figlio di Apollo dio della Musica e di Calliope, dalla bella voce, musa della Poesia epica, è il mito fondativo della rinascita della Musica degli Antichi e del suo potere magico, della volontà di riportare in vita i potenti effetti emozionali di quella che era considerata come la summa tra poesia lirica ed armonia, Orfeo che incantava uomini e animali, a cui la Natura rendeva omaggio, e gli stessi Dei dell'Olimpo soggiacevano al suo ammagliante canto. Orfeo che con la sua passione bruciante per Euridice aveva creato un "disordine" nell'ordine naturale che solo il suo sacrificio, la morte e lo smembramento del suo corpo ad opera delle Menadi, seguaci di Bacco, poteva riportare all'ordine primigenio, alla sfera apollinea. Su questo mito la storia dell'opera poneva le sue basi, fin dalla Fabula di Orfeo di Angelo Poliziano, a cui Romain Rolland, nel suo testo fondamentale sull'opera dava un titolo altamente allusivo L'Opéra avant l'Opéra. Altrove parlerò delle due versioni di Peri e Caccini dell'Euridice rappresentata a Firenze nel 1600 durante i festeggiamenti per le nozze di Maria de Medici con il re di Francia Enrico IV, e dell'Orfeo monteverdiano del 1607. Esistono però due straordinarie versioni della storia di Orfeo in due opere in stile rappresentativo del 1615 e del 1619 di autori di provenienza diversa, l'uno fiorentino, nutritosi del Recitar cantando della Camerata de Bardi, l'altro romano dalla formazione canonica al Collegio Germanico, regno della retorica e della filosofia del Seminario Romano dove dominava il maestro di cappella Agostino Agazzari. Si tratta di Domenico Belli, autore di un Orfeo dolente su testo del grande poeta Gabriello Chiabbrera, i cui cinque atti furono rappresentati a Firenze durante il Carnevale del 1615 come intermedi di una messa in scena dell'Aminta di Torquato Tasso al Palazzo Scala della Gherardesca, e di Stefano Landi la cui Morte di Orfeo vide la luce a Padova nel 1619 dove il musicista dall'anno precedente era al servizio della corte episcopale del cardinale Scipione Borghese come maestro di cappella, si presume quindi da questi commissionata e il cui testo è attribuibile allo stesso Landi. Le due "favole in musica" rientrano entrambe nella tradizione pastorale, dalla quale però si distanziano per il trattamento sperimentale e sovversivo sia del testo poetico che di quello musicale. Un primo elemento che accomuna le due opere dal punto di vista drammatico è la totale assenza di Euridice, la sposa perduta due volte, la prima per il morso del serpente, la seconda per l'improvvido desiderio di Orfeo di rivederla dopo averla riconquistata agli Inferi. Euridice è solo evocata dal terribile dolore della perdita nell'Orfeo dolente, mentre nella Morte di Orfeo fa solo una brevissima apparizione alla fine del quinto atto, quando non riconosce lo sposo giunto nell'abisso infernale dopo la sua efferata morte. Tutta l'azione si incentra sul cantore, provato da tanta crudele sorte, e in entrambe le opere diventa importante il ruolo della madre Calliope, che nell'Orfeo fiorentino svolge una funzione molto simile a quella della Speranza nell'Orfeo monteverdiano, mentre in quello padovano appare come straziata madre alla ricerca del corpo del figlio. In entrambe le opere è Orfeo, che, ritornato sulla terra dopo l'infelice viaggio nel regno di Plutone, piange l'amata mentre tenta di riconquistare la perduta pace. L'Orfeo dolente di Domenico Belli è naturalmente il più antico, anche perchè di quest'opera esisteva una prima versione del 1608, che è in realtà un lungo ed ininterrotto lamento, mentre nella versione del 1615 vengono inserite delle nuove situazioni drammatiche, soprattutto nel quarto e quinto intermedio con l'apparizione delle Grazie. Di Domenico Belli poco sappiamo, viene appena citato da Ottavio Pitoni autore di una Notizia de' contrappuntisti e compositori di musica redatta nel XVIII sec, proprio come compositore da camera e autore dell'opera di cui stiamo trattando. Fu comunque maestro di cappella nella Chiesa di San Lorenzo e al servizio della corte di Cosimo II, sicuramente attivo nelle numerose messe in scena e feste organizzate in questa corte estremamente feconda sia dal punto di vista spettacolare che intellettuale. Jan Brueghel il Vecchio - Orfeo agli Inferi - 1594 - Galleria Palatina palazzo Pitti, Firenze
