Il Sant'Alessio e il Teatro dei Barberini di ISABELLA CHIAPPARA | | Valentin de Boulogne - Allegoria dell'Italia - 1627-28 Istitutum Romanum Finlandiae (1) |
a Roma dei Papi del primo Seicento, dei Cardinal nepoti e del Barocco lussureggiante è anche e soprattutto Ecclesia Thriumphans. E' la Chiesa che trionfa sui suoi nemici, l'eresia protestante in primis, sulle nuove posizioni scientifiche, sulle filosofie scomode, sui suoi stessi tentativi interni di riforma. Il secolo si apre con il rogo di Giordano Bruno, tragico spettacolo in cui la Chiesa controriformista si riconosce, insieme con le feste per la canonizzazione di nuovi santi, quasi tutti appartenenti ai nuovi ordini nati e cresciuti con la Controriforma, con l'Inquisizione, con le nuove forme di devozione e di didattica religiosa. Gesuiti, Teatini, Filippini celebrano i loro santi e la loro pervicace ed intensiva penetrazione nel tessuto morale e fisico della città. Insieme a loro è tutto il culto dei santi a conoscere un nuovo impulso, un nuovo vigore, essendo lo strumento della santità direttamente controllato dal Pontefice del quale esalta prestigio ed autorità, e che trova nelle canonizzazioni multiple e simultanee il suo momento più spettacolare (2). E' proprio in queste cerimonie che si ribadisce il ruolo dominante che nella pietà cattolica romana e nella dottrina teologica vanno assumendo i santi, intermediari del Divino, e forti exemplum di vita religiosa a cui ci si deve sempre più uniformare. La loro vita, le loro azioni esemplari sono modelli per il buon cristiano, ma sono soprattutto, nella politica di centralità religiosa a cui la Chiesa aspira, espressioni di una volontà di controllo sociale, in un momento nel quale le possibili aspettative di secolarizzazione della vita sociale, innescate dallo sviluppo della modernità, rendono pericolosa qualsiasi istanza riformatrice o via di fuga dal modello tracciato. In questo senso la didattica applicata all'agiografia, particolarmente frequentata dai Gesuiti, il racconto patetico ed emozionale della vita del santo, diventano strumenti per incanalare la devozione verso forme di pietà che spesso conoscono una teatralizzazione nelle nuove pratiche della liturgia sacra. Con questo particolare atteggiamento devoto non sono più soltanto i Martiri a diventare con le loro scelte estreme dei modelli, ma anche e soprattutto coloro che avevano conformato la loro vita in pratiche di allontanamento dai vizi e dalla mondanità, e che nella loro scelta virtuosa avevano con il loro esempio dato nuova linfa alla cristianità. Uno di questi santi era sicuramente il "romano" Sant'Alessio, che vissuto al debutto del Cristianesimo, poteva ancora, nella sua scelta per una vita contemplativa con l'abbandono delle ricchezze, del prestigio sociale, degli agi e fin anche degli affetti, costituire un modello per la precettistica nata dal Concilio di Trento. Nel 1632 veniva rappresentato grazie al mecenatismo dei principi Barberini Il Sant'Alessio, dramma musicale in un Prologo e tre Atti, di Stefano Landi su libretto di Giulio Rospigliosi. Per la prima volta una storia tratta dall'agiografia sacra trovava una consacrazione come strumento spettacolare, momento di teatralità prestata alla devozione, sotto l'egida di Papa Urbano VIII Barberini e sicuramente dei Gesuiti, al cui ordine Rospigliosi era legato per formazione ed educazione. Una vita segnata dalla pietà, quella del santo a cui i romani erano tanto devoti, sì da conservare nella chiesa a lui dedicata come una reliquia, la scala sotto alla quale aveva vissuto per diciassette anni all'ombra del palazzo paterno, che diventava soggetto per uno dei più straordinari nuovi esperimenti in campo musicale, quello dell'opera in stile rappresentativo, della quale la variabile romana, stava diventando uno degli epifenomeni più interessanti e coinvolgenti per le fortune successive del genere. I protagonisti sono tutti ben noti. Giulio