ANTONIO VIVALDI (1678-1741) Farnace (RV 711-G) versione del 1738 preparata per il Teatro Bonacossi di Ferrara Farnace: Max Emanuel Cencic, controtenore Tamiri: Ruxandra Donose, mezzosoprano Berenice: Mary Ellen Nesi, mezzosoprano Selinda: Ann Hallenberg, mezzosoprano Gilade: Karina Gauvin, soprano Pompeo: Daniel Behle, tenore Aquilio: Emiliano Gonzalez Toro, tenore Coro della Radiotelevisione Svizzera - Lugano I Barocchisti Diego Fasolis, direttore Virgin 07091421 (3 CD) Questa registrazione del Farnace di Vivaldi, diretto da Fasolis alla testa dei suoi Barocchisti e con un cast di cantanti assolutamente ragguardevole, mi ha veramente emozionata perchè è un'opera notevolissima e molto diversa dalla versione del 1731, soprattutto alla fine del I atto e per tutta la prima parte del secondo atto. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto la storia di questo Farnace, che ha dell'incredibile. Vivaldi aveva probabilmente scoperto a Roma nel 1724 il libretto del poeta Antonio Maria Lucchini, che aveva per argomento la feroce crudeltà della regina della Cappadocia, Berenice, nei confronti di Farnace, re del Ponto e figlio di quel Mitridate da lei odiato per averle ucciso lo sposo. Farnace stesso le aveva rapito poi la figlia Tamiri, sposandola e avendo da lei un figlio. Questa è naturalmente la premessa, perchè la storia si svolge durante l'occupazione del Ponto da parte di Pompeo, proconsole romano, e di Berenice stessa, che vuole vendicarsi atrocemente sui suoi nemici, figlia e nipote compresi. Il libretto, che quell'anno fu musicato da Leonardo Vinci per il teatro Capranica, dovette colpire moltissimo Vivaldi che fece di questa opera il suo feticcio, musicandola almeno sette volte in quattordici anni. Nel 1727 fu data al Teatro S. Angelo di Venezia e ne abbiamo un commento assai lusinghiero da parte dell'Abate Conti, in una sua lettera alla Contessa di Caylus. Conti rimarcava la varietà nelle arie sia sul versante del sublime che in quello della tenerezza. Altre versioni furono approntate per Praga (1730), Pavia (1731), Mantova (1732) e Treviso (1737). Nel 1738 Vivaldi riusciva dopo vari tentativi ad approdare a Ferrara, città che gli era stata interdetta dagli strali moralistici del legato papale, ma dove aveva un ottimo patrocinatore nella figura del Marchese Guido Bentivoglio d'Aragona, che gli fece infine aprire le porte del teatro Bonacossi per il Carnevale del 1739, con la revisione di due opere: il Siroe e il Farnace. Ma le cose non andarono come Vivaldi si sarebbe aspettato: Siroe fu un fiasco e furono annullate le recite del Farnace. Abbiamo una corrispondenza di Vivaldi con il Bentivoglio, che ci dice tutta la rabbia e la frustrazione del musicista, che incolpa il clavicembalista Pietro Antonio Berretta, maestro di cappella e primo clavicembalo per il Siroe, di essere la causa dell'insuccesso, avendo avuto l'audacia di modificare la sua musica al fine di adattarla alle sue scarse capacità. Nella lettera parla anche del Farnace, per il quale dice di aver fatto una nuova versione appositamente per la compagnia che era stata approntata. Ma non ci fu nulla da fare, questo Farnace non fu mai eseguito e rimase per tutto il resto della sua vita nelle carte di sua proprietà: il manoscritto che noi oggi conosciamo come Giordano 37 (alla Biblioteca Nazionale di Torino) e registrato in questi CD. Confrontandola con la versione per Pavia del 1731, l'unica a noi giunta integrale (e consegnata al disco da Jordi Savall), la sua singolarità è ben affermata, essendo una riscrittura profonda, non un semplice adattamento. Nel manoscritto la scrittura è molto più dettagliata, sui tempi, sugli strumenti obbligati; ad esempio nell'aria Perdona o figlio amato invita l'orchestra a suonare "sempre quasi piano", mentre in Nell'intimo del petto dove due corni rafforzano gli archi scrive "questo pedale del corno