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fig.1 - Charles Le Brun - Ritratto equestre di Luigi XIV Musée des Beaux Arts - Tournai
Introduzione
hiunque ancora oggi si trovi a visitare la reggia di Versailles non può non rimanere colpito dal senso di grandeur e quasi di straniamento che lo assale. Attraversare i Grands Appartements, arrivare al cuore di quel complesso labirinto di saloni che si incastrano en enfiladel'uno dentro l'altro, approdare infine come in una baia calma nello spazio vastissimo della Grande Galerie, con la sua luce intensa, i riflessi dell'acqua e del cielo, l'oro e l'argento dei decori, gli spazi fluidi delle grandi superfici vetrate o specchianti, l'artificio e la meraviglia che diventano realtà tangibili. Una costruzione perfetta, simmetrica, incastrata fra i saloni de La Guerre e de La Paix, che in un percorso non narrativo ma allegorico conduce all’apoteosi del sovrano.
fig.2 - Charles Le Brun - Le Roi gouverne par lui-meme - Gallerie de Glaces, Château de Versailles
Ed è al centro di quel vero e proprio "edificio simbolico" che è la decorazione pittorica della Galerie de Glaces ove simbioticamente sussistono l'allegoria e la realtà storica e dove per la prima volta il sovrano celebrato appare non attraverso la metafora del mito, ma attraverso le sue "azioni" politiche e militari, che Luigi XIV pone quella che è a tutti gli effetti la sua auto-investitura a unico referente del Potere in Francia. Nell'affresco di Charles Le Brun, Le roi gouverne par lui-meme (fig. 2) c'è tutto l'assunto dell'Assolutismo e della presa di possesso di una autoritas che non accetta contrasti e interferenze, confronti e scelte partecipate. Il 10 marzo 1661, il giorno successivo alla morte di Mazarino, Luigi XIV dichiarò ai tre uomini che aveva convocato fra i quali N. Fouquet, sovrintendente alle Finanze, la sua decisione irrevocabile di governare da solo, senza primo ministro e solo pochi consiglieri dei quali avrebbe, a propria discrezione considerato i pareri. A questa scelta si mantenne per tutto il resto del suo lungo regno, mancando se non in occasioni rarissime e sempre per gravi motivi l'incontro quotidiano con i suoi funzionari, spesso provenienti dai ranghi della borghesia, come Colbert, l'esperto mercantilista che seppe risollevare economicamente lo Stato, anche se le ripetute guerre lo misero di nuovo in gravissima difficoltà alla fine del secolo. Per venire incontro alle ingentissime spese militari furono ad esempio fusi tutti i magnifici arredi di argento che arricchivano la Grande Galerie e che erano parte integrante della meraviglia del suo straordinario decoro accentuandone la preziosità. Ma la guerra era imprescindibile per questo sovrano che voleva e cercava nello scontro aperto con le altre potenze, assoluta supremazia territoriale ed egemonia culturale per la Francia sul resto d'Europa. Così come la volontà di trasformare Versailles, fino ad allora luogo di cacce e divertimenti, in una reggia che potesse essere luogo nevralgico e simbolico del Potere, centro e confluenza di tutti gli apparati, palcoscenico della sua pompa e magnificenza. Se nei primi anni di regno tutto il simbolismo reale era ruotato intorno alla figura mitica di Apollo con Luigi nuovo Sole e ideale guidatore di quel carro dell'astro celeste che, ancora in anni più tardi, nel Phaeton di Quinault-Lully, diventava metafora della buona conduzione dello Stato che guide sconsiderate potevano trasformare in catastrofe, se nel progetto per la Grande Galerie di Le Brun il riferimento allegorico doveva in un primo tempo essere ancora legato alla figura mitologica di Ercole, come era stato per tanti sovrani rinascimentali, nella volontà di Luigi XIV era se stesso, lui-meme, che bisognava esaltare, che bisognava divinizzare già in vita, insieme con l'annichilimento de "l'orgoglio" delle potenze rivali.