La Favola incomicia dopo una breve sinfonia introduttiva con il canto di Orfeo che ripresentatosi di fronte agli Dei infernali chiede di nuovo invano di riavere Euridice, persa per troppo amore e non per desiderio di trasgredire al comando imperioso di Plutone. Malgrado la supplica di Proserpina, ancora una volta commossa dal pianto del cantore, Plutone si mostra inflessibile ed è Calliope a dover intervenire per convincere il figlio amato ad abbandonare ogni tentativo di riconquistare il perduto bene. All'esortazione materna si uniscono le tre Grazie che interloquiscono con Orfeo nel quarto intermedio, mentre nel quinto, interamente a loro dedicato concludono l'opera su una tonalità festiva. Un coro finale lamenta la crudeltà femminile ponendosi nella tradizione misogina a cui tutto sommato appartiene la storia di Orfeo. Come dicevo tutta l'opera, sin dal ritornello introduttivo costruito su di un tetracordo discendente, è nella forma del lamento. Il primo intervento di Orfeo Nubi d'Abisso è contrassegnato da un crudo tormento che rende il suo canto particolarmente espressivo, basato su effetti di cromatismi e dissonanze che rendono ardua l'interpretazione, che vuole creare una vera e propria incarnazione con il personaggio. I numerosi cori, segno dell'ancora presente tradizione fiorentina degli intermedi, sono su una "intonazione" più ricca e variata e così i ritornelli, con il cornetto a creare affascinanti diminuzioni e passaggi. Insomma un'opera di trapasso, dalla prima alla seconda fase del Barocco, estremamente sperimentale seppur ancora legata profondamente alle tematiche del Recitar cantando con l'unione della poesia alla musica, la predominanza della prima sulla seconda, e gli "affetti" che vengono sublimati dal testo poetico, intanto che vengono accompagnati da quello musicale. Ancor più innovativa è La morte di Orfeo di Stefano Landi, un vero e proprio laboratorio musicale, dove si getteranno le basi per la successiva evoluzione romana dell'opera. Lo stesso Landi sarà tra gli autori che alla corte dei Barberini rinnoveranno il genere con l'inserimento di elementi tratti dalla Commedia e l'inserto di gamme vocali ascendenti che andranno a rompere il tedio dei lunghi recitativi fino ad arrivare alla mezz'aria di Mazzocchi sancendo così la nascita del Cantar recitando, presago di sviluppi sorprendenti nella evoluzione successiva del Dramma in musica. Innanzitutto fin dal titolo viene definita una tragicommedia pastorale e non più una favola e anche se la tradizione pastorale di matrice fiorentina non viene completamente abbandonata, viene comunque sottoposta ad una trasformazione profonda, posto come è il mito ad una sorta di parodia sovversiva, che lo erode dall'interno. Esemplare è in questo il trattamento estremamente variato dei registri espressivi, dal patetico, al grottesco, al tragico. Intrighi secondari vengono ad arricchire l'argomento principale e una moltitudine di personaggi comprimari e secondari danno vita ad una scena varia e mutevole. Non c'è più il trattamento monolitico del coro, bensì una ricchezza di varianti, con insiemi diversi di più voci, dalle otto canoniche alle tre o due degli affascinanti interventi degli Euretti o dei Satiri. La storia si svolge in cinque atti ai quali manca il Prologo, anche se il primo atto con la presenza della dea Teti, che presaga del destino avverso dell'Eroe vorrebbe salvarlo e il Fato che ad essa si contrappone, sono sotto ogni aspetto una prefigurazione dei Prologhi anticipatori dell'azione successiva. Orfeo, ritornato all'ordine apollineo, al suono della lira invita tutta la natura a gioire al suo giorno natale mentre gli dei si preparano al ricco convito che lo festeggerà nei Cieli, con Mercurio a far da coppiere ed il fiume Ebro ad invitare Fauni, Sileni e pastori. Gli unici ad essere cacciati dalla festa sono Bacco e le donne, contro le quali Orfeo si lancia in una vera e propria velenosa invettiva. Apollo stesso interviene rallegrato nel vedere il figlio lieto e gioioso, dimentico dell'amore e lo invita a non più soggiacere ad esso, rinfrancato dalle parole stesse di Orfeo. Conclude il secondo atto una scena deliziosa che inizia con un coro di otto satiri, che si trasforma in diversi duetti tutti incentrati sulla delizia del bere. All'inizio