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CD & DVD Reviews

Indice / Index

vivalditeuzzone

ANTONIO VIVALDI (1678-1741)

Il Teuzzone
opera in tre atti RV736

Zidiana: Raffaella Milanesi (mezzosoprano)
Zelinda: Delphine Galou (contralto)
Teuzzone: Paolo Lopez (sopranista)
Cino: Roberta Mameli (soprano)
Sivenio: Furio Zanasi (baritono)
Egaro: Antonio Giovannini (controtenore)
Troncone, Argonte: Makoto Sakurada (tenore)

Le Concert des Nations
dir.: Jordi Savall

Naïve OP30513 (3 CD)

L'ultima uscita nella serie Vivaldi della Naïve è dedicata a quest'opera che Vivaldi compose per Mantova: la prima ebbe luogo il 26 dicembre 1718 al Teatro Arciducale, dove poche settimane dopo andò in scena anche la prima del Tito Manlio, affidato alla stessa compagnia di cantanti. Malgrado fosse una piccola città, Mantova poteva permettersi una ricca stagione operistica grazie al mecenatismo del governatore imperiale, al cui servizio Vivaldi rimase un paio d'anni.

Vari indizi fanno pensare ad una certa fretta nel comporre l'opera: ben 18 arie sono riprese da opere precedenti dello stesso Vivaldi (mentre nel Tito Manlio, ad esempio, i brani riciclati furono solo 6). Non solo: secondo Reinhard Strohm alcuni brani non sarebbero di Vivaldi. Questo è quasi sicuro per l'aria di Zidiana che chiude il secondo atto (Ritorna a lusingarmi) e che a detta di Strohm sarebbe attribuibile ad Orlandini. Ma molti dubbi sussistono anche per altre due arie (Come suol la navicella di Egaro e Di trombe guerriere di Teuzzone) e per alcuni recitativi accompagnati e cori, che deriverebbero da un Teuzzone messo in scena a Torino nel 1716 con musiche di Casanova e Fioré, sul quale Vivaldi si basò per la sua partitura. Non meraviglia quindi che il risultato finale sia meno omogeneo e consistente rispetto ad altre opere di Vivaldi. Ciononostante l'opera fu un successo: Teuzzone e Tito Manlio totalizzarono insieme ben 36 repliche nella stagione.

Il libretto di Apostolo Zeno si apre con l'imperatore cinese (Troncone) che muore dopo una vittoriosa battaglia e consegna il suo testamento al governatore Cino e al generale Sivenio: in esso suo figlio Teuzzone viene designato come successore al trono. La cosa arriva all'orecchio di Zidiana, la giovane moglie di Troncone, che briga per mantenere il potere sfruttando il fatto che sia Sivenio che Cino hanno un debole per lei (e nel caso di Sivenio anche per il trono). Aiutata dal suo confidente Egaro, convince i due a contraffare il testamento di Troncone in modo che lei stessa venga designata come imperatrice.

In realtà Zidiana è anche segretamente innamorata di Teuzzone e mira a sposarlo dopo essere salita al potere. Tuttavia le sue profferte cadono nel vuoto, perché Teuzzone ama la fedele Zelinda e nulla vale a smuoverlo, nemmeno il carcere o la minaccia di morte. Nella scena finale Teuzzone dovrebbe essere decapitato, ma Cino si ravvede e rende palese a tutti il vero testamento di Troncone. Questo permette a Teuzzone di salire al trono, aiutato anche da Argonte, un principe tataro che giunge in suo soccorso chiamato da Zelinda. Sivenio viene punito per i suoi misfatti, Zidiana perdonata e tutto finisce per il meglio.

Finora esisteva una sola registrazione commerciale dell'opera, realizzata dalla Tactus nel 2005. Pur avendo il pregio della completezza, la realizzazione artistica di questi CD lascia alquanto a desiderare, sia per i cantanti di seconda scelta, sia soprattutto per un'orchestra alquanto stonata, tanto che potrei classificarla come la peggiore incisione di opera barocca che io abbia mai ascoltato. Ben venga dunque questa nuova registrazione della Naïve, che indubbiamente riesce a far meglio della precedente ma che ahimè non è esente da pecche.