fig.2bis - Charles Le Brun - Les Genies des Divertissements (particolare) Gallerie de Glaces, Château de Versailles
Nell'affresco, ai piedi del sovrano rappresentato come novello Augusto o Alessandro, attorniato dagli antichi Dei ed incoronato dalla Gloria immortale, vi sono i Génies des Divertissements, (fig. 2bis) quei "Piaceri" che lo avevano dilettato nella giovinezza: arte, gioco, teatro, caccia, carrousel, e soprattutto musica, che egli abbandona nel momento in cui sceglie di dedicare tutto se stesso al Governo dello Stato. In effetti, quei piccoli geni che nell'antichità rappresentavano l'essere spirituale dell'individuo, la sua parte immortale, non avevano assolutamente perso di attrattiva agli occhi del Re, che anzi li usò per dare lustro e spessore culturale al suo Potere. Nessuno come Luigi XIV riuscì a condurre il gioco di un potere egemone e granitico attraverso l'abile manipolazione del gusto e di un'arte totalmente al suo servizio. Non c'è nessuna manifestazione artistica autonoma sotto l'ala protettrice del Re, l'accentramento è totale. I creatori di Versailles, i Le Nôtre, Le Vau, Le Brun, Lully avranno nelle loro mani un'unica possibilità: attraverso la loro arte esaltare e magnificare la grandezza del loro Re. Fare della Reggia, dei suoi decori e dei suoi giardini, della musica che risuonava nei suoi saloni un monumento alla gloria di un sovrano che si poneva al centro di un Universo creato a sua somiglianza.
Le Château e Les Jardins
Il 6 maggio 1682 con grande solennità Luigi XIV si installava definitivamente a Versailles facendone la sua residenza principale e sede della Corte e del Governo. Per la prima volta una residenza reale diventava anche strumento di governo e simbolo permanente ed eclatante di potere politico.
Diversi decenni erano occorsi, ed altri ancora passeranno prima che lo château, attorniato dai suoi splendidi giardini fosse completato: possiamo riassumerne le fasi.
Versailles venne scelta come luogo preferenziale di caccia dai re francesi già con Enrico IV che amava soggiornare presso il castello di Albert de Gondi maresciallo di Francia e duca di Retz. Il figlio Luigi XIII anch'egli amante di quei luoghi che sembravano fatti apposta per il suo passatempo preferito, deciderà invece di costruire un padiglione nel 1623, diventato rapidamente troppo angusto dato che già nel 1631 si pensò di ingrandirlo. Nascerà così il nucleo del futuro palazzo, quello che Saint-Simon chiamerà con un qualche disdegno il petit château de cartes. Trasformato ed ingrandito a dismisura manterrà però il suo cuore elegante e raffinato dal gusto manierista nella Cour de Marbre, che con la sua forma raccolta spesso sarà luogo di spettacoli ed ideale palcoscenico per l'entrata a Corte.
Anche il giovane Luigi XIV amava molto recarsi per la caccia allo château di Versailles e così a partire dal 1661 fu necessario intervenire negli interni venendo a creare due appartamenti simmetrici per il re e la regina, il re a nord, la regina a sud, disposizione che mai più cambierà, ed altri ambienti per i parenti stretti del re. (fig. 1)
fig.1 - Pierre Patel - Lo Château vers 1668 - Château de Versailles
Ma saranno soprattutto i giardini, il sogno che Luigi XIV volle incarnare incaricando André Le Nôtre, il geniale artefice di Vaux le Vicomte, di progettare e realizzare quella che diventerà una assoluta meraviglia, luogo di piacere e di svago, sede incantata e magica delle più grandiose feste della giovinezza del Re Sole: Les Plaisirs de Ile Enchantée del Maggio 1664 e Les Grands Divertissements Royal de Versailles del Luglio 1668 e Les Divertissements de Versailles del Luglio ed Agosto 1674.
fig.3 - Bassin d'Apollon - Versailles jardins
Enorme sarà sul territorio l'estensione del domaine reale, 10.000 ettari dei quali 8.600 il Grand Parc, con i suoi boschi, giardini e fattorie, dei quali il re sarà sovrano, ma anche signore feudale e proprietario terriero, divenendo in questo modo un vero e unico "spazio del re", dove ogni altra attività era interdetta.
