COSTUME E MUSICA NELLE CORTI DELL'ETÀ RINASCIMENTALE E BAROCCA Dott.ssa prof.ssa ISABELLA CHIAPPARA SORIA LE CORTI RINASCIMENTALI ITALIANE - 1540 - 1570 - ...E Cavalieri in rosa All'inizio degli anni '60 del '500 Giovan Battista Moroni ritrae un giovane gentiluomo in un modo tale che sembra contraddire quanto ho fino ad ora argomentato e che sicuramente colpisce per la sua originalità. Non tanto per la struttura formale, un uomo stante in un ambiente a metà tra esterno ed interno, la posa altera e l'atteggiamento sussiegoso da hidalgo che ben abbiamo conosciuto in molti altri ritratti dello stesso artista, quello del Duca di Alburquerque ad esempio, ma piuttosto per lo spettacolare insieme di abiti che indossa. In verità anche questi, dal punto di vista sartoriale non presentano grandi novità. Sono il linea con la moda maschile degli anni '60: giubbone, coletto, ormai corti alla vita e con una leggera pancetta, imbottitura strategica del giubbone nella parte bassa del ventre, calzoni alla castigliana, che si prolungano, con un elemento a cannone, fino al ginocchio, calzette sorrette da giarrettiere. Quello che è sconvolgente, soprattutto alla luce di quanto ho detto nel precedente capitolo, è il colore: uno straordinario rosa incarnato, rosa secha, interamente ricamato in argento, in modo elegante, non particolarmente vistoso, che insiste soprattutto sulle strisce che costruiscono i calzoni ma che si presenta anche in forma di leggeri racemi che invadono ogni capo e decorano finanche le giarrettiere. Ricamata in rosa è invece la camicia, e piccole piume rosa ornano la berretta che il gentiluomo tiene nella mano destra, mentre la sinistra posa sulla spada. Chi è questo personaggio che fa una scelta così particolare, almeno in Italia, tanto da essere conosciuto come "Il Cavaliere in rosa"?. Ora sappiamo con certezza che si tratta di Gian Gerolamo Grumelli, di una nobile famiglia bergamasca, particolarmente legato al Papato e alla Spagna mentre Bergamo era invece sotto il governo della Serenissima Repubblica di Venezia. Fu creato conte del Sacro Palazzo da Pio IV nel 1562 e sposerà in seconde nozze Isotta Brembati, anch'ella al suo secondo matrimonio, nel 1661. A questo matrimonio potrebbe alludere la scritta in spagnolo presente su un bassorilievo alla sua sinistra: Mas el çagnero que el primero (meglio essere il secondo, o l'ultimo, che il primo), riferimento non troppo velato alla sua sposa e alle sue nozze precedenti. Anche l'edera che alle sue spalle si arrampica nella nicchia dove giacciono i resti di una statua infranta, un riferimento forse alla fine delle vanitas, è chiaramente correlata ad un legame d'amore, indistruttibile e tenace. Tutto questo ci porterebbe ad un ritratto legato alle tematiche amorose, forse realizzato proprio in occasione delle nozze. In questo contesto, si spiegherebbe la scelta del colore rosa, alternativo all'onnipresente nero, e decisamente più appropriato per un'occasione gioiosa e celebrativa. Adrian Willaert (1447-1550) - O Dolce Vita Mia Roberta Invernizzi, soprano - Accademia Strumentale Italiana, dir. Alberto Rasi Ci dovremmo chiedere se è un caso isolato, o se ci sono altri esempi nella ritrattistica maschile cinquecentesca italiana. Non ritornerò naturalmente sui ritratti del primo Cinquecento veneziano, dove, come abbiamo già visto, la scelta per vesti, diciamo così anticonformiste, è piuttosto la regola, ma sono diversi i ritratti che contraddicono apertamente le regole del "giusto mezzo", di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo, e spesso, anche se non sempre, sono legati alla tematica amorosa. C'è ad esempio un ritratto singolare del Marchese di Mantova, Federico II Gonzaga di Tiziano Vecellio, datato intorno al 1525-28. Singolare innanzitutto perchè Federico sceglie per questo ritratto un'immagine assolutamente non d'apparato, o comunque da uomo d'armi, quale era in effetti, o di Stato, abbandonando i sontuosi roboni o la rutilante armatura, per scegliere un corto saio, dalla gonnella fluttuante (in Francia una veste simile era chiamata pourpoint a jupe flottant) decisamente di gusto francese, di uno smagliante velluto turchino, come il giubbone che si intravede dall'apertura, indossato su vistosi cosciali