La prima cosa che si nota è infatti che Savall ha deciso di tagliuzzare i recitativi, cosa che in un disco non riesco proprio a giustificare. Per dare un'idea dell'entità dei tagli si consideri che in questa incisione l'opera dura soltanto 2 ore e 34 minuti, contro le 3 ore e 16 minuti della versione Tactus. I recitativi superstiti sono cantati abbastanza bene ma non con quella cura del dettaglio che aveva caratterizzato altre opere della stessa serie (penso ad esempio all'Olimpiade diretta da Alessandrini, o all'Orlando finto pazzo diretto da De Marchi). Rispetto ai primi titoli comparsi, a mio parere si nota nelle ultime uscite una marcata deriva nella Vivaldi Edition verso un minore rispetto del testo. Sarà forse un segno dei tempi, ma è un segno che non mi piace per nulla.

Troppi cantanti e direttori trattano le opere barocche come una collezione di arie, per cui una volta cantata l'aria bene con tutte le note e magari con qualche variazione il compitino è fatto, non importa se non si capisce un'acca di quello che si canta. Del resto la gente non ascolta l'opera barocca solo per i virtuosismi? Il taglio dei recitativi in questa incisione è emblematico. Sono convinto che non siano stati tagliati per rendere la storia più concisa e comprensibile, ma perché per cantare bene i recitativi occorre fare un gran lavoro con i cantanti. Del resto l'attenzione dell'ascoltatore è sulle arie, quindi perché preoccuparsi? Anche Savall, purtroppo, sembra allinearsi a questa visione delle cose.

E il direttore catalano si prende anche altre libertà col testo, senza preoccuparsi di renderne conto in qualche modo. Nel primo atto viene reintrodotto un breve duetto fra Teuzzone e Zelinda, probabilmente non originale di Vivaldi e cancellato nella partitura: nulla di grave, però sarebbe stato bene segnalare la cosa nelle note ai CD. Ma il peggio arriva verso la fine del terzo atto, dove Vivaldi aveva scritto un'aria nuova per Zidiana (Per lacerarlo) che poi scartò per sostituirla con un collaudato cavallo di battaglia preso dall'Ottone in Villa (Io sembro appunto). Subito dopo tocca a Zelinda cantare un'aria nuova (Ho nel seno un doppio ardore), indubbiamente meno brillante rispetto a quella di Zidiana. Ecco allora che Savall fa cantare a Zelinda l'aria di Zidiana scartata da Vivaldi! E tutto ciò senza scrivere una parola di giustificazione o comunque di avvertimento agli ascoltatori! Sarebbe stato corretto aggiungere almeno in appendice l'aria di Zelinda che così è stata eliminata.

I ruoli di Zidiana e Zelinda sono i più importanti dell'opera: le due donne rivali cantano 6 arie ciascuna e nel 1719 furono impersonate da Anna Ambreville e Teresa Mucci. Come per altri personaggi femminili di Vivaldi, anche in Zidiana non è in primo piano tanto il virtuosismo canoro quanto l'abilità dell'attrice, che deve rendere, sia nei recitativi che nelle arie, tutte le sfumature di un personaggio complesso. Raffaella Milanesi, qui impegnata nel ruolo, a mio avviso ci dà un'ottima prova e riesce molto bene a ritrarre questa giovane regina ambiziosa e spregiudicata, che non esita a servirsi del suo fascino per usare gli uomini a suo piacimento. Il personaggio di Zelinda è invece quello dell'innamorata fedele, pronta all'estremo sacrificio per amore del suo uomo. Il contralto Delphine Galou ha una voce calda e profonda, unita ad una buona tecnica. Le manca però a mio avviso un po' di convinzione in più, soprattutto nei recitativi, dove è fondamentale per un cantante riuscire ad infondere vitalità nel testo.