I giardini con il loro complesso simbolismo solare, una articolata cosmogonia basata sul mito di Apollo, saranno nella visione politica che ne sovrintenderà anche le scelte estetiche il primo tassello di quella esaltazione della figura del sovrano come Sole, l'astro splendente che tutto domina ed illumina. Al bassin d'Apollon con il Dio che esce impetuoso dall'acqua trainato dai suoi cavalli fatati (fig. 3) farà da contraltare la Grotte de Thétis, (fig. 4-4b) sublime costruzione fantastica legata al gusto italiano per la presenza di incrostazioni, coquillage e rocaille, getti e giochi d'acqua irrispettosi ed intriganti come nella migliore tradizione ispirata a Tivoli e alle sue fontane. In questo luogo raccolto e suggestivo, in cui risuonava anche un organo idraulico, una vera meraviglia sonora, e a cui Lully nel 1668 dedicherà una delle sue prime composizioni, una pastorale su testo di Quinault, si rifugiava nella notte il Dio, rappresentato da Girardon e Regnaudin mentre viene assistito dalle ninfe di Teti, con i cavalli accuditi dai tritoni. (fig. 5)
fig.4 - Pierre Le Pautre - Vue de la façade extérieure de La Grotte de Thétis - Château de Versailles
fig.4b - Plan au sol de la grotte de Thetis / fig.4c - Plan general du chateau et parc
fig.5 - Vue du fond de La Grotte de Thétis - Jean Lepautre - Château de Versailles
E così nacquero i bosquets, angoli incantati e nascosti, ritagliati dalle palissades nelle lunghe allées di alberi, con i loro cabinets o salles de verdures create per la festa e le collations, per la danza e per il teatro, come la bellissima Salle de bal, i parterres d'eau che rispecchiano il cielo e ne modulano gli infiniti cambiamenti, i parterres de broderie dai complessi ricami di verzura, le lunghissime prospettive che sfumano nell'orizzonte, i bassins con le loro fontane, lungo il percorso mitico di Apollo, dalla madre Latona con i suoi nemici trasformati in ranocchie e rospi, al dragone pitico che il dio sconfisse in un epico duello. Ed infine il Grand Canal imponente nastro luminoso di estesa ed infinita acqua calma e tranquilla dove piccoli battelli potevano veleggiare verso Citere ... da sogno durante i festini notturni. (fig. 6-7-8-9)
Nei Giardini si metteranno così in campo le conoscenze acquisite nella scienza dell'illusione ottica e scenica, si sperimenterà una rappresentazione dell'esperienza della natura a misura dell'uomo rinascimentale, microcosmo nel macrocosmo dell'Universo, che già i giardini italiani cinquecenteschi avevano indicato, e in cui l'ordine geometrico e il controllo dell'elemento caotico della Natura primigenia si concettualizzavano indicandone le forme e il modello come opera d'arte perfetta. La visione del giardino come terza natura, quella dell'uomo, della sua capacità di intrattenere un rapporto armonico con il cosmo, si coniugherà a Versailles con risonanze poetiche e retoriche, con la spazialità effimera della scena, con le nuove possibilità concesse dalle competenze tecniche nel campo dell'arte del jardinage e dell'ingegneria idraulica, con la nuova concezione di spazio infinito debitrice della filosofia e della scienza contemporanee, che andava a ribaltare quella antica del giardino come hortus conclusus, quindi come idea di separatezza rispetto al disordine esterno. Il giardino barocco diventa quindi l'immagine concreta del totale dominio dell'uomo sulla Natura, la visione a perdita d'occhio che si ha dalla Grande Galerie a Versailles, e che ritroviamo già nel quadro di Patel che mostra il giardino nel 1668, è l'indicazione del predominio dell'uomo che interviene anche sul paesaggio trasformandolo in un'opera d'arte equilibrata e controllata.
