Flemalle, non barocca quindi ma quattrocentesca, appartenente a quella meravigliosa Scuola che è la pittura fiamminga. Sotto un cielo tersissimo e luminosissimo, immersa in quella luce meridiana che solo l'arte dei pittori fiamminghi riesce a restituire, ritroviamo la povera capanna diruta, il Bambino appoggiato nudo sulla nuda terra, il bue e l'asino, Giuseppe con la candela accesa e la Vergine inginocchiata, nella sua candida veste simbolo di castità, le due levatrici, una delle quali Salomè con la mano ustionata per aver voluto provare la verginità di Maria, gli angeli che cantano laudi e i pastori con tanto di cornamusa che si affacciano stupiti ed attoniti alla misera finestrella. Tutti gli elementi ripresi dal Proto Vangelo e diventati tradizione nella rappresentazione della Natività da quella colta a quella popolare del Presepe. Pastori ed Angeli, ma anche il Demonio, l'eterno Nemico, non potevano non comparire in una tradizione antichissima come quella del Presepe che a Napoli vantava lunghi secoli di diffusione, prima di diventare nel Sei-Settecento una delle manifestazioni più importanti dell'Arte Sacra partenopea. Una complessa commistione di stratificate credenze pagane e riti arcaici uniti alla diffusione della religione cristiana, soprattutto nella sua componente più magica e favolistica, quella appunto dei Vangeli Apocrifi, aveva creato quel microcosmo dal fascino atemporale che è il Presepe popolare napoletano. Con i suoi simboli antichi e misteriosi tradotti in personaggi della più toccante e scontata quotidianità. Il Diavolo, il Belfagor della Cantata dei Pastori, trasformato in oste e la taverna in inferno metaforico, i Re Magi legati alla simbologia solare fin dal colore dei loro abiti, mentre la Re Màgia, la regina mora che li accompagna, è simbolo dell'elemento notturno e ferico, il cacciatore e il pescatore che rinviano ad arcaiche rappresentazioni del ciclo morte-vita, gli artigiani che raffigurano i mesi del calendario rurale, le anime pezzentelle, i defunti del Purgatorio, che riportano alla componente notturna ed infera presepiale, la lavandaia che non è altri che Salomè la incredula levatrice. E soprattutto Angeli, che osannano il Cristo Bambino, Demoni incatenati, sia bianchi, antichi satiri e creature del mito sconfitto, che neri, angeli decaduti e precipitati nell'abisso, ed infine i Pastori, da Benino, il pastorello dormiente a cui viene fatto l'Annuncio, ai tanti che accorrono per partecipare all'Epifania Sacra. E' questo mondo favoloso che ritroviamo nelle Cantate per la Nascita del Verbo della musica seicentesca napoletana, dove al meglio si esprime la particolare religiosità della Città. Una religiosità che a Napoli si manifestava in forme esteriori dalla grande spettacolarità ed esibizione di magnifica pompa e che era l'occasione nei giorni consacrati alle Feste dell'Anno liturgico e dei Santi Patroni, per San Gennaro ben tre, e Natale e Pasqua erano naturalmente le più importanti, di rappresentazioni sacre in cui la componente musicale era preponderante e delle quali erano protagonisti gli allievi dei quattro conservatori della Città. I giovanissimi musicisti, che assommavano ad un numero incredibile, fino a 500 in un anno, venivano divisi in frotte o "paranze" che andavano ad arricchire con la loro partecipazione, i numerosissimi "festini" che si svolgevano in vie e piazze, chiese e palazzi nobili, che in tal modo imitavano le grandi feste e celebrazioni che si svolgevano a Corte o nella Cappella di San Gennaro. I bambini e giovinetti, nelle loro tonache colorate, talvolta vestiti da angeli, spesso protagonisti anche di ardite macchine barocche con le quali venivano sollevati a simulare il volo, cantavano e suonavano