| GEORGE FRIDERIC HANDEL (Halle 1685 - London 1759) Suites de pieces pour le clavecin (London 1720) Suite IV in e Minor (HWV 429) 1. Allegro [Fuga] 2. Allemande 3. Courante 4. Sarabande 5. Gigue Suite V in E Major (HWV 430) 1. Prélude 2. Allemande 3. Courante 4. Air - Double I/II/III/IV/V (Harmonious Blacksmith) Suite III in d Minor (HWV 428) 1. Prélude Presto 2. Allegro [Fuga] 3. Allemande 4. Courante 5. Air 6. Double I/II/III/IV/V 7. Presto Suite II in F Major (HWV 427) 1. Adagio 2. Allegro 3. Adagio 4. Allegro [Fuga] Suite VI in f# Minor (HWV 431) 1. Prélude 2. Largo 3. Allegro [Fuga] 4. Gigue Presto Suite VII in g Minor (HWV 432) 1. Ouverture Largo-Presto-Lentement 2. Andante 3. Allegro 4. Sarabande 5. Gigue - [Ad libitum by F. De Luca] 6. Passacaille Suite I in A Major (HWV 426) 1. Prélude 2. Allemande 3. Courante 4. Gigue Suite VIII in f Minor (HWV 433) 1. Prélude Adagio 2. Allegro [Fuga] 3. Allemande 4. Courante 5. Gigue | | Giustamente qualcuno ci fa notare che il vecchio nucleo originario delle registrazioni nella Sala del Cembalo del caro Sassone, ovvero la produzione cembalistica di Haendel, è quasi interamente a qualità audio piuttosto bassa. Fortunatamente, dato che il maestro Fernando De Luca continua imperterrito a registrare per noi nuove esecuzioni, a chiusura del 2013 iniziamo a colmare un po’ per volta questa lacuna, a distanza di ben 7 anni dall’esordio della Sala, che fu appunto inaugurata nel dicembre 2006. Utilizzando stavolta una strumentazione audio più consona, e soprattutto un set di microfoni stereo di recentissima acquisizione, a capsula larga, più adatti a catturare le basse frequenze e restituire un suono più avvolgente, non potevamo che ripartire dalle famose otto Suite che Handel fece pubblicare a proprie spese, a Londra, nel 1720.
e “Eight Great Suites”, sono una pietra miliare nella letteratura tastieristica a stampa del Settecento, sia per l’enorme diffusione che ebbero in molteplici edizioni lungo l’arco di buona parte del secolo, sia per la funzione di modello che assunsero, non solo in Inghilterra, presso studenti e musicisti di tutto l’occidente. Sebbene il linguaggio musicale a partire dagli anni ’30 in poi tende ad abbandonare piuttosto velocemente la forma della suite, questa raccolta divenne presto il riferimento cristallizzato della suite barocca per strumento a tastiera, così come pervenne, ad esempio, allo stesso Mozart negli anni ’80. Ai tempi di Handel non esisteva il concetto dei diritti d’autore, né tantomeno erano previste forme organizzate di tutela delle opere, che spesso venivano ripubblicate in forma non autorizzata come lo stesso Handel afferma nella sua prefazione alle Suites: “mi vedo costretto a pubblicare nella presente raccolta alcune mie Lesson preesistenti, a causa di edizioni scorrette e surrettizie, che già circolano all’estero […]”. Sembra quasi che Handel fosse infastidito non tanto dal leso diritto d’autore, quanto da alcune deviazioni nei contenuti musicali a suo avviso inaccettabili che, evidentemente, andavano contrastate con una pubblicazione ufficiale che egli stesso intendeva supervisionare. Il compositore aggiunge inoltre di aver integrato queste lesson con alcuni brani composti ex-novo, ed in effetti noi possiamo constatare che dei 38 brani totali, quasi la metà già circolava in mezza Europa da alcuni anni, e gli stessi figurano anche nell’edizione clandestina di Amsterdam (Roger, 1720/21), mentre alcuni dei preludi sono nuovi - sostituiscono versioni precedenti -, la Suite III è quasi completamente nuova, ed altri movimenti sono ricavati da composizioni di poco precedenti benché originate per altro organico. Ad esempio, noto che la grande Fuga a 4 voci in fa minore, quella della Suite VIII, è in realtà una eccezionale trascrizione da un brano che Handel