Rospigliosi, prelato vicino alla famiglia Barberini, futuro cardinale e papa con il nome di Clemente IX, è il geniale librettista. Il lavoro, come i successivi undici libretti di melodrammi che per più di un decennio, dal 1632 al 1644 furono dati come vedremo nel teatro della fastosa residenza alle Quattro Fontane dei Barberini, si conformava perfettamente al clima di "ritorno all'ordine" che era stato pronunciato dal papa Urbano VIII, contro le deviazioni edonistiche dei suoi predecessori. Non il mito, quindi, non una favola pastorale, come era stato nei precedenti, La Morte di Orfeo dello stesso Landi o la Catena di Adone del Mazzocchi, e nemmeno un dialogo morale come era stata la Rappresentazione di Corpo e di Anima del Cavalieri, bensì la vita di un Santo, con la retorica al servizio dell'agiografia. Ma anche l'inserimento dei nuovi strumenti della Commedia, del linguaggio e della irritualità dei guitti e delle maschere, che venivano a spezzare, così come le mezz'arie spezzavano il tedio dei lunghi recitativi, la unidirezionalità del Sacro. Sacro e Profano venivano così ad unirsi in un progetto letterario a cui la musica di Landi darà corpo e fruibilità spettacolare. Di Stefano Landi abbiamo già raccontato le vicissitudini che lo portarono a divenire prima protégé dei Borghese e successivamente della potente famiglia del nuovo Papa. Sopranista al Collegio Germanico a Roma nel 1595, organista e cantore in seguito in diverse chiese romane, scrisse un primo libro di Mottetti nel 1616, nel 1619 La Morte d'Orfeo e nel 1628 una Messa nuziale per i Barberini, entrando così nel loro entourage. Infine i Barberini senza i quali nulla si sarebbe fatto. Eletto papa nel 1623 Maffeo Barberini, fine letterario e poeta, autore dei Poemata, musicati da Domenico Mazzocchi, portò subito alla ribalta i tre nipoti, Taddeo destinato ad amplificare e a perpetuare la gloria della famiglia sposando la principessa Anna, rampolla della nobile ed antica famiglia dei Colonna ed acquisendo il Principato di Palestrina, Francesco ed Antonio entrambi cardinali, brillanti e colti principi della Chiesa e straordinari mecenati. A Francesco, il maggiore, spettarono i privilegi del ruolo di Cardinal nepote, vero alter ego del papa, sovraintendente dello Stato e sorta di primo ministro e quindi strumento diretto dell'assolutismo papale. E' soprattutto a lui che dobbiamo l'attività di impresariato teatrale che portò alla rappresentazione del Sant'Alessio, ma anche il fratello Antonio come Francesco attento conoscitore del panorama musicale romano, Virgilio Mazzocchi era il loro maestro di Cappella, fu attivamente coinvolto. Uno dei primi atti dei Barberini fu l'acquisto della proprietà degli Sforza alle Quattro Fontane, sotto i nuovi assi viarii delle strade Felice e Pia create da Sisto V e dove andavano a concentrarsi molti degli interventi urbanistici ed architettonici dei papi e dei cardinal nepoti del primo Seicento, gli Aldobrandini e i Ludovisi, i Borghese soprattutto, con il palazzo poi Rospigliosi e gli interventi al Palazzo di Monte Cavallo poi Quirinale, destinato a Reggia pontificia. Il palazzo nasce con una doppia funzione o ancor meglio natura, l'una rivolta verso la città, sede di rappresentanza della Famiglia, l'altra di villa suburbana, affacciata sulle delizie di un vastissimo e ricchissimo per le rare essenze orticole, giardino. Vi operarono Carlo Maderno, il giovane Borromini, Gian Lorenzo Bernini, autore di gran parte del progetto architettonico e Pietro da Cortona, che dipinse nel soffitto dell'enorme salone alto due piani (ben 400 mq), il Trionfo della Divina Provvidenza, celebrazione sontuosa e magniloquente delle Virtù del Papa. Pietro da Cortona è anche il probabile progettista del Teatro che fu eretto entro il 1632, a coronamento e conclusione del grandissimo Cortile della Cavallerizza, entrata grandiosa al Palazzo dalla parte di via Grimana (ora Piazza Barberini).