non deve mancare pertanto devono suonare due corni unissoni e sempre piano affine uno lascia prendere fiato all'altro". I recitativi, pur conservando la base armonica della versione precedente, hanno una linea melodica e un trattamento ritmico completamente differente. E poi molte arie sono nuove, alcune bellissime, mentre le altre vengono profondamente riviste. Quello che colpisce moltissimo all'ascolto è proprio la ricchezza e complessità dei recitativi, superbamente resi da Fasolis e dai cantanti, tutti straordinari nello scolpire il testo che è molto più complesso ed articolato rispetto alla versione del '31. Dicevo che molte arie sono bellissime e superbamente cantate: chi mi ha colpito maggiormente è stato il Gilade della Gauvin, al quale sono consegnate le arie più virtuose, fra le quali un Quell'usignolo che innamorato di squisita bellezza, dove il soprano dà modo a tutto il suo repertorio di trilli e colorature di dispiegarsi, ma in modo elegantissimo, senza mai strafare, e ci mostra un Vivaldi, virtuoso sì, ma mai troppo esasperato come troviamo nei suoi colleghi napoletani. Ma tutto il cast è eccellente: Cencic dà prova a mio avviso di grande maturazione e di una nuova sensibilità per le dinamiche cromatiche, che gli permette di restituirci un meraviglioso Perdona o figlio amato e un Gelido in ogni vena molto emozionante, messo a mo' di bonus alla fine dell'opera insieme all'aria Sorge l'irato nembo che Cencic canta con una grande abilità nello dispiegare le difficili agilità delle colorature (entrambe queste arie erano presenti nella versione del 1731 ma non in quella del 1738). Molto buone le prove di Ann Hallenberg come Selinda sorella di Farnace, tutta tesa a dispiegar le trame di un tradimento fra i suoi due amanti, Gilade ed Aquilio. E poi la superba interpretazione della crudele Berenice, di una Mary Ellen Nesi che mai si piega, fino alla felice conclusione della storia, ma dispiega una potenza vocale di rara efficacia, senza mai cadere in soluzioni ineleganti ed apparentemente scontate per il personaggio. Anche la Tamiri di Ruxandra Donose è assai ben interpretata soprattutto nel bellissimo recitativo accompagnato O figlio, o troppo tardi. Forse i due tenori non sono totalmente convincenti, specialmente il Pompeo di Daniel Behle, un pò ingolato e poco autorevole; meglio l'Aquilio di Emiliano Gonzalez Toro, molto bravo nell'aria Alle minacce di fiera belva, dove è accompagnato magnificamente dalle trombe. Infine un'orchestra ricca: otto violini con la brava Fiorenza De Donatis come leader, due viole, due violoncelli, un violone, due oboi, un fagotto, due corni, due trombe, un timpano, due clavicembali, un liuto, diretta con vigore ma senza tempi esasperati da Fasolis, che mi sembra aver seguito con rigore le indicazioni apposte sullo spartito da Vivaldi. Una nota finale sul terzo atto, inesistente nel manoscritto del 1738. Il musicologo Frédéric Delaméa e Fasolis, che hanno curato la ricostruzione, hanno deciso di seguire integralmente il terzo atto della versione 1731, con una sola variante: l'aria di Berenice Quel candido fiore (ripresa dall'Orlando Furioso) è stata sostituita da un'aria inedita molto bella Non trova mai riposo, che Vivaldi aveva scritto per Tamiri nelle versioni precedenti del Farnace. A mio avviso questa scelta, che può apparire arbitraria, dà invece più spessore a questo momento del dramma, con Berenice che disperata è alla ricerca della sua vendetta e piange lo sposo perduto. Anche la sinfonia avanti l'opera era mancante nel manoscritto, quindi si è inserita quella del 1731. Per concludere: una bellissima esecuzione e una magnifica opera di Vivaldi, che per la forza dei recitativi e la ricchezza delle arie si pone ad un livello più alto rispetto alla versione del 1731, anche per una maggiore coerenza e coesione drammatica. Isabella Chiappara 16 settembre 2011 |