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CD & DVD Reviews

Indice / Index

carnavalcampra

ANDRÉ CAMPRA (1660-1744)

Le Carnaval de Venise
Opéra-ballet, Paris 1699

Salomé Haller, dessus (Isabelle)
Marina De Liso, bas-dessus (Léonore)
Andrew Foster-Williams, basse-taille (Rodolphe)
Alain Buet, basse-taille (Léandre)
Mathias Vidal, haute-contre (Orfeo)
Sarah Tynan, dessus (Euridice)
Blandine Staskiewicz, bas-dessus (Minerve/la Fortune)
Luigi De Donato, basse (l'Ordonnateur/le Carnaval/ Plutone)

Choeur et Orchestre du Concert Spirituel
Hervé Niquet, direction
Glossa GCD 921622 (2 CD)

È finalmente uscito in questi giorni il CD della Glossa con la registrazione del Carnaval de Venise di André Campra nell'esecuzione di Hervé Niquet alla guida del suo "Le Concert Spirituel". Io lo attendevo particolarmente perché l'unica aria che avevo in precedenza ascoltato di quest'opera: "Mes yeux, fermez-vous à jamais" mi aveva incantata per la bellezza melodica, qui assolutamente confermata dalla splendida linea di canto di Salomé Haller. Ma non potevo immaginare che tutta l'opera fosse così bella, intrigante, particolarissima nelle dinamiche musicali, insomma scusate l'iperbole un vero gioiello del barocco francese, ed eseguito benissimo da un Niquet che si conferma ad ogni disco un vero, grande specialista di questo repertorio.

Un'opéra-ballet, questa di Campra su libretto di François Regnard, eseguita a Parigi all'Académie Royale nel 1699, allo scadere di quel secolo così segnato in Francia dalla presenza di un grande sovrano, Luigi XIV, e di coloro che fedelmente lo avevano servito nei suoi gusti: Le Nôtre, Lully, Lebrun. Ma il Grand Siècle ormai al tramonto vedeva sorgere nuove passioni, nel campo musicale e drammatico soprattutto, e se l'anziano re continuava a dominare, a proibire la presenza nei teatri dell'opera e della commedia italiana, le nuove generazioni scalpitavano, i suoi stessi figli e nipoti reclamavano novità, nascevano cenacoli come quello chiamato "Cabale du Dauphin" che sosteneva i nostri due autori, Regnard era infatti soprattutto autore di commedie sia italiane che francesi, la politica culturale conservatrice sempre più cedeva il passo alle nuove istanze, al gusto che si andava rinnovando.

E grandi novità proponeva Campra con quest'opéra-ballet, vera rivisitazione in musica della Commedia dell'Arte italiana, con i suoi caratteri, gli amorosi soprattutto, e fusione di musica francese e opera italiana. Infatti come già ne "L'Europa galante" Campra dà largo spazio ad arie in italiano che tra l'altro seguono già perfettamente le regole del "da capo", anche se vengono inserite arie molto più arcaiche, come nel trio bellissimo del secondo atto: "Luci belle dormite" che è chiaramente esemplato sulla musica di Luigi Rossi, così tanto apprezzato in Francia all'epoca di Mazarino. Altre invece sembrano decisamente ispirarsi ad uno Stradella o ad uno Scarlatti. È sempre affascinante questa capacità, tutta francese, di non abbandonare mai del tutto il passato, ma di mediarlo con il presente costruendo così qualcosa di unico e nuovo.

Ma è tutta l'opera ad essere strepitosa, fin dal prologo, con un gioco di specchi, il teatro nel teatro, che viene ripreso alla fine del terzo atto con l'esecuzione in un fantomatico teatro veneziano dell'opera "Orfeo nell'Inferi". Nel prologo infatti si immagina un teatro ancora nel disordine del prima della messa in scena, in cui intervengono Minerva e gli Dei delle Arti ad aiutare l'Ordonnateur. E la trama poi si dispiega nel fitto intreccio degli amori, corrisposto quello di Isabelle e Léandre, geloso e vendicativo quello di Léonore e Rodolphe. In realtà il fragile canovaccio dà spazio ad una struttura orchestrale sontuosa, ricca di danze, di marches, di villanelles e canaries, di airs e di veri e propri accenti da tragédienne come nei recitativi ed arie di Léonore nel terzo atto o nell'aria già citata di Isabelle nello stesso atto. Un gioiello nel gioiello infine l'opera italiana "Orfeo nell'Inferi" nel teatro dove la povera Isabelle, certa della morte del suo amante, si rifugia dopo aver pianto tutte le sue lacrime nella meravigliosa aria che ho citato precedentemente. Cornice di questi intrighi e di questo gioco metateatrale la città di Venezia dove impazza il carnevale, che però rimane sullo sfondo, uno scenario come quelli delle commedie all'improvviso.