Dall'importante portale che chiudeva sul lato destro la via, ci si immetteva nel cortile e ortogonalmente a questo, sul fondo si ergeva il teatro, dotato di un bel portale mistilineo ad arco spezzato e cornice bugnata, e di due file di finestre, una al piano terreno ed una ad un primo piano rimarcato da un cornicione sotto al quale erano le piccole finestre che Portoghesi definisce "appese" e che, per la loro attinenza con quelle della Villa Sacchetti al Pigneto, confermano l'attribuzione a Pietro da Cortona. Verosimilmente il coronamento di un tetto a due falde concludeva un vano di grandissima ampiezza e lunghezza, spazio unico, scandito da poderose capriate come possiamo ancora vedere in una tarda immagine del pittore olandese D. Martens, che mostra il teatro quando era diventato, agli inizi dell'800, il grande studio dello scultore Thorwaldsen. L'edificio si estendeva per un buon tratto, anche oltre la linea di confine del cortile della Cavallerizza, almeno sette finestre sembra di vedere in un quadro del 1656, che ritrae la grande Festa dei Caroselli che fu data in onore della regina Cristina di Svezia, con l'imponente teatro ligneo lungo gli assi del cortile che non impedisce però di riconoscere il portale del teatro, così come ci è restituito da diverse immagini posteriori, fra le quali diverse fotografie ottocentesche e del primo '900. Il teatro, sicuramente distrutto nell'impianto interno, è attualmente riconoscibile nel corpo di fabbrica che chiude ortogonalmente la facciata principale del palazzo. Dell'antico edificio rimane, a causa degli sventramenti operati tra la fine dell'800 ed il 1932, dovuti all'apertura dell'attuale via Barberini, il portale con due finestre per lato sui due preesistenti piani, mentre l'armonia dell'antica facciata è completamente stravolta dalla sopraelevazione di un ulteriore piano, e il lato tagliato diventa un prospetto (su via Barberini), squallida riproposizione del ritmo delle aperture barocche appesantite da brutte nicchie contenenti dei vasi. (3)
Sequenza di foto dall'inizio del Novecento agli anni Trenta che documentano le fasi cronologiche della trasformazione del teatro e dell'area urbana ad esso inerente (P.zza Barberini)
Fu in questo teatro capace dicono le cronache coeve dai 3000 fino ai 4000 posti, che fu dato nel 1632 Il Sant'Alessio, e dove ripetutamente furono rappresentate le opere del Rospigliosi, musicate di volta in volta dai diversi musici organici alla corte dei Barberini, Marazzoli e Virgilio Mazzocchi fra gli altri. Lo stesso Sant'Alessio fu replicato nel 1634, con un arricchimento delle scene, sulla progettazione delle quali regna l'incertezza. Se una vecchia attribuzione le assegnava al Bernini, le ricerche di Irvin Lavin trovavano nel fondo dell'Archivio Barberini i documeni relativi ai pagamenti per le pitture degli scenari a Francesco Buonamici, pittore non particolarmente noto. In seguito l'attribuzione a questi, il cui monogramma ritorna sulle incisioni delle scene pubblicate anche separatamente in un sontuoso libretto intitolato Prospettive delle sciene della famosissima rappresentatione di S. Alessio, non è stata messa in discussione, fino ai contributi di Molinari e soprattutto di Maurizio Fagiolo, che riportavano al Bernini o a Pietro da Cortona, l'esecuzione delle scene, in considerazione del fatto, sostanziale, che un autore ignoto non poteva essere stato coinvolto in una operazione di così grande prestigio come era stata la messa in scena del Sant'Alessio. D'altra parte il residente toscano Francesco Niccolini descrive la rappresentazione del '32 senza grande impiego di macchine e cambi a vista, che sicuramente furono adottati nella replica del '34, mentre apprezzamento mostra un viaggiatore francese Jean-Jacques Bouchard, libertino appartenente all'Accademia degli Umoristi, che forti legami aveva con il milieu culturale romano e che descrive la rappresentazione in termini entusiastici, soprattutto per le scene e la musica che dice essere nel più puro stile recitativo. Ce fut une des belles representations qui se soit jamais faite a Rome, disoit on. Orestès onques ne vit rien de si somptueus, et si agreable. Toute la salle, estoit tendue de sain rouge, bleu et jaune avec un dais au dessus, de mesme, qui couvroit toute la salle. Le theatre eut quatre scenes: la première representoit la ville de Rome, avec ses palais, la seconde l'Enfer, d'où sortirent quanité de diables; la troisième fu le mausolée ou tombeau de St. Alexis; e la quatrième una gloire du Paradis où estoit St. Alexis avec quantité d'ages. Les nues s'ouvrirent et parut un grand lieu si resplendissan et lumineus qu'à peine le pouvoit on regarder.
