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fig.6 - R. de Hooghe - Figure à la mode - Victoria and Albert Museum
Moda francese fra pubblico e privato (1660-1678)
I primi vent’anni del governo personale di Luigi XIV segneranno una svolta fondamentale nella storia della moda francese. (fig.1)
fig.1 - Henry Testelin - Louis XIV fonda l'Accademia delle Scienze e l'Osservatorio - Château de Versailles
Sono gli anni della giovinezza e della forza propulsiva del suo regno, in cui una corte di giovani rampolli aristocratici e reali segnerà in modo incontrovertibile un gusto ed uno stile che avrà un impatto fortissimo su tutta la società europea. Una corte brillante ed esuberante che si ritroverà nelle grandi feste nei giardini, che si farà ammagliare dal giovane re e dai suoi artifici, che farà della galanterie il suo credo.
Sono gli anni delle prime due favorite: Mlle de La Vallière e soprattutto di Mme de Montespan, quella che con i suoi comportamenti disinvolti e il suo amore per il lusso, influenzerà maggiormente le mode. (fig.2)
Sono gli anni ancora, nei quali Luigi XIV e la sua corte, il suo "corpo collettivo" come lo abbiamo definito, sanciranno il definitivo allontanamento da modelli ormai superati, per inaugurare forme-moda che con la loro carica innovativa si proietteranno ben oltre questa fase del '600, fino a tutto il Settecento.
E' infatti nella prima parte di questo periodo, tra 1667 e 1672 che nascerà la nuova tipologia vestimentaria maschile, e nello stesso tempo si darà vita nella moda femminile alle forme dei deshabillées sulle quali si baseranno le fondamentali innovazioni che sanciranno le trasformazioni tardo-seicentesche e settecentesche. E' come se in questi 10-20 anni si elaborassero in quel grande laboratorio che era Versailles tutto ciò che sarà moda non solo nei decenni seguenti ma nel secolo a venire. Allo stesso modo si getteranno le basi nel definire quali abiti sarebbero stati de rigueur a corte, e quindi in tutte le corti europee, con un processo di omologazione e standardizzazione che non aveva mai avuto precedenti e che si prolungherà per tutto il Settecento.
All'inizio degli anni '60 siamo ancora di fronte alle mode che avevano regnato negli anni della primissima giovinezza del re. La dismisura incontra il favore reale con tutto il suo portato di eccessi. Rhingraves e pourpoints, nastri e merletti, volumi abnormi e tessuti brillanti, tutto concorre a dare dell'uomo una immagine sovradimensionata e fuori norma. Anche per gli abiti femminili non incontriamo grandi novità, solo dalla fine degli anni '60 le robes ormai aperte e sollevate sulle jupes incominceranno a ridimensionare i volumi intorno al bacino, le curve del corpetto si allungheranno e le maniche si accorceranno, lasciando molto più spazio alla fuoriuscita delle maniche della camicia. (fig.3-4) Se c'è infatti un elemento eclatante di queste mode è la grandissima quantità di biancheria lasciata a vista, nell'abito femminile (fig.5), ma ancor di più in quello maschile (fig.6). Se consideriamo che il '600 fu il secolo in cui quasi assente fu l'uso dell'acqua per la normale pulizia ed igiene della persona e nello stesso tempo il costo esorbitante del lino candido per camicie immacolate, dobbiamo indicare nella estrema visibilità della camicia, un referente simbolico del bisogno comunque "culturale" ed egemone socialmente di mostrarsi mondi di sporcizia nei confronti delle classi subalterne, notoriamente sudicie. Un aspetto pulito diventava anche garanzia di probità morale e di alto livello sociale, perché nella biancheria candida non solo si identificava la pulizia della pelle sottostante, ma si credeva che quest'ultima venisse protetta e purificata dall'indossare una camicia di lino bianco e quindi preservasse anche la salute. In questa civiltà delle apparenze, in cui il corpo simbolico era molto più efficace socialmente di quello reale, vennero a prendere un'enorme importanza anche ciprie e profumi che mascheravano i cattivi odori, profumi talmente forti e penetranti, derivati dallo zibetto e dall'ambra grigia che oggi risulterebbero quasi nauseabondi, tanto che era considerato disdicevole per un aristocratico presentarsi in pubblico senza essersi abbondantemente incipriato e profumato (fig.7-7b).