Dicevo all'inizio di una spettacolare esecuzione. Forte di un complesso strumentale vastissimo e di un ricchissimo coro che ai solisti de Le Concert Spirituel vede aggiungersi un folto gruppo di Chantres del Centre de Musique Baroque di Versailles, di un gruppo di cantanti tutti molto bravi, con le eccellenze della Salomé Haller e della Marina De Liso, che sfoggia un carattere e una personalità di grande rilievo, e dei due basse-taille Andrew Foster-Williams e Alain Buet, rispettivamente Rodolphe e Léandre, Niquet dà vita in modo brillante a questa opera seducente ed edonista, già così impregnata dello spirito libertino della Reggenza.

Bravissimi anche gli interpreti dell'"Orfeo nell'Inferi", l'Orfeo dell'haute-contre Mathias Vidal dal bel timbro morbido, bella l'interpretazione del suo lamento, un recitativo accompagnato, "Dominator dell'ombre", e dell'aria "Vittoria, mio cuore" (basata su di un incipit di un famoso brano di Carissimi), l'Euridice del soprano (dessus) Sarah Tynan, molto agile nelle colorature delle sue arie all'italiana tra le quali una radiosa "Per piacere al mio ben", e soprattutto il Plutone di Luigi De Donato, (anche il Carnaval e l'Ordonnateur) veramente maestoso con il suo timbro scurissimo nel bellicoso "Tartarei lumi, all'armi, all'armi". Dal punto di vista orchestrale sono magistralmente eseguite anche le Sinfonie dell'Opera italiana, di gusto corelliano e con due magnifici oboi nella seconda, indicata in partitura "pianissima" che introduce la melodia dolcissima di Plutone che precede il recitativo accompagnato di Orfeo.

Chiude l'Opéra-ballet un Divertissement finale in cui è il Carnaval stesso che conduce il Bal con le maschere delle diverse Nazioni che danzano. Una vera apoteosi musicale. Ma anche un messaggio politico, inserito nel Prologo, rivolto a quanti sostenevano le idee progressiste in campo musicale come quel Grand Dauphin, che troppo presto però doveva scomparire dalla scena di questo mondo.

Isabella Chiappara
21 ottobre 2011Torna alle Recensioni

eziogluck

CHRISTOPH WILLIBALD GLUCK (1714-1787)

Ezio (Praga 1750)

Sonia Prina: Ezio
Max Emanuel Cencic: Valentiniano
Ann Hallenberg: Fulvia
Topi Lehtipuu: Massimo
Mayuko Karasawa: Onoria
Julian Prégardien: Varo

Il Complesso Barocco
dir. : Alan Curtis
Virgin 07092923 (2 CD)

Dopo averla tenuta in frigorifero per quasi 3 anni, la EMI/Virgin si è decisa a far uscire quest'opera, registrata dal vivo nel novembre del 2008, con Alan Curtis alla testa di un cast di tutto rispetto. Questa incisione si aggiunge a quella di Stoehr per Coviello (2007) e ad un'altra recentissima prodotta a Praga per ArcoDiva, tutte basate sulla versione della prima (Praga 1750); esiste poi una quarta registrazione, diretta da Michael Hofstetter, che invece si rifà ad un rimaneggiamento operato dallo stesso Gluck per Vienna nel 1763. Non male, per un'opera che fino a qualche anno fa era pressoché sconosciuta, salvo qualche apparizione di arie sparse in CD o recital (memorabile il disco della Bartoli del 2000, che contiene l'aria di Fulvia Ah non son io che parlo).