compose due anni prima (Cannons, 1718), per violino, oboe, violoncello e basso continuo, posto come seconda delle due fughe, nella Sonata in sol minore (HWV 404). Ancora nel 1736, nonostante in Italia già si guardasse al nascente stile galante, le suite di Handel erano saldamente sul mercato, al punto che Gottlieb Muffat, figlio del vecchio Georg Muffat, le ripubblica a suo vantaggio economico, presentandole come “migliorate” per l’aggiunta di svariate diminuzioni e arrangiamenti in alcune sezioni (ndr. contiamo in futuro di registrare anche questa versione). La risposta di Handel sarà fulminea: alla successiva pubblicazione dei Componimenti musicali di Muffat, nel 1739, il musicista di Halle ne prenderà in prestito alcuni incipit, trasformandoli in gioielli come suo solito, per inserirli nell’Ode for St. Cecilia’s Day e soprattutto nei Concerti Grossi Op.6, anni 1739-40. Alla forma classica tardo-seicentesca costituita dalla sequenza Allemande-Courante-Sarabande-Gigue, Handel spesso aggiunge un Preludio come nella tradizione inglese, oppure in altri casi una Ouverture in pieno stile francese. A volte, il preludio viene fatto seguire da una maestosa Fuga, come suggerito dalla sua formazione tedesca, mentre la sequenza finale, se non termina con una Gigue, lo fa tramite un’Aria variata o una Passacaille. Al di la di queste considerazioni formali, tuttavia è lo stesso Handel che sceglie di stravolgere gli schemi, basti ad esempio osservare come inizia la Suite IV in mi minore (ndr. con cui abbiamo pensato di aprire la pagina), ovvero non con un preludio, non con una ouverture, ma direttamente con una fuga! E, soprattutto, le suite presentano un sapiente miscuglio di stili e sono dotate di una struttura ed impiego del tutto liberi. E’ lo stesso che accade nelle suite orchestrali del caro sassone, comunemente note col nome di Watermusic, nelle quali lo schema francese che sembra emergere, almeno apparentemente, come nei tempi Lento-Fugato-Lento che caratterizzano l’Ouverture (HWV 348), o nelle Gigue della suite per flauti (HWV 350), è in realtà affiancato da un insieme eterogeneo di brani all’italiana con alcune influenze dalla tradizione inglese, le Hornpipe: si legge spesso che, in Handel, non c’è mai una fusione completa come avviene in Bach, i diversi linguaggi coesistono e mantengono una loro autonomia pur risultando tutti rigorosamente “firmati ed omogeneizzati” nel formato haendeliano. Se andiamo ad osservare più da vicino l’uso dello stile cosiddetto francese che il caro sassone impiega fin dai primi anni di Halle e poi Amburgo, si tratta chiaramente di una forma pre-elaborata dai maestri che operavano in Germania a cavallo tra i due secoli, ossia gli anni della sua formazione; tra questi maestri non figurano soltanto tedeschi, come Zachow e Kaiser, ma anche italiani votati al cosmopolitismo, primo fra tutti il grande e, purtroppo fino a tempi recenti, pochissimo noto Agostino Steffani, che potrebbe essere il vero anello mancante del misterioso apprendistato di Handel, anello che unisce i primi anni passati con Zachow ed il perfezionamento successivo avvenuto in Italia negli anni 1706-1710. Ci si rende conto di ciò soprattutto analizzando la musica dell’Almira (Amburgo, 1705) ed altri brani orchestrali giovanili, fino ad arrivare ai primi anni inglesi, Watermusic inclusa, a confronto con alcuni brani strumentali dalle opere di Keiser e Steffani composti nel ventennio 1685-1705. Pubblichiamo, due alla volta, nell’arco di un paio di settimane o meno, le 8 suite nella nuova interpretazione e registrazione del Mo. Fernando De Luca, su strumento francese a due tastiere, copia da Blanchet realizzata nel 1985 da Claudio Caponi; viene impiegato un temperamento Werckmeister III con diapason a 415 Hz. Zadok, 15 dicembre 2013 | | |