Dedicato a Graham Pont
un fatto universalmente noto che gli archivi musicali disseminati tra Europa e nord America, pubblici e privati, siano pieni di manoscritti generalmente catalogati, ma non necessariamente studiati e analizzati opportunamente, al fine di una corretta descrizione ed attribuzione dei loro contenuti. Se limitiamo il campo alle fonti del XVIII secolo, tra gli autori più volte citati in esse figura sicuramente il nome di Georg Friedrich Händel, a volte indicato alla maniera italiana “Hendel” o all’inglese “Handel”. Fin qui nulla di sorprendente, vista la grande diffusione che ebbe la sua musica strumentale e vocale in tutta Europa fin dai primissimi anni del Settecento. Non dimentichiamo che fu lo stesso compositore, nella sua breve prefazione alle famose VIII Great Harpsichord Suites (Londra, 1720) a denunciare, con evidente fastidio, l’esistenza di innumerevoli copie circolanti all’estero, da lui mai autorizzate, talvolta imprecise, delle sue musiche per cembalo, già divenute evidentemente molto popolari. Indubbiamente, questa pubblicazione “riparatrice” permise ai posteri di definire una volta per tutte la forma ufficiale della sua musica per cembalo; tuttavia, l’operazione editoriale non bastò ad arginare il fenomeno, anzi, potremmo dire che lo amplificò per tutto il resto del secolo, anche grazie alla complicità, non desiderata, di alcuni personaggi piuttosto smaliziati del campo musicale / editoriale. La proliferazione di copie più o meno arbitrarie delle sue musiche arrivò al punto da divenire quasi una moda da ricercare a tutti i costi, arrivando addirittura ad apporre il suo nome su raccolte manoscritte non esattamente riconducibili alla mano del musicista di Halle.
Il lavoro di riscoperta effettuato negli ultimi vent’anni dallo studioso australiano Graham Pont, di copie manoscritte sparse un po’ ovunque, evidenzia la necessità di far luce sulle origini di tali documenti, se non addirittura di risalire agli autori dei brani, laddove possibile. Pont, ha insegnato per tre decenni Storia e Filosofia della Musica all’Università del New South Wales (1966-96) dedicandosi assiduamente allo studio delle fonti primarie e secondarie, manoscritte ed a stampa. Il suo principale interesse di studio, per 50 anni, si è costantemente focalizzato sull’analisi delle irregolarità, le asimmetrie e le inconsistenze presenti nelle fonti manoscritte haendeliane, sia autografe che non, analisi che doveva servire, secondo i suoi intenti iniziali, ad identificare le false notazioni poi entrate nell’uso ordinario dell’editoria musicale ufficiale, con conseguenze anche sulla prassi esecutiva degli interpreti odierni. In realtà, un primo importante risultato di tali studi sembra essere quello di aver gettato nuova luce sul reale coinvolgimento di alcuni copisti, che hanno orbitato attorno alla figura del grande musicista anglo-tedesco durante il secondo decennio del secolo. C’è un articolo recente di Pont, uscito su ‘Early Music’ (Some questions concerning Handel’s early London copyists, vol. 44 no 3, May 2016) che tenta di esporre un po’ tutta la questione in modo esaustivo. Volendo sintetizzare al massimo le sue conclusioni, risulterebbe che il principale copista di Handel nei primi anni londinesi, ossia dal 1711 al 1723 circa, non fu Johann Christoph Schmidt (1683-1763), cioè il padre di J. C. Smith junior, bensì William Babell (1688-1723). Si tratta questa di una tesi che va in totale contrapposizione con quanto la musicologia tradizionale haendeliana ha da sempre sostenuto. Un secondo importante risultato degli studi di Pont, forse il più interessante, è che la maggior parte della miriade di manoscritti sparsi tra Europa e nord America, che la stessa musicologia tradizionale haendeliana ha da sempre considerato non sufficientemente attendibili o, al limite, fonti secondarie, risulterebbero legate direttamente o indirettamente alla mano di... William Babell.