Ma tanta attenzione non è immeritata, perché questa intonazione di Gluck del classico libretto del Metastasio è veramente meravigliosa: non a caso lo stesso autore riciclò parecchie arie tratte dall'Ezio nelle sue opere successive. Non c'è traccia qui (per fortuna) della cosiddetta "riforma" e l'unica concessione al gusto coevo è la presenza di un terzetto alla fine del secondo atto, laddove il Metastasio aveva previsto tre arie separate: per il resto si tratta di una classica opera seria italiana, piena di bellissime arie (tutte col da capo) e priva sia di cori che di balli.

Venendo a questa incisione, il risultato sonoro è entusiasmante, tanto che si stenta a credere che lo stesso direttore abbia registrato invece tempo fa un Ariodante di Handel così deludente: qui l'orchestra suona con slancio e precisione, i cantanti sgranano i recitativi in modo ammirevole e Curtis riesce sempre a mantenere viva la tensione drammatica (cosa che invece a volte non è riuscita a Stoehr). L'estrema cura con cui è stata preparata la registrazione traspare anche dagli abbellimenti nei da capo, variegati e mai banali.

La vicenda narrata nel libretto è abbastanza lineare: il generale romano Ezio, vittorioso su Attila, viene accolto con tutti gli onori dal suo imperatore Valentiniano, la cui sorella Onoria è segretamente innamorata di lui. Invece Ezio ama (riamato) Fulvia, figlia del patrizio Massimo. Motore della vicenda è l'odio dissimulato di Massimo per l'imperatore, dovuto al fatto che questi aveva insidiato tempo prima sua moglie. Massimo prima mette Ezio contro Valentiniano offrendo sua figlia in sposa a quest'ultimo, poi cerca di far assassinare l'imperatore ed essendo il colpo fallito fa ricadere la colpa su Ezio, convincendo l'imperatore a condannarlo a morte. Egli conta in questo modo di ottenere una sollevazione popolare contro l'odiato Valentiniano. Inutile dire che, malgrado i suoi sforzi, tutto invece finirà bene...

Sonia Prina impersona Ezio in modo ottimale: è perfetta nei recitativi, passando con sicurezza dal registro dell'eroe tutto d'un pezzo a quello dell'innamorato, e le sue variazioni nelle riprese sono da manuale. Certo, la sua voce è corta e quando si avventura nell'acuto perde di corpo, ma si tratta di poca cosa rispetto ad una prestazione veramente superba. Ottima anche Ann Hallenberg, che ci dà una Fulvia intensa ed emozionante: meravigliosa la sua Fin che un Zeffiro soave alla fine del primo atto, ma anche tutti i lunghi recitativi sono interpretati con grande passione.

Max Emanuel Cencic riesce quasi sempre ad evitare l'emissione stimbrata e stridente propria di molti falsettisti, e possiede ottima intonazione e buone agilità, anche se tende ad abusare del vibrato. Ottimo nei recitativi, anche l'ornamentazione nei da capo è particolarmente ben riuscita: basta confrontare questi CD con quelli della Coviello, nei quali canta la stessa parte, per capire con quanta cura abbia preparato questa registrazione. Solo quando si avventura nel registro acuto (cosa che purtroppo tende a fare spesso) la sua voce diventa sforzata e sgradevole, ma nel complesso la sua prova è positiva e riesce ad essere tollerabile anche per chi (come me) non ama affatto i controtenori.

Topi Lehtipuu si disimpegna molto bene nel non facile ruolo di Massimo. Per qualche motivo la sua parte non è stata registrata dal vivo come per gli altri cantanti (vedi oltre) e questo a tratti si nota, ma nelle tre arie che lo vedono protagonista conferma di essere uno dei migliori tenori in circolazione. Pure la (per me) sconosciuta Mayuko Karasawa interpreta benissimo il ruolo di Onoria, anche se in questa registrazione le sono rimaste solo due arie delle quattro previste da Gluck. La stessa cosa vale per Julian Prégardien nel ruolo minore di Varo, che a causa dei tagli si trova a cantare una sola aria.

