GEORGE FRIDERIC HANDEL (?) Germanico (serenata a sei) Germanico: Sara Mingardo Agrippina: Maria Grazia Schiavo Antonia: Laura Cherici Lucio: Franco Fagioli Celio: Magnus Staveland Cesare: Sergio Foresti Ensemble Il Rossignolo Coro Il Rossignolo Ottaviano Tenerani, direttore e cembalo Sony/DHM 88697860452 (2 CD) Agli inizi di quest’anno la comunità di esperti ed appassionati Handeliani è stata scossa dall’annuncio che la Sony/DHM avrebbe pubblicato in Giugno la prima incisione mondiale di un’opera di Handel finora sconosciuta e scritta durante il suo soggiorno italiano (1706 – 1710). Autore del ritrovamento e principale responsabile del successivo lavoro di attribuzione era stato Ottaviano Tenerani, cembalista, co-fondatore e direttore dell’orchestra Il Rossignolo, che avrebbe poi inciso l’opera per la Sony. Secondo le indicazioni date dallo stesso Tenerani, l’opera, di cui non c’è traccia nei cataloghi passati e presenti del compositore, era stata ritrovata nel 2007 nel corso di una ricerca presso il fondo storico della biblioteca del Conservatorio Cherubini di Firenze e porta una chiara indicazione del suo autore (“del sig. Hendl”) nel frontespizio. Sebbene non sia la prima volta che vengano riscoperte delle composizioni barocche anche di autori conosciuti e sebbene il periodo italiano di Handel non sia ben documentato, un ritrovamento di tale consistenza rappresenterebbe un evento eccezionale ed estremamente importante per la conoscenza di Handel in particolare e per la musica barocca in generale. Diversi studiosi Handeliani, però, hanno ben presto espresso i loro dubbi sull’attribuzione handeliana della composizione e sulle prove fornite a sostegno di questa tesi. Tra i maggiori problemi, il fatto che l’opera non mostri traccia di prestiti verso lavori successivi del compositore, cosa che renderebbe il Germanico davvero unico non essendoci praticamente composizione del periodo italiano che non sia stata saccheggiata da Handel in futuro per tutta la durata della sua vita. (Su questi problemi si veda ad esempio un articolo di Carlo Vitali, tradotto in inglese a partire dall’originale italiano pubblicato su Classic Voice.) Questi dubbi non hanno comunque fermato la Sony nel pubblicare l’incisione in pompa magna come una “prima registrazione mondiale di un capolavoro operistico recentemente scoperto di G.F. Handel”. Di fronte a questo cofanetto c’è quindi la doppia curiosità di capire se siamo effettivamente di fronte ad un lavoro dimenticato del giovane Handel e se sia interessante a livello musicale tout court. Vista la grande attenzione sulla questione dell’attribuzione, inizio con l’esporre la mia idea, che va letta considerando che non sono un musicologo ma solo un musicofilo con una particolare passione handeliana. Personalmente, ritengo che questo "Germanico" Handel non l'abbia visto nemmeno da lontano. Può darsi, certo, che un giovane Handel appena arrivato in Italia abbia fatto delle prove di gioventù prima di assimilare – e soprattutto personalizzare - lo stile italiano, ma quest'opera è molto distante da qualunque cosa conosca del periodo italiano di Handel. La musica suona decisamente "vecchio stile" sin dall'ouverture, che per me è quanto di più scarlattiano (padre) si possa sentire. Le parti orchestrate in generale hanno un tessuto molto denso e polifonico, e manca quel gusto della melodia già ben presente nelle composizioni italiane di Handel. Molte arie sono accompagnate dal solo basso continuo, una tecnica utilizzata dallo Handel italiano con relativa parsimonia. C'è inoltre un particolare curioso in diverse di esse: una coda (e talvolta una testa) strumentale basata sul materiale melodico dell'aria, una tecnica frequente nell’ultimo quarto del '600 in Italia e non solo (Purcell la usa spesso nelle arie delle sue odi, ad esempio) ma estremamente rara in Handel, che