Mentre dal 1662 al 1668 Le Nôtre metteva mano al primo impianto dei giardini, la cui realizzazione sarebbe continuata per trenta anni, si incominciava a pensare alla costruzione di un nuovo castello il cui progetto fu affidato a Louis Le Vau, premiere architecte du roi. Dal 1668 al 1670 un palazzo in pietra dorata con due grossi avancorpi che chiudevano una terrazza sormontata da statue e trofei andava ad inglobare il castello vecchio creando le ali dei Grands Appartements (fig. 2) ma soltanto nel 1678 dopo la pace di Nimega con l'Olanda, che porterà ad una tregua di dieci anni, si incomincerà realmente ad intervenire costruendo le due ali du Nord e du Midi, la Grande Galerie, la Grande e Petit Ecurie, il Grand Commun e la nuova Orangerie. Sarà soprattutto il nuovo architetto reale Jules Harduin-Mansart che darà vita al castello come lo vediamo oggi, con la sua grande estensione orizzontale che gli farà perdere quell'aspetto da villa barocca romana che aveva in un primo tempo, dandogli un'impronta di aurea classicità, che verrà però totalmente sconfessata dai sontuosissimi decori interni dove la lezione italiana, soprattutto di Pietro da Cortona, sarà fatta propria da Charles Le Brun premiere peintre du roi e principale artefice degli interventi pittorici insieme ad una schiera di artisti minori da lui diretta. Nelle mani e nelle intenzioni di questi artefici, Versailles si venne così a trasformare in una grande "macchina per cerimonie", nella quale Luigi XIV ogni giorno irraggiava la sua gloria personale. Gloria che i cicli pittorici non facevano che esaltare in tutta la sua grandezza.
Charles Le Brun con il suo carattere autoritario ed accentratore era riuscito a conquistare la fiducia del re e di Colbert, fino ad avere il monopolio della grande decorazione in Francia. La sua personale autoritas unita alla concentrazione di cariche amministrative di enorme importanza, tra le quali la direzione della Manifattura di Gobelins e soprattutto la direzione dell'Académie Royale de Peinture et de Sculpture, il controllo della quale derivava dall'iscrizione obbligatoria di tutti gli artisti operanti in Francia per ottenere un brevetto reale, lo portarono a diventare uno dei più importanti orchestratori della politica culturale di Luigi XIV. Il suo stile, che guardava al classicismo di Poussin improntato però ad una maggiore grandeur e magniloquenza, (fig. 10-11) la sua ricerca degli affetti attraverso l'"espressione delle passioni" che sapeva variare in tutti i registri, dal patetico al furioso, ma sempre contenuti dal magistero della retorica, una tavolozza dai colori pacati lontana dagli eccessi di Vouet, lo fecero particolarmente apprezzare dal re che gli affidò dal 1672 l'immenso cantiere di Versailles, per il quale riuscì a mantenere una visione coesa e di unità stilistica nonostante le grandi forze impiegate. Se nelle prime sale è ancora il mito di Apollo a dominare come nei giardini, il registro cambia totalmente con la decorazione dei due salons de la Guerre e de la Paix incardinati anche concettualmente nella imponente costruzione ideologica della Grande Galerie. Qui, il cambio di tematiche, incentrate totalmente sulla figura del sovrano, sulle sue campagne militari e sulle sue scelte politiche, l'unione come già detto di allegoria e vita reale, doveva restituire del Governo personale del Re Sole l'immagine più eloquente e rappresentativa di una nuova concezione monarchica, non più basata su antichi miti e raffronti con l'epica letteraria e storica, o piuttosto su concezioni universalistiche dell'Impero così praticate fino al XVI sec., bensì sugli Eventi di una prassi di intervento sullo Stato assolutamente totalizzante. (da fig. 12 a 20)
Un maestoso ingresso, distrutto nel XVIII sec., la Grand Degré du roi o Escalier des Ambassadeurs, dal ricchissimo decoro di marmi preziosi, introduceva ai Grands Appartements. Piccoli gioielli oggi scomparsi come la Salle des bains, dove una grande vasca ottagonale deliziava con le sue acque calde e fragranti i momenti intimi del re e della sua favorita, andavano ad arricchire gli spazi dedicati al particulier del re. Di questi il più raffinato fu senz’altro il Trianon de porcelaine, (fig. 21) costruito da Le Vau nel 1670, così chiamato per l'elegante decoro in piastrelle di faience blu e bianca, ispirato alla Torre di porcellana di Nanchino e quindi immagine di una Cina onirica e favolistica, luogo amatissimo da Luigi XIV che ivi si dedicava ad una delle sue maggiori passioni, quella per l'orticoltura e la floricoltura. Nei raccolti spazi circostanti il padiglione vi erano infatti ricche coltivazioni di piante, fiori ed essenze rare, in particolare bulbose dalla sgargiante fioritura e dai profumi stordenti, come le centinaia di tuberose che il re voleva che ogni giorno fossero piantate nelle aiuole del giardino. Con le sue pergole di gelsomini e le piante di arancio sempre fiorite era come dirà Felibien:
... un enchantament, car n'ayant commencé qu'a la fin de l'hiver, il se trouva fait au printemps comme s'il fut sorti de terre avec les fleurs des jardins qui l'accompagnent.