A queste prime quattro scene nella rappresentazione del 1634 se ne aggiunsero altre due, fra le quali una di soggetto pastorale che probabilmente è la scena aggiunta di balletto alla fine del I Atto. Le scene pubblicate ci mostrano una prospettiva di città piuttosto convenzionale, con solo la scena della Religione nel II atto scena nona e quella della Gloria finale probabilmente caratterizzate da macchine, con le classiche nuvole che trasportano i cantanti. La pubblicazione separata delle scene era usuale per gli spettacoli principeschi, che intendevano glorificare la magnificenza del committente, e in questo caso avvenne con le otto incisioni di François Collignon, che vanno ad arricchire il libretto iniziale. Rientrava infatti la rappresentazione teatrale de Il Sant'Alessio in quello che è stato definito da Silvia Carandini, ordine della festa, in quanto la sua produzione assolutamente antieconomica, di un mecenatismo prodigo e magnifico, si configurava in uno scambio improduttivo volto non al profitto bensì alla propaganda politica e alla celebrazione della Casata, in questo caso la famiglia del papa regnante, insistendo nella sfera della dimensione sacrale di eventi legati alle ricorrenze tradizionali, il carnevale ad esempio, o di eventi eccezionali correlati alla corte. (4)
In entrambe le rappresentazioni ci furono degli ospiti importanti: in quella del '32 l'emissario imperiale austriaco Hans Ulrich Furst von Eggenberg, la presenza del quale a Roma obbligò i Barberini ad anticipare la Festa, ragione presumibile di una messa in scena non ancora perfettamente completata nell'apparato, e il principe Carlo Alessandro Vasa, fratello del re di Polonia, in quella del '34. Il teatro dei Principi è munifico, ad esso partecipa non solo un pubblico scelto, ma anche la colonia di stranieri e i forestieri di passaggio nella città, a questa data cosmopolita. E' innovativo e aperto alle nuove istanze culturali, partecipa appieno al clima intellettuale romano, è soggetto a lodi, ma anche a critiche, talvolta feroci. I Principi sono attivamente presenti nella messa in opera delle rappresentazioni, si mettono in gioco in prima persona. Siamo quindi di fronte ad una vera realtà imprenditoriale, che anticipa quelle future dei teatri pubblici veneziani, ponendosi da spartiacque fra lo Spettacolo del Principe e del Potere, e il moderno spettacolo a pagamento, che si appresta a nascere in quegli stessi anni. La stessa annuale riproposizione di messe in scena di opere conferma questa ipotesi, configurandosi nelle forme e nei modi di un progetto culturale di ampio respiro a cui collaborarono le migliori forze romane, in campo musicale ma anche architettonico ed artistico. L'opera infine, di grandissima novità e sperimentazione in campo musicale. La storia è quella densa di pietà cristiana di Alessio, figlio del senatore romano Eufemiano, che alla vigilia delle nozze lascia la città per un pellegrinaggio in Terra Santa, per poi ritornare in incognito e rimanere, sconosciuto ai suoi stessi parenti, vivendo di carità, sotto lo stesso tetto paterno. Solo alla morte verrà riconosciuto per un cartiglio che testimonia la sua vera identità e che solo il papa potrà leggere togliendoglielo dalle mani irrigidite, proclamando la sua santità. Da questo canovaccio tratto dalla Legenda sanctorum di Jacopo da Varagine, il Rospigliosi trarrà una storia esemplare arricchita dalle figure della Madre e della Sposa, che nell'estremo dolore della perdita decidono di partire alla ricerca di Alessio, creduto ancora lontano, del padre affranto, di due servi ai quali sono destinate le scene ridicolose, riprese dai lazzi dei commedianti, il Demonio che interviene nell'estremo tentativo di portare a se il penitente, che si macera nel dubbio nel vedere la sofferenza dei suoi cari, un angelo infine che gli comunica la morte imminente e la fine delle sue angoscie. Le due figure allegoriche, della città di Roma nel Prologo, e della Religione nella scena nona del II Atto e nel finale, svolgono un ruolo capitale, la prima nel dare una collocazione ideologica e storicizzare l'esempio di Alessio nell'ambito di una realtà