rosso scarlatto. La vicinanza con ritratti francesi degli stessi anni, come quello di Francesco I di Jean Cluet, è sorprendente, spiegabile anche con la permanenza in Francia di Federico che potrebbe aver influenzato i suoi gusti. Decisamente inconsueta la presenza di un piccolo cane bianco da compagnia, un bolognese, solito compagno delle dame e simbolo conosciutissimo di fedeltà, invece del solito grosso danese dei ritratti maschili. C'è un altro particolare che mi dà da pensare, un piccolo anellino, vistosamente femminile, infilato nella prima falange dell'anulare della mano destra, la stessa che accarezza il piccolo cane. Sembrerebbe decisamente un pegno d'amore. Un'ipotesi si potrebbe avanzare per spiegare questo ritratto: l'amore intenso, strenuo e fedele che Federico portava alla sua amante, Isabella Boschetti, per la quale fece erigere quello straordinario casino di piacere che è Palazzo Tè, progettato ed affrescato da Giulio Romano a partire dal 1525, gli stessi anni del ritratto. La sala affrescata con la storia di Amore e Psiche è un apoteosi del legame tra i due amanti. Federico era talmente preso da questa dama, che la madre, Isabella d'Este, per molti anni non riuscì a fargli rispettare il contratto di nozze già stipulato in giovane età con i Paleologo, marchesi del Monferrato. In effetti c'erano anche ragioni politiche a far tentennare il giovane marchese che sentiva come insopportabile l'ingerenza materna. Solo a condizioni politiche mutate, nel 1531, Federico Gonzaga avrebbe capitolato alla ragion di stato e sposato Margherita Paleologo, la sorella di Maria a cui era stato promesso, nel frattempo deceduta. Sembrerebbe dunque che anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un ritratto dove la tematica amorosa è privilegiata attraverso un'immagine intima, personale, non certo d'apparato, quale ci si aspetterebbe dal ritratto di un regnante. Ancora al profondo amore per una dama è legato il ritratto di Gentiluomo in saio e robone in raso verde smeraldo foderato di ermellino, dipinto dal Moretto all'inizio degli anni '40, in atteggiamento languorosamente malinconico, identificato con Fortunato Martinengo Cesaresco, celebrato umanista bresciano e fondatore nel 1545 dell'Accademia dei Dubbiosi. Alle pene d'amore fa infatti riferimento la scritta in greco sulla medaglia nel risvolto della berretta. Essa tradotta significa: "Ahi troppo desidero", ed è probabilmente rivolta alla sua futura sposa Livia d'Arco. Ad un amore senza conforto invece, a cui alludono alcuni rami di gelsomino ed una lettera abbandonata su di un tavolo a cui è poggiata la mano, sembra riferirsi il gentiluomo ritratto da Lorenzo Lotto nel 1533-34 in vesti riccamente ricamate, ancora giubbone, saio e calzoni particolarmente per l'epoca rigonfi, in una strana tonalità di bruno rossastro. Il suo gesto di sconforto e come di richiamo a qualcosa di perduto, ci porta di nuovo all'interno della tematica amorosa. Ad essa, nell'ambito ritrattistico, sottintendono quindi scelte vestimentarie particolari, meno conformiste, più libere dal dettato cortigiano. Poi naturalmente c'è il gusto personale. Uno stupefacente ritratto del Parmigianino di Pier Maria dé Rossi conte di san Secondo degli anni '30 ( foto 6) ci mostra un bellissimo esempio della moda di quegli anni centrata ancora sull'uso di saio e robone, qui azzurri e sontuosamente foderati di pelliccia, con cosciali bianchi accoltellati ai quali appartiene un'imbarazzante, per dimensioni, braghetta. Il Conte, raffinatissimo, che aveva soggiornato a lungo in Francia alla corte di Francesco I, mostra chiaramente dagli oggetti che lo circondano, di mediare fra sapienza e coraggio militare, con la statuetta di Marte, dio della guerra, poggiata sopra ad un libro, mentre rovine classiche si intravedono nel paesaggio. Francesco Mazzola detto Il Parmigianino Ritratto di Pier Maria dé Rossi conte di San Secondo - Museo Nacional del Prado Madrid