Anche l'uso dei nei finti, o mouches (fig.8-8b), sarà un segno del dominio assoluto dell'artificio anche sulla bellezza. Esistevano mouches o grani di bellezza di tutte le forme e diverse grandezze che venivano poste sulla pelle incipriata con molta civetteria e senza alcuna innocenza. Infatti, a seconda di dove si poneva la mouche si voleva trasmettere un messaggio amoroso. C'era la Passionée al lato esterno dell'occhio, la Baiseuse sopra al labbro a sinistra, la Coquette sul suo lato destro e la Discrète al di sotto, la Gaillarde era sopra la punta del naso e l'Enjouée accanto alla narice, mentre la Galante era al centro della guancia e la Majesteuse in quello della fronte. Insomma un vero e proprio codice che permetteva alle dame di giocare con malizia l'eterna seduzione del corteggiamento. D'altro canto se il truccarsi in età medievale era stato considerato espressione di falsità ed artificio malevole, in questa società di corte diventava imprescindibile per rappresentare un'esigenza primordiale della nobiltà, quella di esprimere, come l'abito e le maniere raffinate, una sostanziale differenza di status dai subalterni, nel senso che invece di nascondere la trasparenza dell'individuo, nel modificarlo lo manifestava apertamente per quello che era realmente, un essere altro, superiore. Se poi tutto ciò ai nostri occhi appartiene al segno della dismisura e della iperbole, esso è invece contingente alla assoluta necessità di "apparire" in una realtà, quella della corte dove precetti e costrizioni sono funzionali ad un unico scopo: quello di rifrangere i raggi del sovrano, di “onorare con una presenza sottomessa ma abbagliante l'espansiva gloria del Principe; d'essere al contempo attore obbediente e spettatore affascinato dell'apparato magico del potere assoluto” (Philippe Perrot - Il senso delle Apparenze - pp.38-41). Altro dominio della stravaganza erano le acconciature. Infatti, dall'inizio degli anni '60 si incominceranno a portare i capelli alla hurluberlu o hurlupée (fig.9), una chioma dal taglio scalato, con fitti riccioli che si gonfiavano sulle tempie e lunghi serpentaux sulle spalle. Per questa coiffure fu diffuso l'uso di posticci, spesso di capelli di colore diverso dal proprio, riccioli biondissimi su chiome castane (fig.10), o anche mazzolini di fiori a coprire i pettini, mentre i gallants, nastri e fiocchi maliziosi dilagavano su corpetti, maniche e jupes. (fig.11) Il Il gioco della seduzione proseguiva con gioielli chiamati tatez-y (letteralmente - toccate qui), posti al centro della scollatura, fra i seni (fig.12).
Sicuramente partecipe di questo gioco fu il dilagare nelle stanze private di due vesti particolari che furono chiamate manteau ed innocente. Esse appartengono in pieno alla categoria delle robes de chambre o deshabillées e conobbero un successo sfolgorante anche grazie al grande uso che ne fece Mme de Montespan (fig.13). La Marchesa, spesso incinta, ebbe infatti sette figli dal re, era probabilmente costretta ad una vita più ritirata, anche se sempre sotto gli occhi della corte, e quindi ad adottare vesti che si adattassero alle sue condizioni. Le robes de chambre ben si adattavano a questo scopo.
fig.13 - Anonimo - Mme de Montespan con i figli - Château de Versailles
Il manteau ha una storia particolare: derivava dal banyan, veste indiana completamente aperta e sciolta, tagliata a T come i kimono, che si era diffusa già nel primo '600 grazie ai commerci delle diverse Compagnie delle Indie. Era realizzata in cotoni indiani stampati, le indiennes, amatissimi per la loro morbidezza e freschezza e per l'estrema brillantezza dei colori, dovuta all'uso della cera nel processo di stampa. Anche in Francia, nella zona di Marsilia, che era stata tra le prime importatrici, si tentò di realizzarli, ma ben presto la produzione fu vietata per editto reale, in quanto danneggiava le manifatture della seta: il bando fu tolto solo nel 1759. La grande diffusione delle pratiche relative ad un privato che si sovrapponeva al pubblico, rese queste vesti frequentissime. In banyan vediamo infatti ritratti moltissimi personaggi maschili, in Francia (fig.14-15) come nei Paesi Bassi ed in Inghilterra (fig.16), e la sua trasformazione nel manteau (fig.17), quindi in oggetto più seduttivo, spesso nelle sete più fluenti, era scontata, in una reggia come Versailles dove alla galanterie si incominciava a preferire il libertinaggio.
fig.16 - John Michael Wright - The family of Sir Robert Vyner - National Portrait Gallery, London
Al manteau che ben presto, già sullo scorcio degli anni '70, incominciò un percorso di strutturazione sartoriale che lo doveva trasformare negli anni '80 nella robe de ville (fig.18), che pur rimanendo un deshabillée, lo snaturava nel suo assunto, portandosi anche nelle occasioni mondane, pur se non particolarmente formali, si associava nello stesso decennio l'innocente, molto più intrigante ed indiscreto, soprattutto se indossato sulla sola chemise senza corps piqué, e malizioso, se nella sua stessa definizione fa riferimento ad una purezza virginale, ben lungi da esserci se consideriamo che la maggior parte delle signore ritratte in questa mise furono le grandi amanti favorite di Luigi XIV e Carlo II Stuart. (fig.19-20)
Une Robbe de chambre étalée amplement, / Qui n'a point de ceinture, & va non chalament, / Par certain air d'enfant qu'elle donne au visage, / Est nommée Innocente & c'est du bel usage." (Edme Boursalt - Le Mots a' la mode - 1694)
Come descritto in questi versi si tratta di una veste completamente sciolta, senza tagli in vita, con una lunga apertura dal seno al ventre, chiusa, anche alle brevi ed ampie maniche, da bottoni gioiello, e strettamente imparentata con forme vestimentarie antiche e classiche, che potevano fare anche riferimento ad un mondo pastorale ed arcadico (fig.21). Questo aspetto è molto rilevante, se si prende in considerazione che i temi arcadici si innervavano in profondità in tutta la cultura del tempo e si divulgavano nelle più diverse forme, da quella letteraria, a quella artistica, teatrale e musicale. Un altro elemento importante della diffusione di queste vesti destrutturate è sicuramente la loro provenienza orientale, realtà che stava agendo con profonde suggestioni sull'immaginario di una società in cui turquerie e chinoiserie diventeranno una componente essenziale nel ricreare un mondo onirico e favolistico, laddove soprattutto nel privato l'Occidente era da almeno un millennio privo di modelli di riferimento. La libertà di vesti non costrittive, la sensualità di comportamenti non consueti, spesso proibiti, e comunque non consentiti nella vita pubblica, darà al modello orientalista un fascino perverso che attraverserà almeno tre secoli di storia europea fino agli inizi del Novecento.