già in Italia impiega uno stile più “moderno”. Anche le arie con accompagnamento strumentale (spesso uno strumento obbligato che dialoga o gareggia con la voce) hanno un linguaggio che non riconosco come handeliano. Limitandomi ad un esempio, l'aria con cembalo obbligato "Par che palme a palme intessa" è lontana anni luce da analoghi assoli del Trionfo del Tempo, composto per Roma nel 1707 e quindi temporalmente vicino al Germanico. Anche una delle “prove” addotte dagli autori per dimostrare l’origine handeliana della composizione è secondo me piuttosto caratteristica del contrario. Si tratta del recitativo accompagnato “Dopo cento anni e cento” in cui la voce fluttua sopra gli arpeggi del violino solista, sullo stile di un analogo movimento della cantata “Da quel giorno fatale” (Delirio amoroso) HWV 99. Sebbene in effetti sia vero che la struttura dei due recitativi sia molto simile inizialmente, in questo Germanico l’arpeggiare dura quasi ininterrottamente per l’intero accompagnato (quasi tre minuti), con un risultato finale piuttosto monotono che non riesco proprio ad immaginare dalla penna di un talento innato del teatro come Handel. Non a caso, infatti, nella cantata l’arpeggio si interrompe dopo una quarantina di secondi e la struttura del recitativo cambia. Comunque, Handel o non Handel, l’opera vale la pena di essere ascoltata o no? Essa si inquadra chiaramente nello stile della cantata o serenata celebrativa, dalla consistente lunghezza (circa un’ora e venti minuti) e narra del ritorno in trionfo di Germanico, figlio adottivo dell’imperatore Tiberio e insigne generale romano, dalla sua campagna militare in Germania nel 16 d.C.. La serenata è in atto unico e mostra una struttura interna tripartita, come indicato dal libretto di accompagnamento: una prima parte ambientata in pubblico, con l’accoglienza trionfale di Germanico a Roma; una mediana in privato, che descrive l’incontro di Germanico con la madre Antonia e la moglie Agrippina; ed una terza che unisce le due e costituisce il ponte per il riferimento celebrativo, tramite un sogno fatto da Germanico stesso in cui l’“Aquila invitta” gli indica il futuro apparire di un “biondo garzon” proveniente dalla Germania meridionale che sarà erede dei Cesari e che viene convenzionalmente indicato come portatore di una nuova età dell’oro. Come d’uso, il nome del destinatario non è espressamente indicato, ma i riferimenti sono sufficientemente precisi per identificarlo, secondo Carlo Vitali, in Giuseppe d’Asburgo, re dei Romani e d’Ungheria, arciduca d’Austria e imperatore d’Austria dal 1705 col nome di Giuseppe I. Va notato che questa identificazione sarebbe un ulteriore elemento contro l’attribuzione della cantata ad Handel, in quanto il testo non sarebbe più appropriato dopo la nomina di Giuseppe ad imperatore, avvenuta nel Maggio del 1705, mentre Handel è arrivato in Italia nel 1706. Il libretto, costruito attorno ad un erudito parallelo tra la campagna sul Reno di Germanico e i successi militari del destinatario del libretto (molto probabilmente nel quadro della guerra di successione spagnola che stava impegnando la maggior parte delle potenze europee dal 1701), è uno dei classici esempi di trama inesistente che caratterizza queste cantate celebrative, di cui la vivaldiana Senna Festeggiante è uno dei più noti esempi. Infatti nulla di rilevante accade durante lo svolgimento della serenata: nessun contrasto, nessun inciampo, tutti i personaggi decantano in armonia le lodi di Germanico ed ovviamente tramite lui il destinatario reale della celebrazione. Elevato il numero di solisti: ben sei. Nonostante il centro della celebrazione sia collegato ad eventi bellici, la distribuzione delle arie favorisce i personaggi di ambito privato. Oltre ovviamente a Germanico (4 arie più l’accompagnato citato sopra), il maggior numero di arie va