Dobbiamo però tornare alle tematiche d'amore, non a quello sublimato della teoria neoplatonica dei due gradi d'amore positivo quello celeste e quello volgare, ma a quello considerato da Ficino ferino, a cui sovrintende una Venere dominata dalla Voluptas. Tiziano realizzò nei decenni centrali del secolo alcune tele destinate ad una illustre committenza, come quella di Filippo II re di Spagna. Si tratta di splendide Veneri nude distese fra ricchi corteggi con un ameno giardino o paesaggio sullo sfondo e giovani uomini modernamente ed elegantemente abbigliati intenti a suonare un organo ma con lo sguardo rivolto molto chiaramente verso le nudità della dea. Qui, il riferimento al regno di Venere, e ai suoi seguaci, figli bisognerebbe dire secondo la teoria astrologica dei Figli dei pianeti, è palese, con la dedizione degli amanti al Piacere dei sensi, alla voluttà che anche la Musica procura, soprattutto se non sublimata dall'armonia apollinea. Che fra musica ed ebbrezza, segnatamente dionisiaca ed erotica, ci fosse stretta affinità era tema ampiamente dibattuto e trova negli Andrii sempre di Tiziano, la sua raffigurazione più pregnante. Il dipinto realizzato per lo Studiolo di Alfonso I d'Este nel 1518-19, tratta dell'ebbrezza erotica associata all'ebbrezza del bere. Diversi studi hanno indagato lo stretto rapporto del musicista fiammingo Adriaen Willaert, presente a Ferrara presso la corte di Alfonso I, con questo dipinto. Il foglio di musica a terra fra le suonatrici di flauto è un suo canone: Qui boyt et ne reboit - Il ne scet que boyre soit che fa riferimento al continuo rinnovarsi dell'ebbrezza amorosa, metaforizzata nell'ebbrezza del bere. Ma non solo; sicuramente Willaert fu consultato nel comporre l'iconografia del dipinto, con la danza orgiastica e la strumentazione, composta da soli flauti. Tiziano Vecellio - Gli Andrii (Baccanale) - Museo nacional del Prado Madrid
Musica ed Amore, o meglio Erotismo, amore carnale, sono il soggetto di un ritratto singolarissimo di Cosimo I de Medici del Bronzino dei tardi anni '30, ossia degli anni in cui il giovane diventa duca di Firenze e sposa la diciassettenne Eleonora da Toledo. Cosimo in tutta la sua prestanza giovanile, all'epoca aveva circa vent'anni, è ritratto nudo, in una splendida torsione del busto di stampo michelangiolesco, in veste d'Orfeo, il mitico cantore e musico trace. Orfeo, sul quale, dalle Stanze della Fabula del Poliziano in poi, tanto si narrava sul potere di incantamento della sua Musica e del suo Canto. Cosimo-Orfeo porta la lira da braccio, strumento cardine della musica reservata e madrigalesca, ma anche e soprattutto, strumento nobile per eccellenza, legato al suo essere rapportato alla lira di Apollo, e naturalmente di Orfeo stesso. Agnolo Bronzino - Ritratto di Cosimo I dé Medici come Orfeo Philadelphia Museum of Art Filadelfia
Ad essere piuttosto particolari nella forma grazie alla prospettiva in cui sono posti, sono il cavigliere e l'archetto della lira. Il profilo a foglia del cavigliere allude in modo chiarissimo all'organo sessuale femminile, così come la posizione dell'archetto gli dà una dimensione assolutamente fallica. Anche il grosso cane che vigile sogguarda il duca è un chiaro simbolo erotico, essendo i cani, soprattutto quelli da caccia, legati alla rappresentazione morale dei sensi, potendo addirittura arrivare a rappresentare la lascivia. Che qui il giovane duca abbandoni l'arte delle armi e del governo per il piacere delle Arti, musica in primis è indubbio. Ma la dimensione assolutamente privata che doveva avere questo ritratto, fa pensare che sia stato realizzato proprio per la sua sposa, per la sua personale visione, in cui ancora una volta musica e amore sono protagonisti. Ipotesi seducente ed ammagliante per un Rinascimento che non finisce mai di stupirci. (c) 2011 Isabella Chiappara Soria
BIBLIOGRAFIA - AA.VV. - Giovan Battista Moroni - Mostra Bergamo 1979
- AA.VV - Lorenzo Lotto - Mostra Roma Schuderie del Quirinale - Milano 2011
- Ausoni Alberto - La Musica - Milano 2005
- Chiappara Soria Isabella - Storia della Moda in Italia - 1490 -1590 - Dispense Accademia Belle Arti di Viterbo - Anni Accademici 1992-2009
- Begni Redona Pier Virgilio - Alessandro Bonvicino Il Moretto da Brescia - Brescia 1988
- Gentili Augusto - Da Tiziano a Tiziano . Mito ed allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento - Milano 1980
- Marini Francesca - Parmigianino - Milano 2004
- Tazartes Maurizia - Bronzino - Milano 2004
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