u John Christopher Smith (1712-1795), compositore inglese vissuto nel cuore del Settecento, più o meno coetaneo di W.F. Bach e C.P.E. Bach, si è detto e scritto molto poco, almeno fino ai primi anni sessanta del dopoguerra. Il motivo di ciò è probabilmente legato all’esistenza schiacciante del suo principale collaboratore e modello musicale, George Frideric Handel, il quale oltre ad essere un grande amico di suo padre, il tedesco Johann Christoph Schmidt, fin dai tempi dell’Università di Halle in Sassonia, ne fu anche una sorta di zio adottivo. Potremmo dire, infatti, che Smith (junior) fu uno dei pochissimi allievi per cui Handel abbia dedicato una certa attenzione già attorno al 1723-25, quando John aveva poco più di undici anni ed Handel era nel pieno della sua attività di impresario e compositore d’Opera a Londra. Evidentemente, il caro sassone, doveva aver immediatamente percepito nel figlio di Smith senior (al tempo il suo Copista ufficiale), un talento innato e soprattutto grande sensibilità musicale che andava assolutamente educata. In questi anni, e fino al 1730, Smith verrà istruito anche da Pepush e soprattutto da Thomas Roseingrave, dal quale assorbirà quella componente stilistica tipicamente inglese ma allo stesso tempo dal tocco un po’ irrazionale e fuori dagli schemi, pur tuttavia rimanendo confinata e circoscritta nel pervasivo imprinting haendeliano. Smith pubblica ben cinque libri di brani per clavicembalo: i primi due nel 1732 e nel 1735, verosimilmente sotto la supervisione di Handel, sono quelli nei quali il giovane compositore mostra la sua più totale ed esplicita predilezione per il suo grande maestro, di cui prende a modello svariati soggetti contrappuntistici nonché la struttura formale di alcune delle Eight Great Suites del 1720. Questi due libri sono l’oggetto della presente interpretazione del maestro Fernando De Luca, prima integrale pubblica, che presentiamo qui. Smith andrebbe riscoperto non solo per la sua produzione tastieristica, ma forse e ancor più, per quella teatrale cui si dedicò negli anni trenta lavorando con Handel ma anche producendo suoi lavori, in modo autonomo, come l’Ulysses del 1733, opera su libretto di Humphreys, tratto dall’Odissea di Omero ed, ancora, negli anni quaranta arrivando a musicare, ma forse senza mai riuscire a mettere in scena, testi di Metastasio come Issipile (1743), Ciro riconosciuto (1745), Demofoonte (1747) e Artaserse (1749). Sono gli stessi anni in cui Handel lo aveva ufficialmente assoldato come suo assistente musicale, in seguito al famoso colpo apoplettico che lo colse nel 1737 e che segnerà l’inizio della decisa transizione dall’Opera Italiana verso l’Oratorio Haendeliano. Forse Smith avrebbe voluto continuare a crescere, forgiando un proprio stile personale, diventando un grande operista e competere negli anni successivi, magari con Johann Christian, il Bach di Londra; o forse, lo stesso Handel potrebbe averlo scoraggiato ad intraprendere una simile scelta per restare fedele alla causa dell’Oratorio Inglese? L’unica cosa certa è che, sulla strada di Smith troviamo letterati ed intellettuali inglesi del calibro di William Congreve, Alexander Pope, Samuel Clarke e John Gay, oltre che ripetute collaborazioni, per tutti gli anni cinquanta e sessanta del Settecento, con l’immenso attore e produttore teatrale David Garrick. Alla fine, quasi per uno scherzo del destino, l’attività e la fama di Smith resteranno saldamente collegate alla figura del suo illustre mentore: anche dopo la morte di Handel (1759), Smith assumerà su di se il compito di prolungarne la memoria occupandosi sempre in prima persona della direzione dei suoi oratori, ma anche ideando una serie di Oratorio-Pasticcio basati in gran parte su arie e cori del sommo maestro. Nel secondo libro di Suites, si assiste al trionfo del modello haendeliano, il riferimento alle grandi 8 suites del 1720 è assoluto, molti soggetti contrappuntistici vengono citati, molte le fughe ed il climax sembra materializzarsi nella Suite VI in fa minore che si conclude con una grande Chaconne in fa maggiore, con 22 variazioni di cui alcune centrali in minore, dove l'energia haendeliana raggiunge evidentemente la vetta. Se si va ad ispezionare il facsimile della pubblicazione originale del 1735 (vedasi link poco più sotto), pagina 3 del PDF A List of the Subscribers, si evince quanto il giovane Smith fosse supportato dalla "crème de la crème" dei musicisti presenti a Londra a quel tempo. Oltre, naturalmente, a George "Frederick" Handel troviamo alcuni nomi che abbiamo già in parte esplorato su saladelcembalo.org, come Joseph Kelway, Thomas Roseingrave, John Stanley, John Keeble ed addirittura un certo Mr. Roman, che probabilmente altro non è che il noto "Handel della Svezia", ossia Johan Helmich Roman che proprio in quella metà anni trenta si trovava in visita a Londra (vedasi pagina 2011-08). Come anticipato, in questa pagina che stiamo pubblicando tra febbraio e marzo 2013, intendiamo coprire l’integrale dei primi due splendidi libri di suites cembalistiche, mentre ci riserviamo di tornare in futuro sulle altre tre raccolte per tastiera che John Christopher Smith pubblicò nel 1755 (6 Lessons, Op.3), nel 1757 (6 Lessons, Op.4) ed infine nel 1765 (12 Sonatas, Op.5). Zadok, 26 febbraio 2013 Sources: - W. Coxe: Anecdotes of George Frederick Handel and John Christopher Smith (London, 1799/1979)
- G. Beechey: The Keyboard Suites of John Christopher Smith (1712–1795), RBM, xxiv (1970), 52–80
- Sheet Music (PDF) on imslp.org: VOLUME I link - VOLUME II link
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