laudi polifoniche o brevi mottetti. Le novene degli zampognari, i rustici musici che con cornamusa e ciaramella, scendevano dai monti dell'Abruzzo o della Ciociaria, erano anch'esse una componente importante del periodo natalizio, insieme con la rappresentazione, questa sì genuinamente popolare della Cantata dei pastori sopravvissuta fino ai nostri giorni. Certo il Presepe popolare e quello aristocratico con le sue sontuose scenografie, i costumi e i gioielli, i ricchi corteggi e l'animata ricreazione di una Gerusalemme fiabesca con le sue botteghe, i suoi personaggi popolani e nobili, hanno poco da spartire fra loro, se non lo stesso contesto mitico. Il primo espressione pura dello spirito di un popolo, quello campano, così legato alle tematiche morte-vita, nelle quali lo stesso Pulcinella, con la sua veste bianca diventa simbolo della Morte, con i suoi culti ai confini di un folklore ancestrale e di un substrato magico ed infero decisamente pagano e dionisiaco, con le sue danze rituali, le tarantelle, delle quali proprio nel Seicento con Atanasius Kircher si andava scoprendo la validità musicale oltre che antropologica, ai quali era andata a poco a poco innestandosi la religiosità cristiana, con la sua liturgia e i suoi riti codificati. Il secondo, il Presepe diffusosi in tutti i palazzi nobiliari fino alla Corte soprattutto nel Settecento, gioco aristocratico e mondano, raffinato e capzioso, elitario quel tanto che bastò a farlo diventare meta e ragione di un collezionismo alla moda, ricco di riferimenti preziosi alle ideologie dominanti, come quell'Arcadia pastorale che tanto informava la cultura poetica e musicale del tempo. Basta confrontare sul versante alto della pittura napoletana seicentesca, il caravaggesco Annuncio ai Pastori del Maestro omonimo, con i suoi colori terragni, i suoi pastori segnati dalla fatica e impastati del fango e dello sterco di un lavoro massacrante, con i leziosi protagonisti dell'Adorazione dei Pastori di Luca Giordano, pastori che potrebbero chiamarsi Mirtillo o Aminta, in uno spartiacque che segna il passaggio fra due epoche e due visioni del Sacro.
Luca Giordano - Adorazione dei pastori - Musée du Louvre (1688) Fra le istituzioni che più di ogni altra furono attive sul versante della propaganda devozionale e della sua diffusione attraverso le rappresentazioni sacre ci fu quella dei Padri Filippini che a Napoli avevano la loro Casa di fronte al Duomo e al Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, Oratorio che prese il nome dei Gerolamini e la cui biblioteca conserva l'intera opera manoscritta di colui che fu tra i più attivi musicisti della Citta, Cristoforo Caresana (c.1640-1709). Le sue Cantate Per la Nascita del Verbo sono esemplari per il teatro religioso partenopeo dell'età barocca ed una summa di quanto si è detto sulle componenti profane e sacre che sono alla base di questo soprattutto nel periodo natalizio. Caresana non era napoletano, ma veneziano, probabilmente giunto in Città al seguito della compagnia dei Febi Armonici che andava proponendo sulle maggiori scene italiane il teatro musicale di Cavalli ed altri autori veneziani. A Napoli però si fermò, con una carriera fulminante che nel 1667 lo vide organista della Real Cappella, poi Maestro al Conservatorio di Sant'Onofrio fino al 1699 quando divenne successore di Francesco Provenzale alla Cappella del Tesoro di San Gennaro. Le cantate presentano una forma breve, quasi da miniatura, riflettente da una parte il clima festoso del Natale, dall'altra il particolare contesto di tradizione e liturgia che abbiamo visto incarnarsi nel Presepe napoletano popolare, con i giovani allievi dei conservatori travestiti ad impersonare pastori, angeli e diavoli.