Dobbiamo precisare che la visione di Pont non è affatto condivisa dalla maggior parte degli studiosi di Handel, soprattutto riguardo al primo dei due risultati accennati sopra. Maggiore apertura ci sarebbe sul secondo punto. Non a caso, Graham Pont si sta rivelando, a nostro avviso, come il maggior scopritore di manoscritti copiati da Babell o da altri soggetti che, a loro volta, hanno prodotto altri manoscritti da lui derivati (un esempio di quest’ultima casistica viene esposto più avanti, a proposito del manoscritto di Bruxelles / Westphal after Babell). Naturalmente ci sono delle implicazioni non indifferenti al rifiuto delle tesi di Pont: gli studiosi che respingono l’idea di un “Babell copista alle dipendenze di Handel” sono automaticamente portati a credere che i manoscritti da lui copiati contengano musica sua originale o, anche, suoi arrangiamenti da musiche altrui (Handel in primis). Va assolutamente segnalato un articolo ancora in fase di pubblicazione (uscita prevista nel 2018) del Dr Andrew Woolley, a proposito del manoscritto di Bergamo (già annunciato a questa pagina). Non potendo anticipare troppi dettagli, per ovvi motivi, ci limitiamo a sintetizzare le due tesi contrapposte come segue:
- Secondo Pont, il manoscritto sarebbe il risultato dell’attività ordinaria svolta da Babell negli anni 1711-1723, periodo in cui avrebbe avuto libero accesso alla biblioteca musicale di Handel, essendo suo copista fidato; da qui avrebbe attinto, forse in parte rielaborandoli, da brani autografi di Handel, composti probabilmente in Germania, almeno per quanto riguarda le 11 Toccate. Pont fornisce una serie di concordanze con brani haendeliani sia per tastiera che non.
- Dall’analisi della filigrana, Woolley conferma la datazione del manoscritto attorno ca.1720, ma tende ad attribuire interamente la paternità delle composizioni a Babell, pur ammettendo la presenza di prestiti musicali (una prassi del tutto comune all’epoca, che nel caso di Babell sembra accanirsi particolarmente su Handel). Anche Woolley fornisce una serie di concordanze, specialmente con i brani pubblicati da Babell nelle Celebrated Lessons del 1717 (che, ricordiamo, Pont considera anch’essi frutto di una copiatura da parte di Babell, partendo dall’archivio del Sassone).
Fatta questa premessa e prima di esplorare alcune delle fonti individuate dal Pont, è doveroso precisare che è comunque da tenere in conto la possibilità che alcune pagine per cembalo di Handel considerate “minori”, presto o tardi possano essere attribuite a William Babell od altri. Ci riferiamo, in particolare, non tanto alla problematica trascrizione di Vo’ far guerra o ai preludi delle Celebrated Lessons, ma ad altri brani da sempre elencati nel catalogo tematico HWV e che, in seguito al lavoro di Pont, possono oggi essere localizzati in altri manoscritti copiati da Babell (è il caso, ad esempio, di HWV 441).
I brani che presentiamo in questa pagina d’apertura del 2018, sono stati selezionati e registrati da Fernando De Luca, attingendo ad alcuni dei manoscritti che Graham Pont ha recentemente riportato in auge nei suoi saggi e gentilmente fornito al maestro per la loro lettura. Si veda in particolare l’articolo Handel's Keyboard Sonatas (in 'The Early Keyboard Sonata in Italy and Beyond', R. H. Stewart-MacDonald (ed.), 2016, pp. 145-190) dove, oltre al manoscritto di Bergamo, vengono discusse altre fonti: quelle di Napoli, quella danese, quelle inglesi, ed infine quella di Bruxelles.