fig.21 - Le Trianon de Porcelaine - Vu du coté du jardin - gravure Perelle
I quattro padiglioni che componevano questa deliziosa maison de plaisance anch'essi decorati negli interni in bianco e blu, avevano al loro centro la Chambre de l'amour e un cabinet des parfums, luogo magico di inebrianti essenze odorose e cuore degli amori del re con Madame de Montespan. Il letto che si trovava nella Chambre de l'amour definito un lit extraordinaire dai contemporanei, aveva un baldacchino composto da cortine di voluttuosa esuberanza, amorini di cartapesta ed uno specchio incassato nella testiera, ed era quanto di più dissimile ci potesse essere da un letto di parata come si poteva trovare nei Grands Appartements. Purtroppo questa delizia architettonica avrà vita breve: nel 1687 il re volle rinnovarlo incaricando Harduin-Mansart di realizzare un nuovo piccolo palazzo che Saint-Simon chiamerà di "marbre et porphyre", l'attuale Grand Trianon con il suo sontuoso Péristyle di colonne di marmo venato "rosso di Francia", voluto da Luigi XIV per le sue collations serali in compagnia della famiglia reale. (fig. 22)
fig.22 - Le Grand Trianon
Luoghi di piacere e delizia erano i tanti bosquets che si ponevano ai due lati della Allée royale, piacere perché ne erano la sede deputata, delizia perché quella era la loro cifra estetica. Purtroppo dei tanti bosquets realizzati da Le Nôtre e Harduin-Mansart per Versailles, molti sono spariti o trasformati nel tempo, come Le Labyrinthe, pensato da Charles Perrault, dove 39 fontane rappresentavano soggetti tratti dalle favole di Esopo o il maestoso Theatre d'eau con ben duecento getti d'acqua che creavano giochi in sette variazioni. Il bosquet de Le Troi Fontaines, amatissimo dal re che ci veniva spesso per ristorarsi alla frescura dei suoi getti, è stato invece restaurato nel 2005 ritrovando tutta l'eleganza delle sue tre fontane, incatenate l'una all'altra, l'ultima con una colonna d'acqua di 140 getti. (fig. 24) Anche il Marais, luogo ameno voluto da Mme de Montespan all'inizio degli anni '70, fu trasformato nel 1704 ne Les Bains d'Apollon (fig. 25)dove furono poste le statue che si trovavano nella Grotte de Thetis, distrutta. Rimangono in tutto il loro splendore La Colonnade, (fig. 26) con le sue colonne di marmo prezioso e il gruppo scultoreo del Ratto di Proserpina al centro e La Salle de bal, (fig. 27) ad anfiteatro con gli spalti d'erba che si affacciano sugli splendidi giochi d'acqua di una cascata che scende a ventaglio fra coquillages e rocailles con al centro una piattaforma rialzata per la danza. Per fortuna a ricordare tanta magnificenza rimangono ancora oggi i dipinti di Jean Cotelle, che fantasiosi e un po’ naive, ci mostrano senza i veli della storia, il giardino come appariva agli occhi dei suoi contemporanei: un luogo da fiabae da sogno. (fig. 28 “ gruppo Cotelle”)
fig.24 - Le bosquet des trois fontaines - dopo restauro 2005 / fig.25 - Le bosquet de Bain d'Apollon - post 1709 fig.26 - Le bosquet de la Colonnade / fig.27 - Le bosquet de la Salle de Bal
Se nella visione cosmogonica del Petit Parc degli anni '60 e '70, lo château era il centro e il Trianon de porcelaine il satellite sull'asse a nord, simmetrico satellite sull'asse a sud era la Ménagerie, dove si trovava il serraglio del re. Non deve stupire la presenza di un serraglio con animali rari e selvaggi in un giardino di corte, anzi fin dal medioevo era complementare alla volontà di esaltare la potenza del monarca, proprio in virtù del suo esotismo. La costruzione del padiglione e dei cortili adiacenti fu iniziata nel 1663 e completata verosimilmente nel 1668, gli spazi per gli animali erano sicuramente già utilizzati negli anni delle grandi feste del giovane re. Successivamente fu creato il collegamento "acquatico" con il Grand Canal, scavato fra il '68 e il '72 divenendo così la Ménagerie (fig. 32) insieme con il Trianon meta ideale delle escursioni nautiche che tanto animavano la vita mondana nel castello. Intanto una fittissima popolazione di statue, riprese da modelli antichi greci e romani, andava a presidiare ogni angolo dei giardini, creando una scena di mutevole metamorfosi, dove dei e figure del mito celebravano il grande re-demiurgo, che come dio solare governava sull'ordine del mondo e delle arti, secondo l'unità di uomo e natura.