Tre immagini (due sopra ed una sotto) del presepe Cuciniello alla Certosa di San Martino Particolarmente interessanti a questo riguardo le Cantate intitolate La Caccia del Toro, La Tarantella e La Pastorale, registrate in un CD dell'ormai storica serie dei Tesori di Napoli dell'Opus 111, dalla Cappella dei Turchini, diretta da Antonio Florio nel 1996. Sono tutte degli anni '70 del '600, a cinque voci e strumenti. La prima fa sicuramente riferimento anche ad un sentimento popolare antispagnolo, là dove il Toro è sicuramente il Demonio, ma anche l'animale mitico delle corride che il vicereame tentò di diffondere, senza successo, a Napoli. La Tarantella, è un vero fuoco d'artificio di dinamiche coloratissime, con i suoi cori d'angeli, gli episodi in eco, i pastori dai nomi arcadici, che improvvisano una tarantella, fra l'altro sembra che sia una delle prime intonazioni complete della melodia di questa musica così legata al tessuto magico-onirico del meridione italiano, che pur essendo già presente in intavolature per chitarra nel XVI sec., solo nel secolo seguente conoscerà una standardizzazione formale e la sua notoria diffusione come anima musicale partenopea. Come la splendida tarantella, un vero pezzo di bravura per cantanti e strumentisti, è al centro della omonima cantata, dove nel finale appare lo stesso Lucifero, scornato come nella Cantata dei pastori, ne La Pastorale appare un magnifico episodio in cui risuona il tipico motivo della rustica zampogna dei montanari, fattasi anch'essa musica nobile ed acculturata. In anni recenti, nel 2010, Florio alla guida dei Turchini è tornato su questo bellissimo repertorio con un altro CD edito da Glossa, dedicato alle Cantate napoletane per il Santo Natale di Cristoforo Caresana, tra le quali le più pregevoli sono senz'altro La Veglia e L'Adoratione de' Maggi. Nella prima si propone una serata di veglia, tipica nelle case napoletane con giochi, danze e divertimenti come l'immancabile tombola. Ai balli, bellissimo quello della "Barrera", si contrappone un momento di musica altissimo, una trasognata, meravigliosa ninna-nanna, per voce di basso Dormi o ninno, dormi o core, ipnotica e suadente. L'Adoratione de' Maggi è anch'essa esemplare con il solito concerto di angeli che si contrappongono a Lucifero e i Magi che portano i loro doni al Bambino. Bravissimi in entrambi i CD gli strumentisti e i cantanti, tra i quali nel primo, un Giuseppe De Vittorio e un Furio Zanasi eccezionali per giustezza di timbro e presa di possesso della parte, mentre la Invernizzi e la Andalò sono dei dolcissimi e virtuosi angeli, nel secondo ancora De Vittorio, accompagnato da uno strepitoso Giuseppe Naviglio nella ninna-nanna, e una magnifica Maria Grazia Schiavo, che è anche solista nella Cantata, anch'essa splendida per il Tesoro di San Gennaro: Sembra Stella felice, Partenope leggiadra, del 1703. In questa cantata, incentrata sul rapporto di Napoli con il suo Santo Patrono, si parla dei vanti della Città, felice per le sue campagne ubertose e per i suoi uomini illustri, fino al suo "Tesoro" quelle ampolle con il sangue del Santo che si scioglie per la buona sorte della Città e dei suoi abitanti. Due CD magnifici, con Florio maestro indiscusso di questa musica che grazie a lui apre uno squarcio su quella Napoli barocca mitica oggi purtroppo in gran parte scomparsa, non nei suoi monumenti artistici e musicali che rimangono lì a testimoniare la sua grandezza, ma ferita nello spirito oltre che nel suo corpo di città dai tanti martìrii. Isabella Chiappara, 3 gennaio 2013 Discografia - Cristoforo Caresana
Per la Nascita del Verbo Christmas Cantata Cappella della Pietà dei Turchini direttore - Antonio Florio Roberta Invernizzi - Roberta Andalò, soprani Daniela Del Monaco, contralto Giuseppe de Vittorio - Rosario Totaro, tenori Furio Zanasi, basso Opus 111 ops 30-214 - Cristoforo Caresana
L'Adoratione de' Maggi Cantate Napoletane I Turchini - Antonio Florio Maria Grazia Schiavo, soprano Valentina Varriale, soprano Filippo Mineccia, controtenore Giuseppe De Vittorio, tenore Rosario Totaro, tenore Giuseppe Naviglio, basso Glossa - GCD 922601
Bibliografia - Causa Raffaello - Napoli di Galilea - FMR n°9 - Dicembre 1982
- De Simone Roberto - Il presepe popolare napoletano - Torino 1998
- Fabris Dinko - Teatro religioso nella Napoli barocca - note informative al CD della Opus 111
Copyright 2013 Isabella Chiappara Soria |