I MANOSCRITTI DI NAPOLI
Partiamo da una coppia di manoscritti preservati entrambi al Conservatorio di San Pietro a Majella (Napoli). Si tratta dei due volumi I-Nc M.Strum. 3104 e M. Strum. 3105, provenienti dalla collezione di Giuseppe Sigismondo (1739-1826), bibliotecario del Real Collegio di Musica, nome col quale era denominata l’importante istituzione musicale napoletana ai primi dell’Ottocento. Pont non ha potuto identificare i copisti dei due manoscritti, ma risulta evidente come le annotazioni del Sigismondo presenti sulle copertine siano state aggiunte successivamente alla musica; il primo volume riporta come titolo Nove Toccate Per Cembalo Del Sigr Federico Hendel, mentre il secondo recita 9 Sonate Per Cembalo del Sigr Ha:ndel. In entrambi i casi, si tratta di versioni preliminari ma complete delle Great Suites pubblicate da Handel nel 1720 (vedasi in apertura). Secondo Pont, i due manoscritti deriverebbero da autografi haendeliani distinti e soprattutto, non risulterebbero derivati dall’edizione ufficiale del 1720, molto più curata sotto tutti gli aspetti. Non ci sono prove concrete, solo pura speculazione, ma è lecito chiedersi se le famose 8 Suites di Handel furono composte completamente, nella loro versione originaria, proprio tra Roma e Napoli? D'altra parte, ricordiamo che già nel Händel-Jahrbuch del 1960, Rudolf Ewerhart portò all'attenzione degli studiosi una fonte piuttosto rilevante, oggi conservata all'interno della Collezione Santini di Münster. Si tratta di Ms 1911, manoscritto di provenienza italiana, che include versioni primitive di tre delle Suites pubblicate nel 1720: la terza, la quinta e l'ottava. La carta del manoscritto di Münster appare molto simile a quella impiegata da Handel negli anni della sua permanenza in Italia. Tornando a Napoli, il secondo volume (M. Strum. 3105) presenterebbe un maggior numero di somiglianze con la versione definitiva a stampa, per questo può trattarsi di una copia basata su una revisione successiva rispetto alla versione arcaica presente in M. Strum. 3104.
Numerose potranno essere le implicazioni se tutto ciò dovesse essere confermato da studi successivi, in particolare sulla datazione delle opere per cembalo di Handel. Un’altra interessante implicazione, così come suggerito da Pont, è quella che riguarda la denominazione originaria data a questi brani: Handel avrebbe concepito queste composizioni come un gruppo di 9 brani multi-movimento (oppure 8 a seconda di come vengono raggruppati), che in un manoscritto (M. Strum. 3104) vengono indicati come Toccate e Sonate, mentre nel secondo (M. Strum. 3105) solamente come Sonate. Più tardi, nel 1720, Handel avrebbe deciso di pubblicare i brani in forma definitiva col nome di Suites, tralasciando quindi i vecchi nomi di Toccate e Sonate, forse più congeniali al pubblico italiano.
IL MANOSCRITTO DI BERGAMO
Per il volume I-BGi Ms XIV 8751 H.1 (vedi pagina di annuncio pubblicata recentemente), abbiamo ottenuto il permesso da parte dell’interprete di includere in questa pagina i brani che erano stati registrati dal manoscritto, ma poi rimasti fuori dal CD recentemente rilasciato (che include 11 Toccate e 7 Preludi). Si tratta di una Allemande sciolta, in sol minore, una Suite in do minore ed infine una versione della nota Suite in sol maggiore, pubblicata nel libro del 1733 ed oggi catalogata come HWV 441. La presenza di quest’ultima suite nel manoscritto di Bergamo, copiato da William Babell, potrebbe dar ragione al musicologo Terence Best che ne aveva già messo in dubbio l’autenticità: potrebbe dunque essere che la HWV 441 sia stata erroneamente aggiunta da Walsh nella pubblicazione del 1733, peraltro mai autorizzata da Handel, ed essere in realtà una composizione autonoma di Babell? Riguardo alla Suite in do minore, bellissima a differenza della precedente, possiamo dire ben poco, se non che sembra presentare alcune somiglianze (o vere e proprie concordanze) con musica per cembalo di John Loeillet of London (1680-1730). In ogni caso, né Pont, né Woolley sembrano accennare alla possibilità che Babell abbia copiato oppure composto ex-novo la suite ispirandosi allo stile di Loeillet.
I MANOSCRITTI DK.1693/Ms.30078 E LA TRACCIA VIVALDIANA
Il volume DK 1693 contiene 2 suite e 3 partite suddivise in due tomi: il De Luca ha omesso la seconda suite e la terza partita, consegnandoci comunque una quantità sufficiente di musica tale da permettere all’ascoltatore di valutare la qualità delle composizioni presenti nel manoscritto. Il frontespizio del volume, realizzato dalla stessa mano del copista, è intitolato “Sonate à Clavicembalo Solo / Composti dal S.r Hendel”. Tuttavia, questo manoscritto, come molti altri, non è mai stato preso in seria considerazione dalla musicologia haendeliana. Effettivamente, sembra esserci incompatibilità con il linguaggio delle suite di Handel reso ufficiale con la pubblicazione del 1720, linguaggio già maturato in Italia (vedi i manoscritti di Napoli). Come Pont suggerisce, potrebbe trattarsi di un Handel dallo stile ancora acerbo, addirittura precedente al periodo di Amburgo. D’altra parte, conosciamo altre suite sicuramente di Handel, come la triade HWV 444/445/448, caratterizzate sì da uno stile arcaico e quindi tradizionalmente associate al periodo di Halle o Amburgo, ma che al contempo evidenziano un autore nel pieno delle proprie capacità espressive e soprattutto, con già molti elementi chiave del linguaggio haendeliano.
