ra i grandi musicisti inglesi della Restaurazione, William Croft può essere considerato l’ultimo vero erede della scuola di cui John Blow e soprattutto Henry Purcell furono i principali protagonisti. Dopo di lui, la scuola musicale britannica subirà un veloce processo di “sublimazione”, caratterizzato dalla coesistenza via via sempre meno delineata tra uno stile nazionale e gli influssi italiani portati prima da Handel e Scarlatti, poi da altri esponenti del pre-classicismo, tra i quali Johann Christian Bach. Su questo sviluppo torneremo nei capitoli successivi, parlando ad esempio della musica di Maurice Greene.
John Vanderbank (1694-1739), Portrait of William Croft (?), unknown loc.
Croft, coetaneo di Vivaldi, ma stilisticamente distante, si formò nel coro della Chapel Royal diretta dal maestro John Blow, ancora nell’ultimo decennio del XVII secolo. Molta della musica cerimoniale di Croft è chiaramente costruita prendendo a modello analoghi esempi da Purcell, tuttavia il risultato appare meno ispirato e sentito da un lato, ma più morbido ed elaborato dall’altro. La figura di Croft può dunque essere sintetizzata come quella di un musicista atto a voler preservare in qualche modo la tradizione britannica, pur accettando le novità che si presentano ormai insistentemente a partire dal 1690 in poi, dall’Italia in particolare, e filtrate da musicisti provenienti un po’ da tutto il continente. Un caso evidenziato è quello del Te Deum in re maggiore, che il musicista inglese compose e successivamente risistemò dopo aver udito l’analoga composizione eseguita nel 1713 dal nuovo arrivato Handel nella cattedrale di St Paul, ossia il Te Deum di “Utrecht” HWV 278. Questo fatto appare non irrilevante e meno scontato di quanto si possa credere, considerando che fu soprattutto Handel a modellare le sue composizioni cerimoniali dei primi anni londinesi proprio guardando alla tradizione purcelliana.
Si è dovuta attendere l’edizione aggiornata di Howard Ferguson e Christopher Hogwood del 1982 per avere un quadro completo della produzione tastieristica di William Croft, composto da ben 19 Suites, tutte su modello degli esempi di Blow, più altri pochi brani sciolti (alcuni Aire, Scotch Tune ed una Chaconne in la minore), ed una suite-concerto, nota con il titolo di Trumpet Overture in re maggiore. Si tratta di una trascrizione per tastiera che Croft derivò dalle sue musiche destinate all’Università di Oxford che gli valsero il titolo di Dottore in Musica nel luglio del 1713. Gli aneddoti raccontano che la stessa onorificenza fu, vari anni dopo, assegnata ad Handel che prima stupì Oxford con la sua Athalia nel 1732, ma poi rifiutò il titolo in modo plateale. Le suites di Croft hanno un numero di movimenti variabile dai due ai cinque, tutte di durata complessiva esigua, in linea con quelle dei suoi maestri, ma con una caratteristica unica rispetto ad esse: l’utilizzo di uno stesso tema viene spesso condiviso tra Almand, Courant e Saraband portando ad una sorta di blocco costituito da “variazioni”, distribuite sui diversi movimenti della sequenza. La Suite XV in la maggiore è forse l’esempio più evidente di questo procedimento. Il trattato di P. Holman (A New Source of Restoration Keyboard Music, RMA Research Chronicle, xx, 1986-7) rappresenta ancora oggi una lettura interessante sull’argomento.
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12 febbraio 2017