Finora ho scritto degli aspetti positivi di questa incisione, che sono moltissimi. Ma non posso nascondere di aver provato, nell'ascoltarla, anche una buona dose di delusione. Appare infatti insensato che una registrazione fatta così bene sia stata pesantemente tagliata: oltre alle arie di Onoria e Varo già dette, anche un'aria di Fulvia è stata eliminata, insieme ai recitativi che precedono tali arie. In compenso i recitativi superstiti sono spesso più completi rispetto alla versione diretta da Stoehr, ma questo è di ben poca consolazione.

È vero che in un primo momento l'opera doveva essere ripresa tutta dal vivo, durante un concerto al teatro di Poissy, ma per qualche motivo Lehtipuu non ha potuto partecipare a quel concerto, per cui la registrazione è stata in seguito integrata rifacendo (sempre a Poissy) tutte le scene che prevedono l'intervento di Massimo. A quel punto sarebbe bastato veramente poco per aggiungere anche le parti che dal vivo non erano state cantate. Ma ormai non ci resta che recriminare sulla scarsa lungimiranza delle case discografiche: quella che poteva essere un'incisione memorabile e difficilmente perfettibile ne sarà così soltanto un bellissimo abbozzo.

La ripresa audio è ottima, come del resto ci si poteva aspettare visto che il teatro di Poissy è famoso per il suo splendido suono (lì fu registrato per Archiv il famoso Ariodante diretto da Minkowski). Concludendo: malgrado i numerosi tagli, questo cofanetto è magnifico e se siete indecisi su quale delle varie versioni dell'opera acquistare il mio consiglio è di optare senz'altro per questa.

Maurizio Frigeni
5 ottobre 2011Torna alle Recensioni

sesostri

DOMÈNEC TERRADELLAS (1713-1751)

Sesostri, re d'Egitto (1751)

Sunhae Im, soprano, Sesostri
Alexandrina Pendatchanska, soprano, Nitocri
Kenneth Tarver, tenore, Amasi
Ditte Andersen, soprano, Artenice
Tom Randle, tenore, Fanete
Raffaella Milanesi, soprano, Orgonte

Orquesta RCOC
Juan Bautista Otero, direttore
RCOC 1102.3 (3 CD)

È uscito da poco questo cofanetto della benemerita RCOC (Reial Companyia Ópera de Cambra), un'orchestra di Barcellona che produce in proprio i suoi CD e si dedica soprattutto alla riscoperta di opere di autori catalani. Fra questi spicca il nome di Domènec Terradellas, nato a Barcellona nel 1713 ma vissuto soprattutto in Italia (con una breve parentesi londinese), dove divenne uno dei più noti compositori della "scuola napoletana", fino alla sua tragica morte avvenuta a Roma nel 1751.

La RCOC ed il suo direttore Juan Bautista Otero si erano già cimentati con un'opera di Terradellas, regalandoci qualche anno fa una bella incisione dell'Artaserse, creato per Venezia nel 1744. La prima di Sesostri ebbe luogo invece a Roma nel 1751, poco prima quindi della morte del compositore. Nei piani della RCOC questa è la seconda uscita di una trilogia di registrazioni di opere di Terradellas, che dovrebbe completarsi in futuro con la Merope, creata sempre per Roma nel 1743. Ho usato il condizionale perché sono circolate di recente voci preoccupanti circa la situazione finanziaria della RCOC: pare che la recente cancellazione di un loro concerto dedicato all'opera Solimano di Davide Pérez sia dovuta proprio al mancato pagamento degli stipendi degli orchestrali. Un motivo in più per comprare questo CD e sostenere così questa istituzione.

Il libretto dell'opera è dovuto ad Apostolo Zeno e Pietro Pariati: la vicenda si svolge nell'antico Egitto, dove il perfido Amasi prende il potere uccidendo il re Aprio ed i suoi figli. Fortunatamente Fanete (un nobile che si finge amico di Amasi ma trama contro di lui) riesce a salvare uno dei figli (Sesostri) e lo nasconde lontano da Menfi. Anni dopo, quando il piccolo Sesostri è ormai diventato grande, Fanete gli rivela la sua vera identità e lo spinge ad uccidere Osiri (un figlio naturale di Amasi) ed a spacciarsi per lui presso l'usurpatore, aspettando il momento favorevole per eliminare il tiranno e tornare sul trono col favore del popolo.

