ANTONIO VIVALDI (1678-1741) L'Oracolo in Messenia (RV 726) Julia Lezhneva (Trasimede) Ann Hallenberg (Merope) Vivica Genaux (Epitide) Romina Basso (Elmira) Franziska Gottwald (Licisco) Xavier Sabata (Anassandro) Magnus Staveland (Polifonte) Europa Galante Fabio Biondi, direttore Virgin 60254726 (2 CD) *** uest'opera di Vivaldi fu scritta nel 1737 per Venezia ma purtroppo la musica è perduta: ce ne rimane solo il libretto, che è un adattamento della Merope di Apostolo Zeno. Lo stesso libretto era stato presentato a Venezia nel 1734 con la musica di Geminiano Giacomelli e aveva ottenuto un clamoroso successo, anche grazie alla presenza nel cast di due leggendari castrati: Farinelli nel ruolo di Epitide e Caffarelli in quello di Trasimede. I due cantavano ben 5 arie ciascuno, seguiti con 4 arie da altri due grandi cantanti dell’epoca: Lucia Facchinelli (Merope) e il tenore Francesco Tolve (Polifonte). Reinhard Strohm, nel suo saggio sulle opere di Vivaldi, ritiene improbabile che L’Oracolo in Messenia fosse un pasticcio basato sull’opera di Giacomelli: dopo soli quattro anni il ricordo della Merope era ancora troppo fresco nella memoria dei Veneziani perché un’operazione del genere avesse successo. D'altra parte solo sei delle arie nel libretto possono essere ricondotte facilmente a musiche note, sicché secondo Strohm l’opera fu per la maggior composta con arie nuove. Nel 1740 Vivaldi partì per Vienna, in quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Il suo scopo, molto probabilmente, era quello di mettere in scena nella capitale austriaca proprio L’Oracolo in Messenia, ma la morte improvvisa dell'imperatore Carlo VI in quell'anno, e quella dello stesso Vivaldi l'anno seguente, impedirono la realizzazione del progetto. Tuttavia nel 1742 l'opera fu presentata lo stesso a Vienna come omaggio postumo a Vivaldi, grazie anche alla presenza e all'interessamento di Anna Girò, la cantante favorita del Prete Rosso. Di diverso avviso sono invece Fabio Biondi e il musicologo Frédéric Delaméa, che hanno curato la realizzazione di questo album: secondo loro l’opera era quasi sicuramente un pasticcio. Sicché, per ricostruire la musica perduta, hanno importato dalla partitura di Giacomelli ben dieci arie (sulle 21 incluse nei CD), due cori e i due grandi recitativi accompagnati di Merope, nonché la maggior parte dei recitativi secchi (il resto dei recitativi, anche se non viene scritto esplicitamente, è stato evidentemente composto per l'occasione dai due curatori). A queste si aggiungono nove arie tratte da opere precedenti di Vivaldi e due arie di altri autori: Son qual nave di Broschi e Nell'orror di notte oscura di Hasse. Biondi e Delaméa dicono di aver seguito il libretto di Vienna del 1742, che fu in parte rimaneggiato rispetto all’originale di Venezia. In realtà questa loro affermazione non va presa troppo sul serio: infatti non solo mantengono un'aria presente a Venezia ma non a Vienna (Se in campo armato, tratta dal Catone in Utica di Vivaldi) ma soprattutto sopprimono un buon numero di altre arie (non posso fare un calcolo esatto, ma sicuramente da 3 a 5) nonché un larga fetta di recitativo. A far le spese di queste cancellazioni è soprattutto il personaggio di Trasimede, che in questi CD canta solo due arie pur essendo uno dei personaggi principali. Suona a tal proposito alquanto spudorata e offensiva per l'intelligenza degli ascoltatori l'affermazione fatta da Biondi in un'intervista che ho trovato on-line: “è un’opera non particolarmente lunga, quindi gradevole anche all’ascolto di un pubblico moderno”. Il libretto riprende una tragedia perduta di Euripide ed è ambientato nella città di Messene, governata dal perfido Polifonte. Dieci anni prima egli era salito al trono grazie all'eccidio del re Cresfonte e dei suoi figli, compiuto per suo mandato da Anassandro, servo della regina Merope e da allora latitante. Ma uno dei figli, Epitide, è scampato al massacro ed è cresciuto al sicuro per dieci anni presso la corte d'Etolia. Lì si è innamorato della principessa Elmira, che viene però rapita da Polifonte e tenuta in ostaggio: il perfido re spera di barattarla con il pericoloso rivale. L’opera si apre con Epitide che ritorna a Messene in incognito sotto il nome di Cleone, accompagnato dall'ambasciatore d’Etolia Licisco che, d’accordo con lui, annuncia a Polifonte che Epitide è morto e chiede il rilascio di Elmira. Polifonte intanto ha atteso per dieci anni che l’ex regina acconsentisse a sposarlo: di fronte al definitivo rifiuto egli convince Anassandro a confessare la sua antica colpa, indicando però come mandante del delitto