CHRISTOPH WILLIBALD GLUCK (1714-1787)
Il trionfo di Clelia Opera in tre atti (Bologna 1763)
Hélène
Le Corre - Clelia soprano Mary-Ellen Nesi - Orazio mezzo
soprano Irini Karaianni - Tarquinio mezzo soprano Burçu Uyar -
soprano Larissa Vassilis Kavayas - Porsenna tenore Florin Cezar
Ouatu - Mannio controtenore
Armonia
Atenea Giuseppe Sigismondi de Risio – direttore
MDG 609 1733 (3 CD)
na
bellissima registrazione viene ad arricchire il panorama ahimè
ancora scarso della discografia dedicata all'opera seria di Christoph
Willibald Gluck. Si tratta de Il trionfo di Clelia, su
libretto di Pietro Metastasio, data per la prima volta a Bologna
nella primavera del 1763 e qui egregiamente eseguita dall’orchestra
Armonia Atenea diretta da Giuseppe Sigismondi de Risio.
Lo
stesso Sigismondi de Risio ha ritrovato la copia manoscritta della
partitura che giaceva dimenticata in una biblioteca italiana, uno dei
nostri tanti giacimenti culturali, e che mostrava differenze con le
altre copie manoscritte a noi giunte. L'opera, che dopo la prima non
fu più eseguita a causa probabilmente delle complicazioni inerenti
sia l'ampio organico orchestrale necessario (mai più eguagliato in
Gluck) sia le difficoltà vocali delle arie, fu commissionata al
musicista dal direttore del Nuovo Pubblico Teatro di Bologna, conte
Luigi Bevilacqua, che con questa importante produzione andava ad
inaugurare quello che poi divenne il Teatro Comunale.
Il
10 luglio 1762 l'incaricato del conte, Lodovico Preti, si recava a
Vienna per condurre i negoziati con Gluck che pur non gradendo la
scelta del libretto (avrebbe infatti preferito musicare L'Olimpiade
dello stesso Metastasio) alla fine accettò di comporre la musica per
questo libretto, che solo l'anno precedente aveva conosciuto un
successo trionfale a Vienna nell’intonazione di Johann Adolf Hasse.
Il trionfo di Clelia si adattava infatti meglio all'occasione
inaugurale del nuovo teatro bolognese, non solo per il soggetto di
argomento romano, tratto da Tito Livio, ma soprattutto per la
possibilità di una messa in scena più grandiosa e fastosa, che
avrebbe dovuto colpire l'immaginario del pubblico, che come vedremo
accorrerà numerosissimo, di concerto con la musica del celebre
musicista.
Nelle
clausole si chiedeva espressamente a Gluck, appena reduce dal
successo dell'Orfeo ed Euridice, un'opera nello spirito della
tradizione del Dramma per Musica, senza caratteri innovativi, che
pure Gluck inserì fra le pieghe della composizione. Tra i termini
del contratto c'era la clausola che l'autore doveva recarsi a partire
dall'aprile del 1763 a Bologna (la prima si terrà il 14 maggio dello
stesso anno) per seguire i cantanti, dirigere le ripetizioni e
successivamente le prime tre esecuzioni al clavicembalo o al
fortepiano.
La
compagine era sontuosa, cinquantotto musicisti e i migliori cantanti
sulla piazza, alcuni già conosciuti da Gluck e che avevano cantato
anche nella versione di Hasse, come il tenore Giuseppe Tibaldi
(Porsenna) e il soprano Antonia Girelli-Anguilar (Clelia), i soprani
castrati Giovanni Manzoli (Orazio) e Giovanni Toschi (Tarquinio), il
castrato contralto Gaetano Ravanni (Mannio) e il soprano Cecilia
Grassi (Larissa), tutti ingaggiati per ruoli di grandissimo
virtuosismo. Il successo fu enorme: 27 rappresentazioni sempre
esaurite, una vendita di più di trentamila biglietti in poco più di
un mese, che indicavano una massiccia partecipazione anche dal resto
d'Italia e di viaggiatori stranieri.
L'opera
è superba, con una splendida ouverture in tre tempi, 19 arie per i
solisti, due sinfonie, sei recitativi accompagnati e lunghissimi
recitativi di grande impegno drammatico. Gluck fece in questa opera
un grande uso del recitativo accompagnato, che spesso procede da un
recitativo secco, in alcuni casi segue delle arie che rinunciano alla
tradizionale sortita, arie comunque in gran parte con il da capo
anche se Gluck interviene allungando o accorciando le riprese per
condurre ed approfondire la tenuta drammatica del testo.
Un
testo strepitoso, questo di Metastasio, con Clelia vera protagonista
assoluta del dramma: la fanciulla che acquisisce, man mano che
procede l'azione, spessore e identità, acquistando verso la fine,
nel monologo del terzo atto, una statura di dimensione eroica, ma
velata da una umanità dolente per la sua debolezza che le deriva
soprattutto dall'intenso sentimento d'amore che prova per Orazio,
figura viceversa più stereotipata e di una virtù senza concessioni
e sfumature. Interessanti i personaggi di Porsenna, re etrusco
affascinato dalla virtus romana e Tarquinio, che nella sua
malvagità è pur tuttavia personaggio complesso, consapevolmente
peccatore, mentre Larissa e Mannio svolgono i loro ruoli di
comprimari nel segno soprattutto dell'amicizia.