Il finto Osiri, per meglio ingraziarsi Amasi, gli dice di aver ucciso Sesostri, suscitando quindi lo sconforto di Nitocri, sua madre, che Amasi ha risparmiato per motivi politici: egli sperava di sposarla e dare così una legittimazione al suo potere, ma lei ha sempre sdegnato la proposta. A complicare ulteriormente le cose si aggiunge la storia d'amore fra Sesostri e la figlia di Fanete (Artenice), sulla quale però anche il cattivissimo Amasi ha messo gli occhi. Alla fine, naturalmente, dopo tante peripezie e proprio quando Sesostri, ormai smascherato, sta per essere ucciso, la vicenda si conclude nel modo atteso con l'arrivo di Fanete, spalleggiato dall'amico Orgonte e dal popolo, che depone Amasi e rimette Sesostri sul suo trono.

Se la musica dell'Artaserse era straripante sia per l'invenzione melodica sia per il turgore orchestrale, nel Sesostri Terradellas utilizza una tavolozza più variegata, dai colori più delicati. Molte arie presentano tempi rilassati ed un accompagnamento più rarefatto, soprattutto per quanto riguarda la coppia principale (Sesostri e Artenice), in cui il carattere amoroso ha la prevalenza su quello eroico. Invece Amasi e Nitocri sono personaggi più monolitici, l'uno malvagio senza appello, l'altra votata alla vendetta ad ogni costo. Corrispondentemente Terradellas scrive per loro le arie più spavalde e ben tre recitativi accompagnati, in cui la tensione drammatica raggiunge il suo apice. In ogni caso la musica è molto bella, forse meno sfavillante rispetto all'Artaserse ma d'altra parte più varia e ricercata.

Sunhae Im si disimpegna molto bene nel ruolo principale: non ha certo una voce adatta ai ruoli eroici ma in questo caso è perfetta per incarnare Sesostri, giovane innamorato. La sua voce duttile inanella trilli e messe di voce senza sforzo apparente, con belle variazioni nelle riprese. Anche nei recitativi mi è parsa eccellente, senza quelle piccole sbavature che altre volte avevo notato. Bellissima prestazione anche per Alexandrina Pendatchanska nel ruolo di Nitocri, madre straziata e regina offesa. Terradellas scrive per lei quattro arie fra le più belle e due potenti recitativi accompagnati: la cantante bulgara è magnifica nel dominare con naturalezza le difficoltà della partitura e nello sfruttare appieno la parte più grave del suo registro vocale.

Ho apprezzato un po' meno Ditte Andersen come Artenice, soprattutto per qualche recitativo non del tutto convincente. Buoni sia Tom Randle che Raffaella Milanesi nei due ruoli minori (Fanete e Orgonte). Invece il punto debole del cast è rappresentato da Kenneth Tarver, che impersona Amasi. Il tenore americano non mi è piaciuto anzitutto nei recitativi: anche se il suo personaggio è il classico "cattivo" sarebbe stato opportuno per lui usare una maggior varietà d'accenti e avere più consapevolezza del testo. Ma soprattutto Tarver mi è parso poco adatto a cantare le virtuosistiche arie di Terradellas: le affronta tutte solo di petto, col risultato che le note acute gli escono molto sforzate e quando poi si avventura in variazioni non fa che peggiorare la situazione. Peccato, perché il suo è uno dei ruoli principali dell'opera.

Ottima l'orchestra, anche se il direttore Otero mi ha convinto un po' meno rispetto all'Artaserse: in alcune arie ha staccato dei tempi secondo me troppo lenti e per giunta non ha resistito alla tentazione di accentuarne il carattere meditativo usando un organo per il basso continuo. Questa non solo è una solenne sciocchezza dal punto di vista della prassi esecutiva, ma porta anche ad un risultato sonoro fasullo e per nulla convincente.

Comunque, a parte queste inevitabili pecche, si tratta di un'incisione molto ben fatta di un'opera rara e bellissima: non lasciatevela sfuggire. Alcune delle arie sono disponibili in video sul sito web della RCOC, registrate durante un concerto.