Dopo le due prime donne, il ruolo più importante è quello di Teuzzone, che Vivaldi affidò, insieme al ruolo fondamentale di Manlio nella seconda opera della stagione, al soprano Margherita Gualandi. In questa incisione il ruolo è stato affidato al sopranista Paolo Lopez, con una decisione che non solo non ha giustificazioni né storiche né artistiche, ma che si rivela all'ascolto anche assai infelice. Infatti Lopez, pur avendo un'intonazione mediamente migliore rispetto ad altri sopranisti, nel registro più acuto emette suoni assai sforzati e stridenti, soprattutto nei recitativi, ciò che rende la sua prestazione piuttosto sgradevole. È facile prevedere d'altra parte che questa voce così acida sarà al contrario apprezzata dai soliti melomani sempre a caccia di novità - qualunque esse siano - e questo forse spiega la gara che le varie case discografiche fanno nell'utilizzarla. Mi chiedo però che cosa questo abbia a che fare con Vivaldi e le sue opere. Un altro segno dei tempi?

Il cantante più pagato a Mantova in quella stagione fu il castrato Gasparo Geri, anche se il ruolo di Cino da lui interpretato non è il più importante. Vivaldi gli affidò nel Teuzzone soltanto 4 arie, una sola delle quali chiaramente virtuosistica (Nel suo carcere ristretto); nel Tito Manlio poté rifarsi con una parte musicalmente più opulenta. Il personaggio presenta anche interessanti risvolti psicologici visto che Cino è un "cattivo innamorato" che alla fine si redime. Roberta Mameli si disimpegna assai bene nel ruolo, sia nelle arie sia nei recitativi. La sua alla fine è forse la prova migliore di tutto il cast.

Anche il personaggio di Sivenio ha una certa importanza, con 4 arie a dir la verità non molto interessanti ed un profilo psicologico non particolarmente vario: si tratta di un cattivo impenitente, che solo in un breve recitativo manifesta qualche timido dubbio sul suo operato. Furio Zanasi ce lo rende piuttosto bene, ma anche lui avrebbe potuto tratteggiare con una maggiore carica questo personaggio. Egaro (2 arie) e Troncone/Argonte (solo recitativo) sono soltanto personaggi di contorno.

Infine, l'orchestra è molto buona e la direzione di Savall attenta, come suo solito. Per fortuna ha evitato soluzioni improbabili à la Jacobs ed ha mantenuto nell'accompagnamento una certa sobrietà. Il suono della tiorba a tratti spicca in modo fastidioso e innaturale, ma questo sembra più un problema dei tecnici del suono che non una scelta del direttore. La registrazione, per inciso, è stata effettuata al Castello di Versailles, subito dopo due esibizioni in concerto nello scorso giugno.

Tirando le somme, il Teuzzone probabilmente non è l'opera migliore di Vivaldi, ma questo cofanetto ci regala tanta bella musica e ce ne dà la prima registrazione adeguata. Se Savall avesse evitato le inutili manipolazioni di cui ho detto ed avesse curato di più i recitativi, invece di tagliarli, il mio entusiasmo sarebbe stato senza dubbio maggiore.

Maurizio Frigeni, 13 dicembre 2011
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duettijarcencic

GIOVANNI BONONCINI

'Pietoso nume arcier': cantata a due
'Chi d'Amor tra le catene': duetto

FRANCESCO MANCINI

'Quanto mai saria più bello': cantata

FRANCESCO BARTOLOMEO CONTI

'Quando veggo un usignolo', aria a due

NICOLA PORPORA

'Ecco che il primo albore': cantata

BENEDETTO MARCELLO

'Chiaro e limpido fonte': cantata a due
'Veggio Fille/Parlo a Clori': duetto dalla cantata 'Tirsi e Fileno'

ALESSANDRO SCARLATTI

'Nel cor del cor mio': duetto


Philippe Jaroussky, Max Emanuel Cencic: controtenori
Les Arts Florissants
William Christie, dir.

Virgin Classics 5099907094323

Duetti, il titolo di questo CD, potrebbe far pensare ad un'antologia di (appunto) duetti da opere barocche di noti compositori, come ce ne sono diverse in commercio. Trattasi invece di una registrazione di cantate a due o duetti da camera (più due cantate per voce sola, una per solista) scritti nei dintorni degli anni '20 del Settecento. I compositori rappresentati, ben sei, sono ancora relativamente rari nel mercato discografico: Bononcini, Mancini, Conti, Porpora, Marcello e Scarlatti padre.

Questo CD presenta immediatamente diverse attrattive: una selezione di opere sconosciute di autori barocchi italiani importanti ma non di primo piano, scelte entro un repertorio importantissimo all'epoca ma ancora poco esplorato dalle incisioni discografiche, e cantate da due star della musica barocca e dirette da uno dei direttori più apprezzati da pubblico e critica.