All'Oriente dobbiamo anche la nascita delle nuove forme vestimentarie maschili, e in questo caso sarà l'Inghilterra e non la Francia a farsene promotrice, anche se poi sarà la Francia e Versailles a farle diventare universalmente alla moda e a trasformarle secondo criteri occidentali.
Nell'ottobre del 1666 il re d'Inghilterra Carlo II Stuart ed alcuni suoi cortigiani incominciarono, forse perché stanchi della tirannia delle vesti alla francese, come sembra testimoniare John Evelyn, ad indossare degli abiti di provenienza persiana che furono chiamati Vest & Surcoate or Tunic e che in seguito i sarti indicarono come Suit of vestments (fig.22). Questa influenza esotica può spiegarsi con la presenza a Londra di ambasciatori orientali e comunque con una vena teatraleggiante che nel periodo della restaurazione fu molto forte in Inghilterra. Vest e coat erano due indumenti di forma analoga, lunghi entrambi fino alle ginocchia, in forma di tunica con maniche appena oltre il gomito, sciolte ed aperte completamente davanti ma con una fitta bottoniera. Venivano indossate sovrapposte l'una all'altra, la vest sotto e la coat sopra, in genere la vest abbottonata con una fascia in vita, e si portavano con calzoni che erano più simili ai vecchi pantalon, anche se più gonfi, più che alle rhingrave, anche se fino agli anni '70 quest'ultime non furono completamente abbandonate (fig.23). Questa suit arriverà molto rapidamente in Francia, probabilmente già dal 1667 dove i due indumenti che la componevano furono chiamati veste e justaucorps.
Elementi importanti di quello che in seguito fu chiamato habit a' la française, furono le componenti decorative come ad esempio le grandi tasche, che all'inizio furono tagliate orizzontalmente e poi verticalmente sia sulla veste che sul justaucorps, per avere in seguito una pattina dalle forme più varie, e la presenza ancora piuttosto invasiva di nastri alle maniche terminanti in un paramano e lasciate corte per mostrare abbondantemente la camicia (fig.24-25).
fig.24 - Almanach Royal (1667) - Louis XIV con le dame della Corte - Versailles cliché des Musées Nationaux fig.25 - S. Le Clerc (incisione di Goyton) - Luigi XIV visita l'Accademia delle Scienze da Claude Perrault Memories pour servir à l'histoire naturelle des animaux (1671) - The British Library, London
Tratti distintivi francesi furono la lunghezza, ben sopra il ginocchio, e la presenza della cravate accompagnata dalla chaconne. Già dai primi anni '60 si era infatti abbandonato il vecchio rabat, per la più disinvolta cravate, una striscia di tessuto di lino e pizzo che veniva annodata intorno al collo, lasciando i lembi ricadere morbidamente, mentre la chaconne era un fiocco piatto di raso rosso che la ornava sotto la gola (fig.26). La vecchia rhingrave fu ben presto soppiantata dalle culotte, inizialmente molto gonfie fin sul ginocchio, poi sempre più aderenti. Fu però soltanto negli anni '80-'90 che l'habit a' la française prese definitivamente l'aspetto che doveva portarlo al Settecento. In questa fase iniziale era ancora una veste ibrida, che manteneva intatta quell'esuberanza e stravaganza nell'abbigliarsi che doveva caratterizzare tutti i primi decenni del regno di Luigi XIV. Ad accentuare l'aspetto di magniloquente grandeur era la parrucca che ormai diventata onnipresente nelle sue forme en criniere, donava quella gravitas necessaria al portamento del perfetto gentilhomme che incedendo su i suoi alti tacchi rossi, appoggiandosi con nonchalance al bastone e con gesti affettati ostentava la sua raffinata galanterie. (fig.27)
fig.27 - Jean Berain - Intérieur d'une boutique parisienne (incisione di Jean Le Pautre, 1678) - Collezione Privata