Maurizio Frigeni
17 settembre 2011Torna alle Recensioni

farnacefasolis

ANTONIO VIVALDI (1678-1741)

Farnace (RV 711-G)
versione del 1738 preparata per il Teatro Bonacossi di Ferrara

Farnace: Max Emanuel Cencic, controtenore
Tamiri: Ruxandra Donose, mezzosoprano
Berenice: Mary Ellen Nesi, mezzosoprano
Selinda: Ann Hallenberg, mezzosoprano
Gilade: Karina Gauvin, soprano
Pompeo: Daniel Behle, tenore
Aquilio: Emiliano Gonzalez Toro, tenore

Coro della Radiotelevisione Svizzera - Lugano
I Barocchisti
Diego Fasolis, direttore
Virgin 07091421 (3 CD)

Questa registrazione del Farnace di Vivaldi, diretto da Fasolis alla testa dei suoi Barocchisti e con un cast di cantanti assolutamente ragguardevole, mi ha veramente emozionata perchè è un'opera notevolissima e molto diversa dalla versione del 1731, soprattutto alla fine del I atto e per tutta la prima parte del secondo atto. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto la storia di questo Farnace, che ha dell'incredibile.

Vivaldi aveva probabilmente scoperto a Roma nel 1724 il libretto del poeta Antonio Maria Lucchini, che aveva per argomento la feroce crudeltà della regina della Cappadocia, Berenice, nei confronti di Farnace, re del Ponto e figlio di quel Mitridate da lei odiato per averle ucciso lo sposo. Farnace stesso le aveva rapito poi la figlia Tamiri, sposandola e avendo da lei un figlio. Questa è naturalmente la premessa, perchè la storia si svolge durante l'occupazione del Ponto da parte di Pompeo, proconsole romano, e di Berenice stessa, che vuole vendicarsi atrocemente sui suoi nemici, figlia e nipote compresi. Il libretto, che quell'anno fu musicato da Leonardo Vinci per il teatro Capranica, dovette colpire moltissimo Vivaldi che fece di questa opera il suo feticcio, musicandola almeno sette volte in quattordici anni.

Nel 1727 fu data al Teatro S. Angelo di Venezia e ne abbiamo un commento assai lusinghiero da parte dell'Abate Conti, in una sua lettera alla Contessa di Caylus. Conti rimarcava la varietà nelle arie sia sul versante del sublime che in quello della tenerezza. Altre versioni furono approntate per Praga (1730), Pavia (1731), Mantova (1732) e Treviso (1737). Nel 1738 Vivaldi riusciva dopo vari tentativi ad approdare a Ferrara, città che gli era stata interdetta dagli strali moralistici del legato papale, ma dove aveva un ottimo patrocinatore nella figura del Marchese Guido Bentivoglio d'Aragona, che gli fece infine aprire le porte del teatro Bonacossi per il Carnevale del 1739, con la revisione di due opere: il Siroe e il Farnace.

Ma le cose non andarono come Vivaldi si sarebbe aspettato: Siroe fu un fiasco e furono annullate le recite del Farnace. Abbiamo una corrispondenza di Vivaldi con il Bentivoglio, che ci dice tutta la rabbia e la frustrazione del musicista, che incolpa il clavicembalista Pietro Antonio Berretta, maestro di cappella e primo clavicembalo per il Siroe, di essere la causa dell'insuccesso, avendo avuto l'audacia di modificare la sua musica al fine di adattarla alle sue scarse capacità. Nella lettera parla anche del Farnace, per il quale dice di aver fatto una nuova versione appositamente per la compagnia che era stata approntata. Ma non ci fu nulla da fare, questo Farnace non fu mai eseguito e rimase per tutto il resto della sua vita nelle carte di sua proprietà: il manoscritto che noi oggi conosciamo come Giordano 37 (alla Biblioteca Nazionale di Torino) e registrato in questi CD.

Confrontandola con la versione per Pavia del 1731, l'unica a noi giunta integrale (e consegnata al disco da Jordi Savall), la sua singolarità è ben affermata, essendo una riscrittura profonda, non un semplice adattamento. Nel manoscritto la scrittura è molto più dettagliata, sui tempi, sugli strumenti obbligati; ad esempio nell'aria Perdona o figlio amato invita l'orchestra a suonare "sempre quasi piano", mentre in Nell'intimo del petto dove due corni rafforzano gli archi scrive "questo pedale del corno non deve mancare pertanto devono suonare due corni unissoni e sempre piano affine uno lascia prendere fiato all'altro". I recitativi, pur conservando la base armonica della versione precedente, hanno una linea melodica e un trattamento ritmico completamente differente. E poi molte arie sono nuove, alcune bellissime, mentre le altre vengono profondamente riviste.