Il mio giudizio sulla riuscita di questo “esperimento” dipende in maniera significativa dai brani scelti. Le cantate e i duetti incisi sono senza eccezioni ispirati all'estetica dell'Arcadia, tanto in voga all'epoca. I testi quindi raccontano tutti semplici amori pastorali, arricchiti dagli attesi effetti naturalistici collegati ad uccelli, pecore e brezze. Sebbene sia interessante ascoltare come i vari compositori affrontino uno stesso tema, il disco a volte manca di contrasto. L'uniformità testuale genera una certa uniformità musicale, e non tutte le musiche sono egualmente ispirate: si sente la mancanza del guizzo tematico-armonico di un Handel o un Vivaldi.

Contribuisce all'uniformità dell'insieme la ristretta tavolozza orchestrale delle cantate, che si limita al basso continuo con l'aggiunta al massimo di uno o due violini in alcune di esse. Sono inoltre composte per voci dall'estensione molto simile. Di conseguenza ho avuto inizialmente un’impressione un po’ indistinta delle varie opere, e mi sono serviti alcuni ascolti per fissarle meglio nella loro individualità. Attenzione però: nonostante questo limite, il CD contiene molti eccellenti momenti musicali. Ritengo solo che potranno essere gustati meglio non ascoltando la registrazione tutta insieme dall’inizio alla fine.

L'esecuzione, come ci si può attendere da Christie, è molto raffinata, con il giusto mordente nelle arie più veloci e virtuosistiche e il giusto respiro in quelle più elegiache. Les Arts Florissants fanno un ottimo lavoro nel differenziare per quanto possibile - e senza forzature - l'accompagnamento. Non deludono nemmeno i solisti, che sono sicuramente la vera attrazione di questo disco. Non solo infatti sono tra le migliori voci di controtenore attualmente in circolazione, ma possiedono anche una visibilità inusuale di pubblico per dei musicisti classici. Dall’ascolto risulta che Jaroussky e Cencic hanno tutto sommato voci affini, squillanti e spinte verso l'acuto, pur mantenendo una loro individualità.

Jaroussky, fedele alla sua reputazione di "voce d'angelo", è più delicato e luminoso; Cencic più corposo, con un tono vagamente più acido e più aggressivo nelle colorature. Entrambi sono convincenti vocalmente e nella resa del testo, oltre ovviamente ad avere una bella voce senza i classici difetti imputati ai controtenori. Chi ne esca "il migliore" dipende esclusivamente dal gusto personale. Si possono comunque notare alcuni difettucci minori, in particolare per quanto riguarda la pronuncia italiana non perfetta: si mangiano le doppie più spesso di quanto avrei voluto sentire, e certe vocali suonano strane. A tratti, inoltre, alcune note sono un po' sgradevoli a sentirsi, specialmente nella parte bassa del registro e soprattutto da parte di Cencic. Va notato che i due cantanti sono molto esposti in questa registrazione, e questi difetti (specie la pronuncia) risaltano probabilmente più che di consueto.

In conclusione, questo è un bel CD che, per così dire, nel suo complesso colpisce la testa più che lo stomaco. Il suo primo target sono gli appassionati di musica barocca, che ci troveranno delle musiche interessanti eseguite come si deve a tutti i livelli. Esito un po’ invece a consigliarlo a scatola chiusa ai “novizi”, specie se non sono fan della voce di controtenore. In entrambi i casi suggerisco comunque di prendersi il tempo di ascoltarlo in più riprese e non tutto insieme.

Su Youtube si trovano diversi spezzoni del CD, ad esempio la bellissima aria a due di Bartolomeo Conti Quando veggo un usignolo.