fig.32 - Ménagerie
Nella volontà di Luigi XIV e Colbert che fu l'artefice maggiore dell'operazione di acquisto degli originali e della realizzazione delle copie dall'antico, Versailles doveva inoltre diventare la nuova Roma, come ribadiva la grande collezione di statue antiche che doveva essere ivi collocata, fra le quali la celebre Diana, già nelle proprietà reali francesi dal XVI sec, la Venus d'Arles e il Cincinnatus, oggi al Louvre. (fig. 29-30)
fig.29 (a sinistra) - La Diane de Versailles - Musée du Louvre fig.30 (a destra) - Visione dell'allestimento della mostra "Versailles et l'Antique", Château de Versailles
A partire dal 1679 fu creato le domaine di Marly, un incantevole sito fatto per gli svaghi lontano dall'etichetta. Non si trattava di un vero castello ma di tredici padiglioni intorno ad un grande bacino d'acqua, quello centrale sul lato breve destinato al re, gli altri dodici simmetrici, sui lati lunghi. Disposti ad anfiteatro essi simboleggiavano le costellazioni che il sole percorre nel suo moto ed erano nascosti da treillages ed allées di lecci ed altri alberi tagliati ad arte. A Marly dominava il giardino, con la sua grande cascata chiamata Riviere, con gli ameni bosquets e con l'enorme quantità d'acqua di cui erano ricchi i suoi vasti bacini, dovuta alla vicinanza della Senna, il cui flusso veniva convogliato da una macchina dalla strepitosa ingegneria idraulica costata la cifra iperbolica di 3.200.000 livres. (fig. 31)
fig.31 - Pierre Denise Martin Louis XV enfant se promenant en caleche en vue du l'Abrevuar et du Château de Marly Château de Versailles
Ultimo intervento di grande rilievo fu la costruzione della Chapelle Royale nel 1699 alla quale il re volle assolutamente mettere mano nonostante le difficoltà finanziarie. Progettata da Mansart e terminata nel 1710 da Robert de Cotte si eleva con la sua massiccia mole di marmo bianco all'inizio dell'ala du Nord al posto della Grotte de Thétis, purtroppo distrutta. Di impianto classico fu costruita come una cappella palatina su due piani con tribune per la famiglia reale e i principi del sangue, collegate direttamente con i Grands Appartements. Il candore del marmo dell'interno risulta illuminato dall'esplosione dorata del grande organo costruito da Clicquot e Tribuot e dell'altare con la sua "Gloria" di reminescenza berniniana. Il meraviglioso strumento ebbe un imponente buffet sempre realizzato su disegni di de Cotte, di grandissima eleganza con il contrasto fra l'oro brillante o brunito dei decori raffiguranti angeli, palme e trionfi mentre al centro la portella chiusa vedeva raffigurato il re David che suona l'Arpa.
Alla morte del re nel 1715 si può senz’altro dire che lo château e i suoi giardini erano diventati una delle grandi meraviglie di quel mondo barocco di travolgente esuberanza estetica che se in Italia aveva avuto la sua origine aveva poi trovato in Francia la sua terra elettiva.