proprio Merope, che viene condannata a morte. Epitide vorrebbe aiutare la madre ma Merope non solo non lo riconosce quando lo vede, ma lo accusa di essere lui in realtà l'assassino del figlio. Tuttavia Polifonte esagera nella sua malvagità: quando Anassandro vede i suoi servigi ricompensati con una condanna a morte, racconta tutta la verità a Licisco e Trasimede (primo ministro di Messene, segretamente innamorato di Merope), portando così la vicenda all'inevitabile lieto fine. L'interesse di questo cofanetto sta soprattutto, a mio avviso, nella possibilità di ascoltare una significativa selezione della Merope di Giacomelli. Naturalmente sarebbe stato infinitamente preferibile avere una registrazione completa di quest'opera, invece del "pasticciaccio" ordito dai due curatori. Ma evidentemente sul buon senso hanno prevalso le ragioni commerciali e in particolare la speranza di ripetere il successo che arrise qualche anno fa a Biondi col Bajazet di Vivaldi. Gli ingredienti infatti sono gli stessi: un cast prestigioso ed un pasticcio che porta in copertina il nome di Vivaldi. Tuttavia il cast stellare riesce a brillare solo parzialmente. I motivi vanno probabilmente ricercati in una certa fretta nella preparazione, che si palesa soprattutto nei recitativi ma che si fa sentire anche in molte arie, e poi nell'infelice scelta di registrare l'opera dal vivo, durante i concerti viennesi dello scorso gennaio. Un'incisione in studio avrebbe forse permesso di ripensare con calma diverse delle scelte effettuate e di ottenere una migliore resa dell'orchestra, qui afflitta da un suono troppo duro. Dei cantanti quella che si fa preferire è Julia Lezhneva (Trasimede) alla quale però sono state affidate solo due (splendide) arie: il suo cavallo di battaglia Son qual nave e poi Se in campo armato tratta dal Catone in Utica (ma con le trombe sostituite dai corni). Per quanto il risultato sia magnifico, non posso fare a meno di osservare che avere a disposizione una simile cantante e poi castrare così il suo ruolo tagliando almeno due arie va contro ogni logica. Anche Vivica Genaux (Epitide) fa un buon lavoro: ben tre delle sue quattro arie, ed un arioso, provengono dalla Merope di Giacomelli e quindi furono cantate dal mitico Farinelli. Tuttavia non riesce sempre a dare quell'impressione di leggerezza e di assoluto dominio della partitura che altre volte avevamo ascoltato. In questo devo dire che non è stata molto aiutata da Biondi, il cui accompagnamento spesso è troppo veloce e troppo invadente. La cosa migliore viene, guarda caso, dalla celeberrima Sposa non mi conosci, un'aria che la Genaux ha già cantato innumerevoli volte (ad esempio proprio nel Bajazet). Sono sicuro che se avesse avuto più tempo per prepararsi il risultato complessivo sarebbe stato migliore. Le stesse osservazioni si possono ripetere anche per Ann Hallenberg (Merope). Delle sue quattro arie ben tre sono di Giacomelli, ma solo Barbaro traditor (anche questa già usata nel Bajazet) mi ha soddisfatto appieno. La quarta è una tipica "aria parlante" (No, non meriti pietà) scritta per la Girò ed aggiunta solo a Vienna, ma qui a mio avviso Biondi ha forzato un tempo inutilmente rapido, rovinando l'effetto. Molto convincenti invece i due recitativi accompagnati altamente drammatici. Franziska Gottwald (Licisco) canta due arie di Giacomelli non particolarmente memorabili ma appare un po' in difficoltà nella temibile aria di Hasse, anche in questo caso non molto aiutata da Biondi, che stacca un tempo velocissimo. Per Romina Basso (Elmira) e Magnus Staveland (Polifonte) le perplessità vengono innanzitutto dalla scelta delle musiche: in diversi casi le loro arie sono state ottenute cambiando il testo ad arie di altre opere di Vivaldi, ma il risultato appare quasi sempre dubbio se non improbabile. Ad esempio l'aria di Elmira La mia cara speranza è stata ricavata da un'aria per tenore della Dorilla in Tempe, con una trasposizione che appare piuttosto singolare. Nel caso di Polifonte anche la resa del recitativo non mi ha molto convinto: a volte Staveland ricorre ad una dizione "sussurrata" che vorrebbe essere melliflua e sottolineare la crudeltà del personaggio, ma che in realtà non risulta molto efficace. Insomma: a parte tutti i grandi dubbi espressi sopra sulla bontà dell’operazione nel suo complesso, se badiamo solo alla realizzazione musicale troviamo luci ed ombre, come in ogni registrazione d'opera. Ma rimane la sgradevole sensazione che con un po' d'impegno in più le luci avrebbero potuto prevalere. Maurizio Frigeni, 18 ottobre 2012
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