L’altro manoscritto (D-B Mus.ms. 30078), oggi conservato a Berlino e comunemente associato alla mano di un "Dutch scriber", secondo Pont sarebbe anch'esso frutto di Babell-copista, quindi da non considerarsi di origine danese. Il volume contiene un’indicazione esplicita "par Mr Hendel" da pagina 45 in poi, senza ulteriori specificazioni. Ai fogli 52-59 è presente una composizione senza titolo in tre movimenti, una Sonata-Concerto in stile vivaldiano nella tonalità di la maggiore. Il soggetto del primo movimento fu attribuito a Joseph Meck (1690-1758), noto imitatore e trascrittore di concerti vivaldiani, tuttavia più recentemente Michael Talbot lo ha riattribuito allo stesso Vivaldi. Questo non cambia sostanzialmente la convinzione di Pont: la Sonata-Concerto (come tutte le composizioni presenti da pagina 45 in poi del ms.30078 copiato da Babell) sarebbe una composizione del giovane Handel che prende in prestito il soggetto del prete rosso. Ammettendo che questa sia realmente una composizione di Handel, Pont suggerisce che sia stata composta nella seconda metà del 1706, quando Handel giunse a Venezia e, sempre secondo il musicologo australiano, ebbe modo di conoscere personalmente il grande Vivaldi. L’ipotesi è senza dubbio affascinante ma non priva di ostacoli, soprattutto in base a considerazioni stilistiche.
IL MANOSCRITTO DI BRUXELLES
Anche in B-Bc Mus. 6035 sono presenti alcuni brani di stampo vivaldiano, come la Fantasia e la Sonata qui registrate. In questo caso ci troviamo di fronte ad un copista ben preciso, come è evidente dal frontespizio il cui titolo recita Sammlung vermischster Clavierstücke ... Suiten, Ouvertüren, Fugen, ... / von Georg Friedrich Händel ... Johann Jacob Heinrich Westphal. La cospicua quantità di musica, in parte già nota, in parte sconosciuta, non è mai stata considerata di rilevanza sufficientemente attendibile per essere inclusa nel catalogo delle composizioni HWV. Pont osserva inoltre, in base a considerazioni calligrafiche, che la copia effettuata da Westphal (1755-1825) deve essere stata basata su un manoscritto a sua volta copiato da Babell. Questo è evidente soprattutto nella versione per cembalo della Overture al Giulio Cesare, presente in Mus. 6035, la cui realizzazione alla tastiera risulta particolarmente arricchita di armonie, rispetto alla trascrizione pubblicata da Walsh nel 1728.
IL MANOSCRITTO DI MANCHESTER
(ANNE DAWSON’S LESSON BOOK)
Dal manoscritto conservato a Manchester (BRM 710.5 CR 71), meglio noto col nome di Anne Dawson’s Lesson Book, abbiamo 4 Toccate. Quella in la maggiore merita una menzione a parte, visto che lo stesso brano è presente in altri manoscritti sparsi tra Inghilterra e Germania. Nonostante i molti tentativi di attribuzione, che hanno visto proporre nomi eccellenti tra i quali Purcell, Bach e Reincken, la Toccata in la maggiore risulta tuttora di autore ignoto. È curioso notare che una versione incompleta del brano fu copiata nel 1702 da Charles Babel, padre di William. Le altre 3 toccate, molto meno ricche ed interessanti, risultano sicuramente copiate e arrangiate dalla mano di William Babell, con evidenti tracce di passaggi virtuosistici del tutto simili a quelli presenti nella famosa trascrizione dell’aria haendeliana Vo’ far guerra che Babell pubblicò a suo nome nelle Celebrated Lessons del 1717.
Marco De Gregorio --- saladelcembalo.org
Roma, 4 gennaio 2018