Luca Maltagliati, 1 dicembre 2011
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denebraifigenia

JOSÉ DE NEBRA (1702-1768)

Iphigenia en Tracia (Madrid, 1747)

Marta Almajano, soprano (Ifigenia)
María Espada, soprano (Oreste)
Raquel Andueza, soprano (Dircea, Mochila)
Soledad Cardoso, soprano (Polidoro)
Marta Infante, mezzosoprano (Cofieta)
Carlos Javier Méndez, tenore (coro)

El Concierto Español
Emilio Moreno, direction

Glossa GCD 920311 (2 CD)

Un recente cofanetto della Glossa è dedicato a questa zarzuela del 1747, composta da José de Nebra e portata al disco da Emilio Moreno col suo complesso El Concierto Español. Se Amor aumenta el valor del 1728 era una delle prime opere di Nebra (bellissimo CD che avevo recensito qualche mese fa) questa Iphigenia è invece l'ultima opera per il teatro scritta dall'autore spagnolo: negli anni seguenti Nebra si dedicò esclusivamente alla composizione di musica sacra.

A differenza di un'opera vera e propria, nella zarzuela (il genere più tipicamente spagnolo di opera) solo il 25-30% del testo viene di solito messo in musica e non tutti i personaggi hanno parti cantate: la maggior parte del testo viene semplicemente declamata dagli attori. La storia è molto liberamente ispirata all'Ifigenia in Tauride di Euripide, senonché il librettista (Nicolás González Martínez) confonde la Tauride con la Tracia. Oltre ad Ifigenia e a suo fratello Oreste, gli altri personaggi "seri" che hanno una parte cantata sono Polidoro e Dircea: il primo è giunto in Tracia per sposare la seconda (sorella del re Toante) ma è innamorato di Ifigenia, mentre Dircea è attratta da Oreste. A questi si aggiungono due personaggi comici (graciosos) tipici della tradizione spagnola: Mochila e Cofieta, due servitori i cui interventi spesso sono una parodia del comportamento dei personaggi seri.

Questi due CD contengono ovviamente solo la parte musicale della zarzuela. La musica di Nebra spazia dalla classica aria di stampo italiano, spesso preceduta da un recitativo e a volte alquanto virtuosistica (come la splendida aria di Polidoro Vacilante pensamiento), a forme invece più tipicamente spagnole, come i numerosi brani a più voci, in cui a volte due personaggi sono contrapposti ad un coro, o i duetti dei due personaggi comici. In ogni caso la musica è di una bellezza veramente notevole e Nebra si conferma come uno dei più interessanti autori spagnoli del diciottesimo secolo.

La nostra esecuzione utilizza criteri storici per quanto riguarda l'uso degli strumenti ed il modo di suonarli [...]. La nostra orchestra è formata dallo stesso numero di strumentisti che avevano di solito le orchestre dei teatri di Madrid nelle grandi occasioni: 5 primi violini, 4 secondi, 3 viole, 2 violoncelli, 1 contrabbasso, 2 flauti traversi, 2 oboi, 1 fagotto, 2 corni, clavicembalo e chitarra, con l'aggiunta delle nacchere, che venivano di solito suonate dagli stessi cantanti. Così scrive Emilio Moreno nelle note accluse ai CD e si tratta di una dichiarazione a dir poco rinfrancante, visto che molti suoi colleghi sembra invece che facciano a gara ad inventarsi formazioni orchestrali improbabili e soluzioni interpretative assai poco storiche.

L'orchestra non solo segue criteri filologici nell'esecuzione, ma suona anche molto bene, sia nella sfavillante Obertura sia nell'accompagnare i cantanti. Inoltre, malgrado la registrazione sia stata fatta dal vivo, il bilanciamento fra le varie voci e il dettaglio sonoro sono ottimali. I cantanti solisti sono tutte donne, secondo quella che era l'usanza nei teatri madrileni dell'epoca: fortunatamente per le nostre orecchie, Moreno ha resistito alla tentazione di "modernizzare" il cast infilandoci a sproposito qualche falsettista (cosa tutt'altro che rara: si veda ad esempio il Teuzzone di Vivaldi uscito da poco per Naïve). La prova delle cantanti è nel complesso ottima, anche se alcune arie le mettono a dura prova: in effetti ascoltando ad esempio Vacilante pensamiento non si può fare a meno di desiderare una voce un po' più corposa rispetto a quella di Soledad Cardoso. Speriamo che attraverso il lavoro di Moreno questa musica diventi presto più popolare e sia cantata anche da altri interpreti.

Insomma: un altro bellissimo CD proposto dalla Glossa, che si conferma una casa discografica di riferimento nel panorama della musica barocca. Caldamente consigliato.