Quello che colpisce moltissimo all'ascolto è proprio la ricchezza e complessità dei recitativi, superbamente resi da Fasolis e dai cantanti, tutti straordinari nello scolpire il testo che è molto più complesso ed articolato rispetto alla versione del '31. Dicevo che molte arie sono bellissime e superbamente cantate: chi mi ha colpito maggiormente è stato il Gilade della Gauvin, al quale sono consegnate le arie più virtuose, fra le quali un Quell'usignolo che innamorato di squisita bellezza, dove il soprano dà modo a tutto il suo repertorio di trilli e colorature di dispiegarsi, ma in modo elegantissimo, senza mai strafare, e ci mostra un Vivaldi, virtuoso sì, ma mai troppo esasperato come troviamo nei suoi colleghi napoletani.

Ma tutto il cast è eccellente: Cencic dà prova a mio avviso di grande maturazione e di una nuova sensibilità per le dinamiche cromatiche, che gli permette di restituirci un meraviglioso Perdona o figlio amato e un Gelido in ogni vena molto emozionante, messo a mo' di bonus alla fine dell'opera insieme all'aria Sorge l'irato nembo che Cencic canta con una grande abilità nello dispiegare le difficili agilità delle colorature (entrambe queste arie erano presenti nella versione del 1731 ma non in quella del 1738). Molto buone le prove di Ann Hallenberg come Selinda sorella di Farnace, tutta tesa a dispiegar le trame di un tradimento fra i suoi due amanti, Gilade ed Aquilio. E poi la superba interpretazione della crudele Berenice, di una Mary Ellen Nesi che mai si piega, fino alla felice conclusione della storia, ma dispiega una potenza vocale di rara efficacia, senza mai cadere in soluzioni ineleganti ed apparentemente scontate per il personaggio.

Anche la Tamiri di Ruxandra Donose è assai ben interpretata soprattutto nel bellissimo recitativo accompagnato O figlio, o troppo tardi. Forse i due tenori non sono totalmente convincenti, specialmente il Pompeo di Daniel Behle, un pò ingolato e poco autorevole; meglio l'Aquilio di Emiliano Gonzalez Toro, molto bravo nell'aria Alle minacce di fiera belva, dove è accompagnato magnificamente dalle trombe. Infine un'orchestra ricca: otto violini con la brava Fiorenza De Donatis come leader, due viole, due violoncelli, un violone, due oboi, un fagotto, due corni, due trombe, un timpano, due clavicembali, un liuto, diretta con vigore ma senza tempi esasperati da Fasolis, che mi sembra aver seguito con rigore le indicazioni apposte sullo spartito da Vivaldi.

Una nota finale sul terzo atto, inesistente nel manoscritto del 1738. Il musicologo Frédéric Delaméa e Fasolis, che hanno curato la ricostruzione, hanno deciso di seguire integralmente il terzo atto della versione 1731, con una sola variante: l'aria di Berenice Quel candido fiore (ripresa dall'Orlando Furioso) è stata sostituita da un'aria inedita molto bella Non trova mai riposo, che Vivaldi aveva scritto per Tamiri nelle versioni precedenti del Farnace. A mio avviso questa scelta, che può apparire arbitraria, dà invece più spessore a questo momento del dramma, con Berenice che disperata è alla ricerca della sua vendetta e piange lo sposo perduto. Anche la sinfonia avanti l'opera era mancante nel manoscritto, quindi si è inserita quella del 1731.

Per concludere: una bellissima esecuzione e una magnifica opera di Vivaldi, che per la forza dei recitativi e la ricchezza delle arie si pone ad un livello più alto rispetto alla versione del 1731, anche per una maggiore coerenza e coesione drammatica.

Isabella Chiappara
16 settembre 2011Torna alle Recensioni

handelvauxhall1falernoducandevater1738

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