di sacralità diffusa, quella della Citta Santa; la seconda nel comunicare un messaggio politico: solo il papato è la più alta autorità in campo religioso, solo lui sancisce ciò che è santo e ciò che è eretico, solo lui può indicare il giusto cammino nella Fede, e non è un caso che alla Religione siano state affidate le due più belle arie dell'opera come Quei che sospirano, nel II Atto, vero strumento di propaganda fide in forma musicale eccelsa. Il Demonio, che inaugura la lunga teoria di bassi profundi in questo ruolo, svolge una funzione importantissima sia da punto di vista melodrammatico che musicale, tanto da essere interpretato da un basso qualificato come stupendissimo, Bartolomeo Nicolini, e pur non avendo arie, mostra una fierezza esemplare, di statura miltoniana. I suoi recitativi accompagnati dal regale o dall'organo positivo, fanno immediatamente sorgere alla memoria il Plutone monteverdiano. La Madre e la Sposa interpretate da due sopranisti della Cappella Sistina, per la seconda abbiamo il nome dell'ancora adolescente Marc'Antonio Pasqualini, sono due personaggi capitali, a cui sono destinati, i lunghi ripetuti lamenti, in un recitar cantando di rara bellezza, dei quali quello A Dio Tebro, nella scena terza del secondo atto, splendido nella sua drammaticità, prefigura, sia poeticamente che musicalmente l'Addio Roma di Ottavia nella Incoronazione di Poppea di Monteverdi, di qualche anno successivo. Il ruolo del titolo, tenuto dal "castratino" Angelo Ferrotti, antico allievo del Landi, è caratterizzato da momenti esemplari per contrasto degli affetti, soprattutto a partire dalla scena quinta del secondo atto quando nel lamento Alessio che farai, lottando con la sua stessa coscienza, esprime il dubbio, quasi amletico, di continuare il suo percorso di fede, con il demonio che, travestito da eremita, lo incita all'abbandono, in un vero e proprio combattimento interiore, espresso in modo straordinario e straziante dalla musica. Alla notizia della sua morte imminente la fine del tormento angoscioso si esprime viceversa in una arietta O Morte gradita, che riprende il tono leggero della sua prima arietta Se l'hore volano all'inizio del primo atto. Uno dei momenti più alti dell'intera opera si situa nella scena terza del terzo atto, quando alla scoperta della morte del congiunto, la Madre, la Sposa ed Eufemiano, in un trio cromatico senza accompagnamento, Ohimé ch'un hora sola incatenano un lungo lamento, inframmezzato dalla lettura della missiva di Alessio, e i commenti degli astanti. Un coro angelico che invita alla gioia accompagna la Religione, che con un'aria ricca di melismi, introduce al finale, quando Alessio ricompare in Cielo fra gli angeli, e un Balletto delle Virtù conclude in gaiezza, con tutto il ricco comparto strumentale di arpe, liuti, violoni, lire, tiorbe e clavicembali, a celebrare la gloria del Santo, e per estensione quella del Papa regnante e della sua Familia. William Christie con le sue Les Arts Florissants ci ha consegnato due pregevolissime incisioni di quest'opera magistrale e di così grande importanza per la Storia della Musica. La prima del 1996 è in un doppio cd Erato di grandissima bellezza (ripubblicato di recente), con un cast centratissimo in cui spiccano la Patricia Petibon come Alessio, Nicolas Rivenq come Eufemiano e il Demonio di Clive Bayley. Ma è con la seconda, un DVD che riprende una messa in scena dell'ottobre del 2007 a Caen, che Christie crea un vero capolavoro, in questo aiutato dalla bellissima regia di Benjamin Lazar, con le scenografie di Adelin Caron e i costumi di Alain Blanchot. In quella strepitosa produzione, Lazar e Christie, vollero riportare sulle scene l'opera del primo barocco con tutta la magia di una ripresa filologica. Le luci naturali, candele che con il loro effetto di luce ed ombre bene restituiscono l'atmosfera particolarissima del teatro antico ma anche le tonalità chiaroscurali di molta pittura romana del primo '600, le scene prospettiche in carpenteria, i drappeggi e i sontuosi e coloratissimi costumi, i lazzi delle maschere, la gestualità patetica, tutto ci porta a vivere con intensità un