La
storia è quella della fanciulla romana Clelia che, ostaggio del re
Porsenna in pegno di pace fra Roma ed Etruria, si trova a contrastare
le mire amorose di Tarquinio, mentre il suo cuore è tutto per il
valoroso Orazio, nobile romano. Tarquinio tenterà il colpo di mano
sia nei confronti di Roma che di Clelia, cercando una conquista che
sarà contrastata da Orazio, che da solo sul Ponte Sublicio ricaccerà
l'esercito etrusco, distruggendo infine il ponte e salvando la città,
mentre Clelia si getterà a nuoto nel Tevere pur di sfuggire al
rapimento. A Porsenna che crede, suo malgrado, che siano i romani ad
aver infranto il patto, risponderanno Orazio e soprattutto Clelia,
che recando la prova inconfutabile del tradimento di Tarquinio,
riporterà la pace tra i due popoli.
Come
dicevo la musica di Gluck è strepitosa, le arie di bravura
ricchissime di colorature le più complesse da realizzarsi, ma anche
arie già legate in parte alla sua riforma, con un'espressione più
naturale e un'armonia melodica e cantabile che ha nell'aria di
Larissa Ah ritorna età dell'oro il suo momento più alto;
diversi momenti lirici come nella bellissima aria di Orazio Saper
ti basti e stupendi recitativi, anche accompagnati, dalla potenza
drammatica veramente esemplare. In particolare nel secondo atto il
lungo brano dalla scena X alla XII che inizia con una marcia di
piglio guerresco, continua in un recitativo accompagnato in cui
Orazio decide di combattere da solo contro gli Etruschi, in cui il
tremolo degli archi rende il momento dell’estrema decisione,
prosegue una sinfonia con gli archi all'unisono e un nuovo recitativo
accompagnato, con Tarquinio e Clelia che intervengono a potenziare
l'effetto di drammaticità. Anche il lunghissimo monologo di Clelia
all'inizio del terzo atto è reso da Gluck in modo eccezionale, con i
sentimenti contrastati e dilanianti dell'eroina che vengono resi in
un recitativo accompagnato dall'affascinante teatralità.
Tutto
questo è reso in modo eccellente dall'esecuzione della Armonia
Atenea, il cui direttore Sigismondi de Risio ha impresso un ritmo, un
contrasto dinamico di colori, un timbro musicale da lasciare senza
respiro, nelle arie di bravura come nei momenti sinfonici,
potentissimi, in una orchestrazione e concertazione superlativa che
esalta la bravura dei singoli musicisti che spesso si trovano ad
accompagnare il canto come i corni nell'aria di Mannio Vorrei che
almen per gioco, o i soli archi che sottolineano il lirismo
dell'aria di Larissa Ah celar la bella face. I recitativi sono
resi in modo assolutamente eccezionale e contribuiscono grandemente
all'efficacia drammatica dell'opera.
L'Orazio
di Mary Ellen Nesi è un capolavoro di bravura e drammaticità che
rende con pregnanza un personaggio capitale; sia il lungo brano del
secondo atto che il finale con l'aria "allegro assai" De'
folgori di Giove la mostrano al suo apice, forse una delle sue
migliori interpretazioni, ma non di meno la Clelia di Hélène Le
Corre, bravissima nelle colorature come nell'aria Mille dubbi mi
destano in petto ma anche nei momenti drammatici dei recitativi
accompagnati.
Colpiscono
anche Vassilis Kavayas, un Porsenna agile nelle colorature e dal bel
timbro tenorile di grazia, e il soprano Burçu Uyar, le cui arie
richiedono una agilità scolvolgente ma che anche nei momenti di
affascinante lirismo si dimostra assolutamente in grado di sostenere
il ruolo. Irini Karaianni offre a Tarquinio il suo morbido timbro
scuro, anche lei a suo agio nelle terribili difficoltà delle
colorature, come in Non speri onusto il pino, e buono anche il
Mannio del controtenore Florin Cezar Ouatu. Tutti rendono
efficacemente i recitativi secchi, con un senso della parola e della
sua funzione teatrale assai marcata e in cui non è di secondo piano
lo splendido fortepiano di George Petrou che scolpisce ed accompagna
il testo con magnifica musicalità.
Insomma
una esecuzione a mio avviso superba che dovrebbe affascinare tutti
gli amanti della musica del secondo Settecento, con un Gluck che pur
restando nei canoni della tradizione introduce già i primi elementi
della sua riforma dell'opera e con Metastasio incomparabile autore di
un testo dalla potente drammaturgia.
Isabella
Chiappara, 17 marzo 2012
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