alla moglie Agrippina (4) e la madre Antonia (3). I due consoli Lucio e Celio e il Cesare (Tiberio, non nominato esplicitamente) svolgono fondamentalmente il ruolo di cheerleaders con 2 arie a testa. La struttura della serenata è basata sulla classica alternanza recitativo-aria, con l’aggiunta di un terzetto Germanico-Agrippina-Antonia e qualche sparso intervento del coro: due brevissimi incisi all’inizio, uno poco prima del sogno di Germanico (indicato come “aria a 6”) e il consueto coro conclusivo. Va segnalata infine la vasta tavolozza di colori, visto che oltre agli archi l’orchestra si arricchisce di 2 trombe, 2 oboi e 2 viole da gamba: evidentemente il committente aveva avuto in mente una celebrazione in grande stile. L’incisione esibisce inoltre un continuo particolarmente ricco, con fagotto, cello, contrabbasso, arciliuto, tiorba e chitarra, oltre ovviamente al clavicembalo, per variare il gusto dei recitativi e delle arie al basso continuo. Chiunque sia, l’autore riesce a dare un certo movimento all’opera malgrado la staticità della vicenda, attraverso una serie di arie di squisita fattura, dalle belle invenzioni melodiche – e in alcuni casi contrappuntistiche –, e alternando sapientemente gli affetti. Nonostante un suono talvolta un po’ troppo secco, l’orchestra Il Rossignolo si comporta bene ed accompagna degnamente un cast di solisti di alto livello. La Mingardo è leggermente in affanno nelle note basse (la parte di Germanico è piuttosto giù) ma è un dettaglio all’interno di una performance molto convincente. Brava Maria Grazia Schiavo come Agrippina, mentre convince un po' meno Laura Cherici, che nella parte di Antonia esibisce una voce piccola e leggermente aspra. La Cherici inoltre ha un timbro vagamente infantile associabile con fatica al personaggio della madre di Germanico. Forse a livello drammatico sarebbe stato meglio che la Schiavo e la Cherici avessero invertite le parti, ma musicalmente Agrippina ha diverse arie patetiche che si adattano perfettamente alla bella voce della Schiavo. Le parti secondarie reggono bene: il controtenore Franco Fagioli (Lucio) ha un timbro un po’ opaco e non particolarmente attraente, ma infila molto bene le agilità. Magnus Staveland (Celio) ha un italiano un po’ artificioso, cosa ancora più evidente essendo tutte le altre parti cantate da italiani, ma passa bene la (francamente non esaltante) parte di Celio, e Sergio Foresti è molto bravo come Cesare. Fa rimanere un po’ perplessi la scelta di Tenerani di far eseguire le limitate sezioni corali ad un vero e proprio coro da camera invece che, come probabilmente era il caso, dall’insieme dei solisti. L’effetto è comunque gradevole. Il cofanetto si completa in appendice di una seconda versione di tre arie che mostrano un’orchestrazione alternativa, con l'aggiunta di un secondo violino. Francamente, la differenza tra le due versioni quasi non si sente, ma va riconosciuto agli esecutori il desiderio di voler registrare l’integrale del manoscritto. Per contro, va notato che senza queste tre arie la serenata sarebbe potuta stare in un solo CD. Il libretto di accompagnamento è piuttosto deludente in quanto vi vengono ripetute solo le informazioni sull’analisi compiuta da Tenerani sull’opera in favore dell’attribuzione handeliana, già note precedentemente e disponibili comunque a tutti nel sito dedicato all’incisione. Non si parla quindi quasi per niente del pezzo in sé concentrandosi quasi esclusivamente sulla questione dell’attribuzione. In conclusione, a parte il problema dell’autenticità handeliana, questa è comunque un’incisione molto buona di un’opera interessante (a parte un paio di momenti di stanca, specie nel secondo CD) del primo settecento italiano, dotata anche di una qualche curiosità ed interesse storici legati al destinatario della celebrazione. Luca Maltagliati 6 luglio 2011 |