passato che a noi ritorna con un fascino inestinguibile ed ancora intatto. Assolutamente imprescindibile per la tentata ricostituzione di quel passato, la presenza sulla scena di soli cantanti maschi diventa un esperimento di grande impatto musicale ed artistico, con le voci di controtenore, che sole oggi possono restituirci sulla scena, sia visivamente che musicalmente, quella realtà di "assoluta assenza femminile" sulle scene romane. La sfida è stata vinta, il pericolo di una certa uniformità di timbro (ben nove controtenori), è stato ampiamente superato da un cast eccezionale dove spiccano l'Alessio di Philippe Jaroussky, meraviglioso in una parte dove la sua voce quasi disincarnata nella sua particolare tessitura, ci comunica la componente angelica del suo canto e si irradia con molta più pregnanza ed intensità, rispetto alla pur brava Petibon, più carnale ed umana, e la straordinaria Sposa di Max Emanuel Cencic, la cui più corposa voce di mezzo soprano ben si presta ai momenti di disperato dolore e il cui lamento commuove per l'intenso pathos con cui ci dà ragione degli affetti. Per entrambi le parole e-movere gli affetti ci diventano così immediatamente percepibili e sostanziate. Molto bravi anche Xavier Sabata nel ruolo della Madre e Terry Wey nel doppio ruolo cruciale di Roma e Religione. Nel ruolo del Demonio il basso Luigi De Donato è veramente strabiliante, le sue note bassissime fanno venire i brividi, anche la sua presenza scenica è notevolissima, abbigliato con un sontuosissimo costume i cui riferimenti al mondo clericale, indossa infatti una sorta di ricco piviale, sono sicuramente da leggere in una volontà registica di sovrapposizione fra il Male rappresentato da Lucifero e il Bene incarnato dalla Chiesa militante. Alain Buet infine presta il suo bel timbro baritonale ad Eufemiano. Ma è tutto il cast, compreso il coro che unisce il delizioso coro di bambini della Maitrise de Caen a quello solo maschile de Les Arts Florissants, ad essere eccezionale, così come il ricco ensemble musicale. Tra le scene più riuscite sicuramente i balletti, quello di diavoli nel primo atto accompagnato dal bellissimo coro Si disserrino e quello del finale dello stesso atto, con una scena carnevalesca di irrituale gioiosità. Come più volte ci ha abituato B. Lazar, è nel finale che si esprime al meglio quella volonta di restituzione di una dimensione teatrale altra, rispetto all'oggi, ma affascinantissima. L'insieme del balletto, anche questo rigorosamente maschile, sebbene le virtù siano incarnazioni femminili, del coro dei piccoli angeli assiepati in alto sulle scene, come se guardassero giù dal Paradiso, la potente raffigurazione della Religione nel suo bellissimo ed imponente costume, che tutti sovrasta, ci pone in una condizione in cui la percezione della bellezza della musica così come quella dell'intera rappresentazione ci giunge inalterata dal passato. E' proprio in questo che risiede la magia della ricostruzione filologica, laddove gli strumenti e la prassi antica, le scene, il canto, la gestualità, tutto concorre a restituirci appieno e assolutamente non nel senso di un arida riproposizione, la "verità" di una forma di cultura alta come è quella dell'opera in musica. Capace anche di momenti di grande poesia: di tutte le scene, quella più commovente con la sua grazia naive, è quella del finale del II Atto, dove tanti teneri angioletti si affacciano dalla scala, sotto alla quale riposa, finalmente pacificato nella morte, Alessio. Isabella Chiappara 5 maggio 2012 Note - La tela rappresenta la figura dell'Italia con la lancia simbolo del potere temporale e dello scudo con le chiavi di San Pietro simbolo del potere spirituale della Chiesa. La cornucopia piena di frutti indica la prosperità dovuta al Buon Governo dei Barberini. Le figure ai piedi dell'Italia sono l'Arno, che incarna Firenze, luogo d'origine della Famiglia, e il Tevere ossia Roma, sede del Papato. L'opera fu realizzata per la famiglia Barberini. E' conservato il documento che attesta il pagamento di centotredici scudi il 30 marzo 1628, a Valentin de Boulogne, protetto del cardinale Francesco Barberini.