del secondo atto il fiume Ebro incita l'Aurora ad inaugurare il giorno e questo dà vita ad un'altra scena magnifica, con tre Euretti, venticelli soavi, che iniziano una gara canora con gli uccelli cantori, una vera e propria architettura sonora di estremo virtuosismo con gorgheggi elaboratissimi sulle parole "gorgheggiando" e "gareggiando". Il terzo atto mette in scena la collera di Bacco che incita le menadi alla vendetta. Rimarcabile in questo contesto il coro a quattro delle Baccanti abbandonate e tradite da Orfeo e il lamento di Nysa, a cui risponde Eco, che riprende l'ultima parola e l'ultima parte di questa, cambiando completamente il senso della frase, in un gioco di specchi che porterà alla fine Nysa dalla disperazione alla furia finale. Nell'ultima scena Bacco stesso chiamerà a se il Furore per porre fine con orrore alla vita di Orfeo. Il IV atto è tutto dedicato alla morte di questi, che postosi sotto un lauro a ripensare alla sua dolce Euridice, viene scoperto dalle Menadi infuriate che lo uccidono, dividendolo brano a brano. Terrificante il coro a quattro intercalato da una voce solista, in una progressione della furia che vede ripetersi in una sorta di ritornello orgiastico i nomi di Bacco e Niseo. Nella terza scena interviene Calliope che alla ricerca del figlio incontra Fileno che affranto racconta la terribile fine di Orfeo. Il lamento di Calliope Ahi vista! Ahi figlio! Ahi! Ciel! Ahi! Numi! di un afflato tragico pari solo a quello della Messaggera monteverdiana è concluso da un coro a tre e a sei di pastori che piangono la morte del loro semideo. Nel V atto l'ombra di Orfeo giunge all'Averno, rallegrandosi di esserci alfin giunto per poter riunirsi ad Euridice, ma trova a sbarrargli la strada un Caronte, non più disposto, anche perchè l'eroe è disbranato e insepolto, a lasciargli libero il passo. Ai lamenti di Orfeo giunge Mercurio che lo invita a lasciare quei luoghi oscuri per i Cieli, e per meglio convincerlo gli mostra una Euridice completamente immemore di lui e del suo amore. Solo l'acqua del fiume Lete porrà fine allo strazio della sua anima disperata ponendolo infine nell'oblio profondo. E qui si pone uno dei momenti più esaltanti dell'opera, una vera e propria air a boire, anticipatrice di tante altre del pieno barocco, con Caronte che invita Orfeo a bere trasformando l'acqua mitica del fiume infernale in volgare vino in una parodia che trasporta la scena in una dimensione comica. Nell'ultima scena dei e pastori celebrano Orfeo ritornato in Cielo, abbandonando definitivamente il "disordine" bacchico per l'ordine apollineo. Due opere esemplari queste di Belli e Landi che trovano in due perfette incisioni la loro espressione moderna. La registrazione dell'Orfeo dolente si trova nel cd Firenze 1616 de Le Poème Harmonique di Vincent Dumestre, splendido lavoro dedicato al Recitar cantando alla corte fiorentina, con in aggiunta splendidi brani di Giulio Caccini e Claudio Saraceni e il bravissimo Arnaud Marzorati a impersonare il mitico cantore. A La morte di Orfeo è dedicato il cd dell'Ensemble Akademia diretto da François Lasserre e un magnifico Cyril Auvity nel ruolo di Orfeo, mentre Calliope è un'ispirata Guillemette Laurens e Dominique Visse un Bacco/Caronte particolarmente centrato negli ostici personaggi. Entrambi gli Ensembles danno vita alle partiture con vivezza teatrale e rendono queste opere affascinanti per l'uditore contemporaneo. Isabella Chiappara, 13 febbraio 2012
RIFERIMENTI DISCOGRAFICI Firenze 1616 Le Poème Harmonique Vincent Dumestre Arnaud Marzorati - Orfeo Isabelle Druet - Calliope Philippe Roche - Plutone Catharine Padaut - prima Grazia Camille Poul - seconda Grazia Aurore Bucher - Terza Grazia Jan Van Elsacker - un pastore Alpha 120 (2007) Stefano Landi: La Morte di Orfeo Tragicommedia pastorale Akademia direzione François Lasserre Cyril Auvity - Orfeo Guillemette Laurens - Teti, Calliope Dominique Visse - Bacco, Caronte Jan Van Elsacker - Ireno, Fileno Damien Guillot - Lincastro, Fosforo Aurore Bucher - Aurora, Nysa, Euridice Emmanuel Vistorky - Hebro, Giove Vincent Lesage - Apollo, Furore Bernard Dazin - Mercurio Geoffroy Buffière - Fato Cécile Kempenaers, Celine Vieslet, Laurence Renson - tre Euretti ZigZag Territoires 070402 (2006) *** Copyright 2012 Isabella Chiappara Soria |