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Samuel Scott (c1702-1772) - The Building of Westminster Bridge (1750) - Private collection

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CHARLES
AVISON
(Newcastle upon Tyne, 1709-1770)

12 Concertos, Op.9

"Twelve Concertos (Divided into two Sets) for two violins, one alto viola, and a violoncello. This work is also adapted to the practice of the organ or harpsichord alone. Or these to serve as an accompanyment to the parts in concert, which may be reinforced at pleasure"

First Set

Second Set

FERNANDO DE LUCA
harpsichord

Issue 2018-10

Recorded in Venezia: 12-16 May 2017; German harpsichord after Christian Vater (1738) built by F. P. Ciocca (2007); Pitch A=415Hz

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Tra i musicisti inglesi del Settecento, la figura di Charles Avison è considerata quella di maggior spicco nell’ambito del Concerto Grosso, forma musicale che ebbe particolare fortuna in Inghilterra per buona parte del secolo. A differenza di altre regioni d’Europa, come la penisola italiana dove nel XVIII secolo si assisteva ad una repentina e turbinosa trasformazione delle forme e degli stili musicali, in Inghilterra sembrano coesistere, da un lato, il gusto per le nuove tendenze, dall’altro, l’interesse a tenere vive certe prassi musicali nate nei due secoli precedenti, fino ai primi anni del Settecento. La Academy of Ancient Music, istituzione fondata nel 1726 a Londra ne è un esempio significativo; a questo possiamo aggiungere le numerosissime pubblicazioni musicali in stili per così dire, desueti, che si protraggono fino agli ultimi decenni del secolo, alcune delle quali già comparse su queste pagine (ndr. citiamo solamente i Voluntaries di Boyce ristampati nel 1779 e la collezione di Fughe di Burney comparsa attorno al 1787).

Avison rimase sempre legato a Newcastle, sua città d’origine come noto situata nel nord dell’Inghilterra, praticamente in corrispondenza dell’estremità est del Vallo di Adriano. Le sue incursioni a Londra risultano relativamente sporadiche, soprattutto negli anni della maturità, ma è comunque piuttosto verosimile la notizia che il grande violinista Francesco Geminiani fu suo maestro, proprio a Londra, presumibilmente durante gli anni trenta del secolo; grazie a lui lo stile di Avison avrebbe preso forma dai modelli corelliani più autentici, filtrati dalla tipica duttilità melodica che il maestro lucchese seppe infondere al genere. Nel suo trattato “An Essay on Musical Expression”, pubblicato a Londra nel 1752/53, Avison cita il suo maestro, ponendolo addirittura prima di Handel, come il campione di espressività e armonia, evidenziandone i numerosi pregi in fatto di naturalezza ed efficacia delle modulazioni e la grande espressività dei passaggi melodici. Una sintesi strepitosa che il "caro sassone" era riuscito a realizzare nei 12 Concerti Grossi Op.6 (1740/41), con una molteplicità di influenze stilistiche, prese dai musicisti dell’Arcadia, dalle forme francesi, e soprattutto dalle recenti esperienze teatrali (musiche di scena). Tutto ciò, secondo Avison, andava evidentemente a discapito degli elementi corelliani che lui reputava fondamentali.

I dodici concerti Op.9 furono pubblicati nel 1766 in due set, sei concerti per ciascuno, sotto forma di una edizione multipla, ovvero per diversi organici a scelta tra:

  • una intera orchestra d’archi
  • oppure, un quartetto costituito da 2 violini, viola e violoncello
  • oppure, gli stessi rinforzati a piacere da cembalo o organo
  • ed infine, in un adattamento per tastiera solista.

Ovviamente, quest’ultima è stata la soluzione scelta dal cembalista Fernando De Luca che ha interpretato e registrato l’intera raccolta nella primavera del 2017 a Venezia. Invitiamo tutti ad ascoltare le musiche seguendo la partitura originale che trovate su imslp.org da cui potrete apprezzare la nota esecutiva che Avison riporta all’inizio del primo concerto...

The accustomed Performer on the Organ or Harpsichord, will easily fill up the Harmonies of his Part as directed by the Figures in Thorough Bass. It was therefore thought unnecessary to crowd the Page with a multiplicity of Notes, which only serve to embarrass the Melody.

...una vera e propria raccomandazione che il nostro interprete ha naturalmente colto alla lettera, spingendosi talvolta anche oltre. Un appunto che si potrebbe muovere a questa esecuzione riguarda la scelta dello strumento, il Christian Vater del 1738 dotato di un singolo manuale: una tastiera che non offre affatto quella varietà dinamica cui la partitura, invece, sembra richiamare, per l’ovvia impossibilità di emulare il contrasto tra concertino e ripieno, come indicato nell’adattamento originale di Avison. È altresì vero che il cembalista dovrebbe ricorrere a tecniche esecutive atte a sopperire all’assenza di una tale varietà timbrica e dinamica, ma, almeno in questo caso, la mancanza di tale contrasto si avverte eccome. Un vero peccato.

saladelcembalo.org
5 agosto 2018

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