- La pratica delle canonizzazioni di santi multiple diventa una prassi a partire dal primo Seicento, solo nel 1622 furono canonizzati insieme quattro santi iberici: Ignazio di Loyola, Francesco Saverio entrambi gesuiti, Isidoro da Madrid, Teresa d'Avila, e un italiano Filippo Neri, il fondatore fiorentino degli oratoriani. Per comprendere la progressione frutto di una politica sempre più centrata sulla santità, nel Seicento furono canonizzati in tutto 24 santi, contro i 5 del 500, crescita destinata ad aumentare nel 700 con 29 santi e nell'800 con 78, ed esplosa nel 900 con ben 533 canonizzazioni fino al 2000.
- Silvia Carandini - Teatro e spettacolo nel Seicento - Bari 2003, pp. 11-13
- Il teatro è attualmente in restauro ad opera della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma, curatrice l'Arch. Laura Caterina Cherubini, non possiamo sapere quindi se si deciderà di mantenere la facciata su Via Barberini nel suo falso storico o si sceglierà si ripristinare una sorta di autenticità. Anche l'interno, precedentemente occupato da una banca, speriamo che venga restituito ad una maggiore fruizione dell'antico uso.
Bibliografia - Marina Cafiero - Istituzioni, forme ed usi del sacro - in Roma Moderna a cura di Giorgio Ciucci - Bari 2002
- Silvia Carandini - Teatro e spettacolo nel Seicento - Bari 2003
- Francis Haskell - Mecenati e pittori. Studio sui rapporti tra arte e società italiana nell'età barocca - Firenze (London 1963)
- Jean François Latterico - Giulio Rospigliosi or the pope-cardinal - in Golbberg febbraio 2007
- Lorenza Mochi Onori - Palazzo Barberini - Galleria Nazionale d'Arte Antica - Origine e sistemazione del museo - Roma 1998
- Paolo Portoghesi - Roma Barocca - Bari 1978
- Luigi Zangheri - Alcune precisazioni sugli apparati effimeri di Bernini - in Barocco romano e Barocco italiano - Il teatro, l'effimero, l'allegoria - a cura di Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna.
Si ringrazia l'Arch. Maurizio Soria per l'aiuto nella ricerca fotografica sul Teatro Barberini e l'analisi della stessa nel tentativo di ricostruire la forma antica del Teatro. Referenze discografiche - Stefano Landi - Il Sant'Alessio - dramma musicale (Historia Sacra)
Les Arts Florissants - direzione William Christie Roma e Religione - Maryseult Wieczorek Eufemiano - Nicolas Rivenq Adrasto - Cristopher Josey Sant'Alessio - Patricia Petibon Curtio - Mhairi Lawson Martio - Steve Dugardin Demonio - Clive Bayley Nutrice - Katalin Karolyi Sposa - Sophie Marin Degor Madre - Cecile Eloir Angelo - Stefanie Révidat Nuntio - Armand Gavriilides Uno del coro - Bertrand Bontoux Erato - 2564 69935-6 - Stefano Landi - Il Sant'Alessio - dramma musicale
Les Arts Florissants - orchestra e coro Coro di bambini - La Maitrise de Caen Direttore - William Christie Stage director - Benjamin Lazar Coreografia - Françoise Denieau Scene - Adelin Caron Costumi - Alain Blanchot Luci - Christophe Naillet Making up - Mathilde Benmoussa Diretta per la televisione di François Roussilion Recorded live al Théatre de Caen 15 e 18 ottobre 2007 Sant'Alessio - Philippe Jaroussky Sposa - Max Emanuel Cencic Eufemiano - Alain Buet Madre - Xavier Sabata Curtio - Damien Guillon Nuntio - Pascal Bertin Martio - José lamos Demonio - Luigi De Donato Nutrice - Jean-Paul Bonnevalle Religione / Roma - Terry Wey Adrasto - Ryland Angel Uno del coro - Ludovic Prevost Angelo - Benjamin Hiraux / Pierre-Alain Mercier Virgin Classics - EMI Records Ltd NB - spiace dover constatare che il DVD non è mai stato distribuito in Italia, le ragioni imperscrutabili, le lascio al vostro commento.
Copyright 2012 Isabella Chiappara Soria |