Maurizio Frigeni, 30 novembre 2011
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vivaldifagotto2

ANTONIO VIVALDI (1678-1741)

Concerti per fagotto, vol.2

Concerto RV 499 in la minore
Concerto RV 472 in do maggiore
Concerto RV 490 in fa maggiore
Concerto RV 496 in sol minore
Concerto RV 504 in si bemolle maggiore
Concerto RV 483 in mi bemolle maggiore
Concerto RV 470 in do maggiore

Sergio Azzolini (fagotto)
L'Aura Soave Cremona
Diego Cantalupi (Direttore artistico)
Naïve OP30518

L'ultima uscita nella serie Vivaldi della Naïve (anzi la penultima, visto che ormai anche il Teuzzone è già uscito) è il secondo CD interamente dedicato ai concerti per fagotto e archi di Vivaldi. Anche in questo caso i protagonisti sono il fagottista Sergio Azzolini ed il complesso L'Aura Soave diretto da Diego Cantalupi (che suona alternandosi fra arciliuto, chitarra barocca, tiorba e calichon).

I concerti per fagotto di Vivaldi sono fra i più belli scritti dal Prete Rosso: ne compose ben 39, probabilmente non tanto per l'Ospedale della Pietà ma per qualche strumentista dell'Europa Centrale. Michael Talbot, nelle note accluse al CD, suggerisce in particolare il nome di Anton Möser, fagottista nell'orchestra del conte Wenzel von Morzin. Ascoltandoli si ha l'impressione di una cura e di una ricerca sonora che non sempre è presente nei concerti per violino; loro caratteristica peculiare è un'inconfondibile atmosfera notturna e malinconica, sopratutto nei movimenti lenti. Inoltre, pur nella loro omogeneità timbrica, possiedono tutti una spiccata individualità, sicché anche un disco monotematico come questo, che contiene sette concerti per fagotto, riesce all'ascolto tutt'altro che monotono.

Il solista, Sergio Azzolini, possiede una tecnica eccezionale e domina lo strumento (copia di un fagotto barocco del 1710) piegandolo alle più sottili sfumature espressive. Ho qualche riserva invece sull'accompagnamento, perché a mio parere la sezione degli archi (6 violini e 2 viole) è un po' esile per questi concerti, nei quali essi spesso sono chiamati a fornire un vellutato tappeto su cui il fagotto lascia cadere le sue note. Inoltre il basso continuo dovrebbe a mio parere essere suonato in modo "morbido", evitando le soluzioni troppo "percussive", ma ciò non sempre accade in questo CD.

Oltre al già citato Cantalupi, il continuo è suonato da altri due tiorbisti, da un tastierista (che si alterna fra organo e clavicembalo) e naturalmente da violoncello e contrabbasso. Questo organico appare troppo corposo rispetto all'esigua massa orchestrale ed è suonato a volte in modo troppo aggressivo: si sprecano ad esempio gli accordi strappati del liuto (o chitarra), il che oltre ad essere dubbio rispetto alla prassi del tempo appare anche poco indovinato dal punto di vista musicale.

Infine non posso non citare una scelta a dir poco strana di Azzolini. Nel movimento lento del concerto RV 499 il fagotto suona delle semplici coppie di note su di un tappeto d'archi ma nella ripetizione da capo, invece di fare le solite variazioni, Azzolini opta per una soluzione a mio avviso assurda: affida la linea del solista ad un secondo fagotto, mentre lui suona col suo fagotto una melodia improvvisata. Inutile dire che all'ascolto di questa trovata sono rimasto piuttosto allibito.

È vero che il grande Reinhard Goebel scrisse che l'interprete è a volte più vicino a "ciò che sicuramente non fu" che non a "ciò che potrebbe essere stato", ma quando ascolto certe cose mi pare che ci sia proprio la precisa volontà di allontanarsi dal solco della storia alla ricerca di improbabili commistioni con le tendenze contemporanee. Evidentemente René Jacobs ha fatto scuola. Peccato, perché questo è comunque un episodio isolato all'interno di un disco che, pur con i problemi di cui sopra, rimane molto bello e di ascolto piacevole.

Maurizio Frigeni, 28 novembre 2011
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